25 giugno 2016

La filosofia: prese di posizione e aspirazioni all'oggettività. Lettera aperta a Franca D'Agostini







Rispondo alla lettera metafilosofica sull'idea di "filosofia come scienza" di Franca D'Agostini, sviluppando il suo discorso verso una caratterizzazione della filosofia come ricerca tesa fra l'aspirazione alla conoscenza oggettiva e la necessità di "prendere posizione" fra opzioni teoriche alternative.


Cara Franca,

sono io che ringrazio te, che trovi il tempo di scrivermi.
   Ritengo che se il tuo pensiero metafilosofico fosse stato maggiormente ascoltato e seguito le sorti della filosofia sarebbero state migliori. Nel chiuso è un libro che ho amato profondamente e l’importanza del tuo lavoro credo stia proprio negli sforzi che hai fatto, e continui a fare, per rendere la filosofia una scienza. Volendo fare un paragone illustre mi viene in mente Kant, che nello sforzo di rendere scientifica la metafisica ha scritto quel capolavoro che è la Critica della ragion pura.
    Tuttavia vorrei sollecitarti ancora con qualche riflessione ulteriore, prima commentando punto per punto la tua lettera, poi chiudendo con una sintesi del mio pensiero sulla questione del rapporto tra filosofia e scienza.

1. In effetti non vi sono dubbi sul fatto che la filosofia sia ‘scienza’ nel senso preliminare da te indicato. Ma quanto può servire ricordarlo? Nello stesso senso, infatti, sono scienze anche l’architettura, la musica… attività che normalmente si classificano fra le arti, in discorsi dove ‘arte’ e ‘scienza’ hanno significati più precisi.
    Noto però che questa caratterizzazione della filosofia come materia di studio e ricerca viene sottilmente ripresa più avanti, in 6.a (mescolata con una tesi più forte sull’essere la filosofia una scienza normale) e in 9. (ma anche qui un po’ confusa con la tesi più forte: in 9 parli anche della filosofia come scienza-studio…).
    È vero però che questa definizione serve come base per poter fare la distinzione importante che fai dopo, in 6.b-11., tra filosofia come studio-ricerca e filosofia come fatto antropologico.

2. La definizione che dai di ‘scienza’ in senso più specifico la correggerei leggermente. Focalizzare il tema dell’oggettività sull’aspetto della valutazione di tesi e teorie non ci aiuta, credo, perché non chiarisce la differenza tra scienza e arte: anche in arte le opere e le performance sono valutabili con una certa oggettività. Direi quindi piuttosto che la scienza è una conoscenza che tende all’oggettività, nel senso che tende alla verità e giustifica le sue tesi/teorie, e facendo ciò produce intorno a sé un accordo intersoggettivo. L’arte invece non tende di per sé all’oggettività, anzi direi che tende a valorizzare la soggettività (è una sorta di tacita norma, nel campo della produzione artistica – almeno a partire dal Rinascimento – che ciascun autore debba sforzarsi di esprimere la propria, originale, visione del mondo, basando quindi sulla propria individualità le scelte estetiche) ma viene poi valutata oggettivamente (per esempio nessuno, oggi, potrebbe ragionevolmente sostenere che la musica di Bach è priva di valore).
    Sulla base della tua definizione più specifica di scienza, dici poi: “In questo senso, la F forse non è una ‘scienza’ ma sarebbe augurabile che lo fosse”. Su questo, togliendo il ‘forse’, sono pienamente d’accordo e cercherò di sostenerlo con argomenti nella parte conclusiva. Ma questo è contraddetto da quanto dici più avanti, in particolare nel punto 6.a, (“credo che la F sia una scienza abbastanza ‘normale’ … non meno caratterizzata di altre scienze soft”). Riconosci poi (punto 7) in T. Williamson il difensore di tale tesi e rimandi al suo libro per quanto riguarda gli argomenti necessari a sostenere questa tesi sulla filosofia come scienza normale. Poco dopo (ancora 7.) torni invece alla tesi del punto 2., allontanandoti da 6.a, quando parli di “mancata normalizzazione della filosofia”.
    Insomma, mi pare ci sia nella tua posizione una certa oscillazione: a volte parli di filosofia=scienza come un qualcosa che è già o è di per sé, per essenza, per costituzione, a volte parli di filosofia=scienza come ciò che dovrebbe essere, come un qualcosa che non si è ancora realizzato. Io propendo nettamente per la seconda alternativa. E il motivo principale di questa mia propensione (ma credo di non essere il solo, anzi mi pare che sia la posizione più diffusa…)  è che la filosofia non ha mai raggiunto e non raggiunge, nelle sue parti più caratteristiche, l’accordo intersoggettivo.

3. Qui concordo con te, solo che chiarirei in questo modo: il fatto che arte, scienza, filosofia siano intersecate presuppone la loro distinzione. Dire che non sono sfere separate non va equivocato come se volesse dire che sono una cosa sola, un’unica sfera. Sono sfere distinte ma intersecate. Con questo chiarimento, però, la tua tesi 6.(a) è di nuovo smentita. Tu stessa sembri in parte smentirla quando dici “Che arte scienza e F si riferiscano ad attività metodologicamente diverse è ovvio…”.

4.-5. Qui critichi le posizioni di Casati, e non mi interessa entrare nel merito di queste critiche. L’unica cosa che non mi convince è quando interpreti ‘arte’ come “attività non normale, in quanto non soggetta a norme di alcun genere”. Credo che vi siano molte norme nel campo sia della produzione sia della fruizione artistica, e penso che il senso in cui Casati usa ‘arte’ in relazione alla filosofia sia quello che ho chiarito in 2., cioè l’arte come un’attività che valorizza la soggettività di chi la produce, o più semplicemente un’attività che non tende di per sé all’oggettività: non produce tesi o teorie.

6.-11. Su 6.a ho già detto sopra. Su 6.b-8.-9.(secondo paragrafo)-10.-11., cioè sulla filosofia come fatto antropologico, che richiede idealità e scetticismo, rimanda a Socrate ed è funzione della cittadinanza democratica, sono pienamente d’accordo. A questo si ricollega, se ho ben capito, la tua idea dell’insegnamento della logica nelle scuole primarie-secondarie. Quest’ultimo aspetto per me si è tradotto in un’avvenutra che ho iniziato quest’anno in una classe terza del liceo scientifico. Un’esperienza che mi ha dato molte soddisfazioni e mi ha appassionato, e vorrei provare a raccontarla, in altra sede, supportando il racconto con dati e riscontri quantitativi (i materiali didattici, le prove che ho somministrato, la valutazioni, i progressi degli studenti nel corso del tempo).
    Mi par di capire che sulla filosofia come fatto antropologico hai intenzione di approfondire in altra sede, quindi immagino tu ci stia lavorando sopra e mi aspetto, quindi, un tuo prossimo lavoro metafilosofico su questo tema. Sbaglio?

9. Sulla filosofia come studio (ma non scienza, per i motivi che sotto riassumo) dei fondamenti e trattazione dei super-concetti resto legato al fascino che questa tesi ha esercitato su di me all’epoca della lettura (e ri-lettura…) di Nel chiuso, e aggiungerei solo una maggiore accentuazione sull’aspetto problematico: la filosofia tratta i problemi fondamentali e affronta i problemi legati ai super-concetti.

Conclusioni
Penso in generale che la filosofia produca i suoi risultati migliori quando tende ad essere una scienza, cioè quando tende all’oggettività e di conseguenza tende a produrre accordo intersoggettivo. Ma non ci riesce mai fino in fondo. O meglio: quando ci riesce veramente, succede che una sua parte si “stacca” e diventa effettivamente una scienza. Questo, come tutti sanno, è successo con la fisica e tutte le scienze naturali, ed è successo anche con la psicologia, l’antropologia, le scienze umane in generale. E credo che questo stia succedendo adesso con la logica, o è in parte già successo.
    Il caso della fisica è esemplare. La fisica, che ha continuato a chiamarsi “filosofia naturale” fino a Newton, oggi nessuno si sognerebbe di considerarla parte della filosofia. Eppure, in un certo senso, la fisica è ancora filosofia, perché continua a porsi alcuni problemi fondamentali che la filosofia coltiva oggi in sede metafisica o ontologica (“Che cosa esiste?”, “È ciò che esiste spiegabile nella sua totalità?” ecc.).
    In un certo senso si potrebbe risolvere il problema considerando tutte, o quasi, le scienze come sottoinsiemi della filosofia, definendole come quelle parti della filosofia che sono riuscite a raggiungere un certo grado di oggettivtà. Resterebbero fuori la matematica, che ha avuto origine  prima della filosofia stessa, e la storia, che è nata nel V secolo a.C., poco dopo la filosofia, ma indipendentemente da essa, pur ispirata dallo stesso clima culturale.
    Il problema della filosofia, dalle sue origini ad oggi, è che nasce come forte aspirazione ad essere episteme ma non riesce ancora, e forse non riuscirà mai, in alcuni suoi nuclei fondamentali, a produrre conoscenze oggettive. Permangono fratture profonde in alcuni nuclei portanti della disciplina. I settori, o le discipline filosofiche, nei quali sono maggiormente evidenti i segni di questa mancanza di validità intersoggettiva sono innanzitutto metafisica/ontologia ed etica/politica. 
    Prendiamo solo un semplice esempio. Nell’ambito della tradizione analitica (che è quella dove la vocazione all’episteme è oggi più forte), se consideriamo il problema della possibilità, abbiamo otto teorie differenti: scetticismo, espressivismo, modalismo, realismo modale, ersatzsismo, finzionalismo, agnosticismo, disposizionalismo (vedi il libro di Andrea Borghini Che cos’è la possibilità, Carocci 2009). Un problema, otto soluzioni diverse. E non c’è modo di venirne a capo, perché in ultima istanza ci troviamo di fronte a opzioni teoriche ugualmente legittime; forse alcune appaiono più forti, altre più deboli, ma come possiamo sapere qual è quella vera? Ad esempio il realismo modale di Lewis è una posizione teorica fortemente originale, molto ben argomentata, ma poco condivisa.
    Osservo inoltre che la distinzione tra filosofia e scienza è presupposta, senza essere tematizzata, in buona parte della filosofia della scienza. Cito, come esempio, un passaggio del libro di Mauro Dorato Cosa c’entra l’anima con gli atomi? Introduzione alla filosofia della scienza (Laterza 2009, pag. 9): “Indipendentemente dal nostro atteggiamento verso di essa, la scienza e le sue applicazioni costituiscono parte integrante della nostra cultura. Il problema di stabilire come il sapere scientifico si dinstingua da altre tradizionali forme di ‘interpretazione del mondo’, quali quelle offerte dalla religione, dal mito, dall’arte, e dalla filosofia stessa, è un altro tema squisitamente filosofico, che non può essere affrontato da una singola scienza. Per cercare di risolvere tale importante problema limitandoci alla filosofia, è però necessario tenere un piede sia nella conoscenza scientifica sia in quella filosofica; come già accennato, la caratterizzazione del rapporto tra filosofia e scienza costituisce essa stessa un problema filosofico, le cui possibili soluzioni si spera saranno un po’ più chiare alla fine di questo libro.”
    Tornando alla questione centrale, quello che sostengo è che la filosofia, in quanto non riesce in alcune sue parti costitutive a raggiungere l’oggettività, resta almeno in parte legata alla soggettività dei suoi autori, e in questo senso vi è una parziale somiglianza con l’arte.
    Nella filosofia la presenza di questo elemento soggettivo non è certamente mai diventato norma, ma resta un dato di fatto caratterizzante. Spesso una posizione teorica, in filosofia, finisce per essere identificata con il suo autore.
   L’aspetto soggettivo della filosofia lo intendo in questo senso: di fronte a più opzioni teoriche ugualmente legittime (cioè razionalmente argomentate ma con argomenti diversi, che portano a tesi diverse) un autore “preferisce”, “sceglie” un’opzione piuttosto che altre, e poi va avanti a costruire in base a quella. Nello stesso modo in cui, di fronte alla scelta su come iniziare una partita a scacchi, un giocatore ha di fronte a sé alcune opzioni, con varianti e sotto-varianti, già molto studiate e approfondite (ci sono volumi e volumi di “teoria delle aperture”) e sceglie sulla base della propria propensione o simpatia verso il tipo di gioco che è previsto svilupparsi da quelle opzioni. (Avevo già proposto questa immagine in uno scritto sul mio blog, partendo dalla lettura del libro di Borghini sopra ricordato: https://giulionapoleoni.blogspot.it/2010/05/la-filosofia-come-esplorazione-delle.html)














8 giugno 2016

L'idea di "filosofia come scienza". Una lettera metafilosofica di Franca D'Agostini





Qualche tempo dopo aver letto il mio scritto Insegnare meglio la filosofia. Proposta di rinnovamento dei contenuti del corso di filosofia nei licei, Franca D'Agostini mi ha inviato una lettera nella quale sviluppa importanti riflessioni sullo statuto epistemologico della filosofia e più in generale su cosa sia la filosofia e su cosa significhi essere filosofi.
Le ho in seguito chiesto il permesso di pubblicare qui questa lettera ed ha gentilmente acconsentito.


Caro Giulio,

ti ringrazio per l’intelligenza e la cura con cui tratti le cose che scrivo: qualità rare in questi tempi vaghi e inveleniti. Il programma mi piace molto: come tu stesso dici, sono in parte idee su cui io stessa lavoro, in parte precisazioni e proposte che mi sembrano ineccepibili e importanti. 

Vorrei però precisare alcune cose, in particolare in relazione all’idea di «filosofia come scienza». 

1. Nel dire che la filosofia (F) è ‘una scienza’ intendo anzitutto ‘scienza’ in senso preliminare: una materia specifica di studio, insegnamento, ricerca. Che la F sia una scienza in questo senso penso che non vi siano molti dubbi: è un fatto. Che debba esserlo o meno, è un’altra questione. 

2. In un senso un po’ più specifico, una scienza è una attività intellettuale le cui tesi e teorie dovrebbero essere valutabili con una certa oggettività. In questo senso, la F forse non è una ‘scienza’ ma sarebbe augurabile che lo fosse. Sarebbe utile poter dire con qualche ragione ‘questa è buona F’, ‘questa non lo è’, oppure: ‘questa è una tesi F’, ‘questa non lo è’. Dovremmo poterlo dire, se no non si capisce di che cosa stiamo parlando. 

3. Da questo punto di vista però non penso che l’essere scienza della F escluda ogni elemento ‘artistico’. Anzi, smetterei di trattare arte-scienza-filosofia come fossero «sfere» separate (al modo weberiano, tardo-moderno): c’è dell’arte nella scienza e c’è della scienza nell’arte, e c’è filosofia in entrambe. Che arte scienza e F si riferiscano ad attività metodologicamente diverse è ovvio, ma dal punto di vista degli atteggiamenti intellettuali, il filosofico l’artistico e lo scientifico sono pervasivi: possono compenetrarsi a vicenda.
Lo ricordavo già in Nel chiuso, e tenderei a confermarlo oggi. Esattamente come parliamo di buona e vera scienza, allo stesso modo parliamo di buona arte e arte vera. Che non sia sempre facile discriminare… beh, questo è precisamente ciò che la F dovrebbe aiutarci a fare.

4. La Prima lezione di F di Roberto Casati è un ottimo libro, ma è un libro di divulgazione, dunque non lo tratterei come una vera e completa presa di posizione metafilosofica. Sarebbe ingiusto anzitutto nei confronti dell’autore, che probabilmente su ogni punto avrebbe altre cose da dire. Ciò posto, la definizione di F come «stipulazione concettuale» proposta da Casati credo sia ingegnosa e veritiera, ma è solo una parte – e neppure così rilevante – di ciò che si può ragionevolmente chiamare ‘F’. 

5. Anche io, come Casati, ritengo che la F in pratica sia stipulazione concettuale, e sia una pratica ‘diffusa’, ma occorre intendersi. È vero che i concetti sono ovunque, e ovunque possono suscitare problemi. È vero anche che tutti sono in grado di fornire analisi concettuali, più o meno buone. Dirò di più: non è affatto necessario prendere una laurea e un dottorato in F per farlo bene, e meglio di molti F professionali. 
Ma si vede bene con ciò che la nozione di ‘stipulazione concettuale’ non dice molto. Se davvero dobbiamo limitarci a questo, non si sa perché abbiamo dovuto creare così tanti settori disciplinari, riviste, apparati accademici detti ‘F’, per fare un lavoro che tutti sanno fare. E per di più un lavoro che è così poco caratterizzato, sul piano dei contenuti e delle tecniche, da dover essere concepito come ‘un’arte’ (se con questo si intende: un’attività non normale, in quanto non soggetta a norme di alcun genere). 

6. In verità ho altre idee al riguardo: 

(a) credo che la F sia una scienza abbastanza ‘normale’ – ossia una materia come molte altre, e non meno caratterizzata di altre scienze soft (anzi forse più caratterizzata di alcune di esse); 
(b) ‘la F’ non è solo una materia di studio (da esercitarsi in modo scientifico, o artistico, o in entrambi i modi): nella parola ‘F’ c’è qualcosa di più.  

7. La tesi (a) è stata difesa da Timothy Williamson (The Philosophy of Philosophy) con buone ragioni, e non ne direi molto di più. Aggiungerei soltanto che dalla mancata normalizzazione della filosofia provengono molti danni e disguidi dell’attuale gestione scientifica della F, in particolare (vedi il punto 2) il successo pubblico di ‘F’ che non hanno niente di F. Ne ho parlato di recente in Realismo? (cap. 3), e lascerei da parte la questione.

8. La tesi (b) invece va spiegata. Credo che con ‘F’ si intendano e debbano intendersi due cose: una scienza (nel senso indicato), o meglio: un vasto settore scientifico (che include epistemologia, logica, metafisica, etica, ecc.); e un’ipotesi antropologica, ossia un modo d’essere (di pensare, di comportarsi) degli esseri umani. 
Un conto dunque è studiare F e un altro essere F. Ci sono intersezioni, ma sono due proprietà distinte. Tutti idealmente possono essere F, senza grandissimo sforzo, mentre per studiare F bisogna faticare un po’. 

9. Quanto alla F come materia di studio ricerca insegnamento, la caratterizzazione di Nel chiuso per me funziona ancora abbastanza bene: la F è scienza-studio dei «fondamenti», che finisce per trattare soprattutto concetti fondamentali o primi o trascendentali o concetti di ordine superiore come: identità, unità, bene, verità, giustizia, ecc.
Quanto alla F come ipotesi antropologica, la questione può essere più complessa, ma in estrema sintesi direi che per ‘essere F’ bastano due requisiti: una certa dose di idealità (essere capaci di ‘trascendimento’ dunque di immaginare mondi-situazioni possibili che superino il qui e ora della coscienza empirica, e gli interessi individuali) e una buona dose di scetticismo (essere capaci di critica e autocritica, o ironia e autoironia). Avrai riconosciuto i requisiti socratici: non credo ci sia molto di più. 

10. È abbastanza chiaro che molti sono ‘F’ e tutti possono esserlo, se intendiamo ‘essere F’ non nel senso del sapere o poter fare analisi dei concetti, ma in un senso più forte e primario (socratico) dell’espressione. 
Naturalmente, chi si occupa ‘scientificamente’ di F (che secondo me, come credo sia chiaro, non si limita a stipulare definizioni concettuali così in generale e senza specificazioni), potrebbe non essere affatto ‘F’ in questo senso. Potrebbe essere del tutto privo di idealità e di (auto)ironia. Per quel che ne so, molti tra i F professionali che conosco sono manifestamente privi tanto dell’una quanto dell’altra qualità.

11. Delle ragioni per cui essere F secondo me sta diventando un fatto antropologico più che un’ipotesi o un ideale, non parlerò qui, perché credo che quanto ho detto già chiarisca il mio punto di vista rispetto ai problemi da te sollevati.

Grazie della tua attenzione. Per ora un saluto e buon lavoro F