14 ottobre 2008

Ontologia come valorizzazione




"Cosa esiste?"

Per rispondere devo affrontare una serie di questioni, ad esempio: esistono solo le cose materiali o anche gli eventi? solo le cose o anche i vissuti? solo le cose individuali o anche gli insiemi? solo le cose o anche i concetti?

Quando ammetto che un certo tipo di cose (ad esempio gli eventi) esistono, le sto in qualche modo valorizzando, sto dando loro dignità (potremo dire dignità ontologica).

Perché?
Perché ciò che esiste è sicuramente più importante di ciò che non esiste.
Se una cosa non c'è non conta nulla, non dobbiamo tenerne conto, non può influenzarci, condizionarci eccetera.
Se invece una cosa prima veniva considerata inesistente, e poi invece la si considera esistente significa che le stiamo dando importanza, la stiamo prendendo in considerazione.

Ma si danno solo due possibilità ontologiche, ovvero essere /non essere?
La ricchezza e la complessità del reale ci fa propendere per l'idea che ci siano diverse modalità di esistenza, tipi diversi di essere. (il modo in cui esiste un ricordo è diverso dal modo in cui esiste una sedia...)

Se intendiamo l'ontologia come la disciplina che intende chiarire le differenze generali fra tipologie di esistenza, possiamo però ancora porci la domanda: chiarire queste differenze generali non significa anche inevitabilmente stabilire una gerarchia, cioè valutare quali tipi sono più importanti e quali meno? Platone è andato senz'altro in questa direzione.

Potremmo però orientarci verso un'ontologia "paritaria", cioè rifiutarci di dire cosa esiste di più e cosa di meno. Potremmo allora per esempio sostenere che l'esistenza degli oggetti che occupano regioni spazio-temporali (gli oggetti fisici) non sia più importante dell'esistenza degli oggetti che non occupano tali regioni (per esempio i concetti).
Si tratterebbe di un'ontolgia che stabilisca differenze fondamentali senza ordinare gerarchicamente.

Ma il problema è che un’ontologia così concepita tenderebbe ad annullare la differenza fra essere e non essere, cioè mancherebbe del polo negativo, il non essere. Esisterebbe tutto, ma allora tutto avrebbe anche uguale valore. Come orientarsi in un mondo così concepito? Una valorizzazione totale equivale a un’annullamento del valore stesso.

Diversi e mutevoli sono i modi di “fare esperienze”, ovvero costruire/recepire il senso. Ma a noi serve distinguere fra ciò che ha senso e ciò che non ne ha, fra ciò che ha valore e ciò che non ne ha, fra ciò che esiste e ciò che non esiste.

Nella prospettiva di un'ontologia come valorizzazione la domanda

"Che cos'è X?"

si potrebbe considerare equivalente alla domanda

"Che senso ha X?"

Metafisicamente: l'Essere è il Senso.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Trovo molto suggestivo il rimando dell'interrogativo ontologico a quello di senso e molto appropriate le tue osservazioni in merito

Giulio Napoleoni ha detto...

Grazie, Antonella.
L'interesse per l'ontologia mi è maturato recentemente (mentre per anni mi ero appassionato ai temi legati al libero arbitrio, alla volontà ecc.)leggendo i lavori di Franca D'Agostini. In "Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza" ho trovato un riferimento a "Parole, oggetti, eventi" di Achille Varzi e da lì ho cominciato a riflettere anche autonomamente. Sempre attraverso la D'Agostini ho capito l'importanza del saggio di Quine "Su ciò che vi è", che ha contribuito a rinforzare il mio interesse. Sto pensando a un racconto dal titolo "La macchina della realtà", dove affrontare il problema ontologico dal lato immaginativo, e questo pezzo è frutto delle mie riflessioni per quel racconto (che però attualmente ristagna...).