24 dicembre 2015

Mente e cervello in una poesia di Valerio Magrelli. Sulla natura umana






Io abito il mio cervello
come un tranquillo possidente le sue terre.
Per tutto il giorno il mio lavoro
è nel farle fruttare,
il mio frutto nel farle lavorare.
E prima di dormire
mi affaccio a guardarle
con il pudore dell'uomo
per la sua immagine.
Il mio cervello abita in me
come un tranquillo possidente le sue terre.


Gli ultimi due versi di questa poesia di Valerio Magrelli (da Ora serrata retinae) colpiscono per la specularità sospesa, rispetto ai primi due:

Io abito il mio cervello / Il mio cervello abita in me

Sospesa perché dopo l'ultimo verso verrebbe voglia di continuare la poesia ri-scrivendo tutto dal punto di vista del cervello (non più dell'Io)... Ma come continuare?
Forse così:

Per tutto il giorno il suo lavoro
è nel farle fruttare, il suo frutto nel farle lavorare.

Il quarto e quinto verso della poesia presentano un'altra specularità: lavoro è far fruttare (la terra), frutto è far lavorare (la terra).
Sembra insomma di scorgere la rappresentazione di uno strano rapporto tra cervello (corpo) e mente: la mente fa lavorare il corpo e il corpo fa lavorare la mente... ma quello che conta, alla fine, è che al di là del punto di vista, al di là del punto di partenza, l'uomo (corpo-cervello+mente) consiste (quando riesce a dare il meglio di sé, quando non cede alla regressione verso la bestia) in un continuo, costante, quotidiano lavoro di messa a frutto delle proprie capacità, che sono corporeo-mentali (o mental-corporee). La natura umana sta in questo destino di intreccio fra cervello e mente che richiede lavoro continuo: solo fruttando, lavorando con la mente-cervello, l'uomo realizza la propria vita nel modo migliore e può contemplare alla fine della giornata (della vita) le sue opere (la sua immagine) con pudore e soddisfazione.

20 dicembre 2015

Nel Dipartimento di Filosofia della Statale di Milano riemerge il dissidio Analitici vs Continentali?







Ricostruiamo qui, seguendone le tracce in tre "puntate" su La Repubblica Milano – articoli usciti rispettivamente il 15/12, il 17/12 (con la doppia intervista Giorello/Boella) e 20/12 – una vicenda che lascia stupiti quanti pensavano che ormai la tensione fra tradizione analitica e tradizione continentale fosse sulla strada di una graduale ricomposizione, o quantomeno di una progressiva contaminazione.
Da quanto si legge le cose non stanno affatto così, sia sul piano delle posizioni ideali sia sul piano dei rapporti interpersonali...

15/12
Proteste, veleni e prof in partenza. La lite dei filosofi scuote la Statale
Lotta tra innovatori e tradizionalisti nel dipartimento: sette docenti chiedono di essere trasferiti a Storia
di LUCA DE VITO

C’è un terremoto in corso nel dipartimento di Filosofia dell’università Statale, dove sette docenti (su 42), tra professori ordinari, associati e ricercatori, hanno chiesto in blocco di essere trasferiti presso il dipartimento di Storia. Una presa di posizione clamorosa che mette a rischio l’esistenza stessa di uno degli ultimi due dipartimenti di Filosofia presenti negli atenei pubblici di tutta Italia (l’altro è alla Sapienza). La possibilità concreta, adesso, è che Filosofia possa scomparire da via Festa del perdono.
I sette scissionisti sono Elio Franzini, ordinario di Estetica, Laura Boella ordinario di Filosofia morale, Renato Pettoello ordinario di Storia della filosofia, Franco Trabattoni ordinario di Storia della filosofia antica, Paolo Valore ricercatore in Storia della filosofia, Amedeo Vigorelli associato di Filosofia morale e Miriam Franchella associato di Logica. Hanno affidato le loro motivazioni a sette lettere inviate al dipartimento che, con toni diversi, insistono tutte sullo stesso punto: ovvero una critica alla trasformazione in atto che sta riguardando la natura stessa del centro. Per usare le parole usate dal professor Pettoello nella sua lettera «si è finito con lo snaturare del tutto il dipartimento gettando alle ortiche un’antica e consolidata tradizione di studi». Oppure quelle di Franzini: «Ritengo che sul piano scientifico il dipartimento stia perdendo la sua identità o meglio stia scegliendo una sorta di identità multipla». Nel merito, gli scissionisti criticano la scelta di aver assunto studiosi di altre discipline (come ad esempio l’informatica) e di “scientificizzare” troppo il dipartimento.
Sul trasferimento dovranno pronunciarsi i colleghi che si riuniranno domani, anche se la decisione finale spetterà al consiglio d’amministrazione dell’ateneo che potrebbe anche respingere la richiesta dei docenti. Tuttavia si tratta di una vicenda che è destinata a lasciare strascichi pesanti. Anche perché la fazione contraria sembra intenzionata a dare battaglia: secondo alcuni infatti il trasferimento sarebbe solo una manovra “politica” messa in atto proprio da quei professori che rappresentano la ex governance. Una manovra per osteggiare il nuovo corso e mettere a rischio l’esistenza stessa del dipartimento.
Decisamente perplesso sulla decisione dei sette è il direttore del dipartimento, il professor Alessandro Zucchi: «Quello che stiamo mettendo in atto è un cambiamento che rendono di più dal punto di vista della ricerca — spiega —. Penso a un allargamento alle scienze cognitive, in cui i filosofi che vogliono studiare la mente collaborano con gli scienziati. Oppure ai filosofi che si interessano di intelligenza artificiale che lavorano con scienziati computazionali. Poi certamente abbiamo una tradizione di storia della filosofia che è importante, ma servono persone che pubblichino su riviste internazionali di livello alto. Questa è una direzione che stanno prendendo tutte le grandi università internazionali. Adesso abbiamo buoni risultati, ma quello che ci era stato lasciato in eredità era un dipartimento di serie B».

17/12
È polemica tra docenti al dipartimento di Filosofia della Statale
Statale, la lite dei filosofi vincono gli innovatori perdono i tradizionalisti “No alla scissione”
di LUCA DE VITO

Il Collegio dei docenti di Filosofia ha respinto la richiesta di trasferimento dei sette professori “scissionisti” che avevano chiesto di spostarsi a Storia, mettendo così a rischio l’esistenza stessa del dipartimento (che ha già un organico al minimo). Un “no” che è arrivato a larga maggioranza: 26 contrari, quattro gli astenuti e un solo voto favorevole ai trasferimenti, quello della professoressa Boella, uno dei sette docenti in partenza (gli altri sei non si sono presentati).
L’accusa mossa dagli scissionisti era quella di un’eccessiva “scientificizzazione” del dipartimento. La risposta, arrivata con il documento approvato al termine della riunione, respinge «con fermezza» l’accusa di snaturamento del dipartimento e condanna il metodo con cui lo “scisma” è avvenuto.
Nello stesso documento viene poi sottolineato il rischio di creare danni con la trasmigrazione di una minoranza in disaccordo, ovvero la possibilità di chiusura.
La parola fine su questa vicenda spetta comunque al consiglio d’amministrazione — il parere dei docenti non è vincolante — che deciderà se approvare o meno le richieste avanzate. In ogni caso, nulla si muoverà prima di gennaio 2016 e i trasferimenti, se dovessero essere approvati, non avverrebbero prima dell’inizio del prossimo anno accademico. Quello che è certo, però, è che la vicenda avrà strascichi in quello che è uno degli ultimi due dipartimenti di Filosofia all’interno di università pubbliche italiane (l’altro è alla Sapienza). I rapporti tra i sette docenti e il resto del corpo accademico sono ormai compromessi e la rottura è definitiva.
Anche perché, in un’altra lettera firmata dai sette e inviata ai membri interni del consiglio di amministrazione, si fa riferimento alla precisa volontà di creare un nuovo polo di studi filosofici. Non sono da sottovalutare poi neanche gli effetti collaterali che potrebbero esserci su tutto l’ateneo: la fuoriuscita — che non avrebbe precedenti nella storia della Statale — potrebbe infatti causare una reazione a catena che coinvolgerebbe anche gli altri dipartimenti. Uno spostamento di pedine in cui, alla fine, qualche settore disciplinare avrebbe sicuramente la peggio.

CON I RIFORMISTI: GIULIO GIORELLO
“I maestri dell’ateneo non hanno avuto paura della scienza”
Giulio Giorello, filosofo della Scienza e docente della Statale in pensione da un mese, è uno dei grandi nomi del dipartimento di Filosofia.
Che cosa ne pensa della posizione degli “scissionisti”?
«Quelle posizioni esprimono una paura della scienza e del rigore scientifico che il nostro Paese ha già conosciuto, fin dai tempi delle polemiche degli idealisti contro gli scienziati che volevano parlare di filosofia ».
Ma si tratta di posizioni che si muovono nel solco della tradizione oppure no?
«Assolutamente no, fanno a pugni con l’insegnamento che abbiamo ricevuto da grandi maestri come Enzo Paci, Mario Dal Pra e Ludovico Geymonat, i grandi filosofi della Statale. Erano tutti felici della contaminazione delle idee filosofiche con la pratica scientifica».
In che modo dialogavano con altre discipline?
«Non avevano certamente paura del confronto con le materie scientifiche, al loro tempo c’era soprattutto un’attenzione per la fisica, la biologia e la matematica. A Milano più di una volta vennero cooptati dentro il dipartimento degli studiosi che avevano una laurea scientifica. Il professor Corrado Mangione veniva da matematica, ad esempio. Non c’erano steccati disciplinari, anche perché questi nostri grandi maestri avrebbero dato ragione a Karl Popper almeno su un punto: “Non siamo studiosi di discipline, siamo studiosi di problemi”. E un problema ti prende per mano e ti conduce dove meno te lo aspetti».
Ma perché si parla di uno snaturamento del dipartimento?
«Credo che, sotto sotto, operi in questi colleghi una forma di timoroso conservatorismo. L’incontro con grandi studiosi scientifici costringe a essere rigorosi e precisi. A ripulire il proprio pensiero. A uscire dalle abitudini. E questo fa sì che un dipartimento serio torni ad essere un dipartimento di serie A. Bisogna fare attenzione: se si tagliano questi rapporti con la scienza, si fa poca strada ».
E il dipartimento di Filosofia oggi è di serie A o di serie B?
«Oggi c’è un manipolo di giovani (e meno giovani) di altissimo livello, con prestigio internazionale e che si sono fatti le ossa con lavori realizzati in modo scientifico e rigoroso. Penso a Corrado Sinigaglia, che ha scritto un libro con Giacomo Rizzolatti che ha avuto più di dieci traduzioni all’estero. Potrei citare poi i bei lavori di filosofia della mente della professoressa Clotilde Calabi. Oppure i lavori di Luca Guzzardi che collabora con l’Osservatorio di Brera per mettere a punto l’edizione critica di Boscovich. Persone che ci vengono invidiate all’estero».
(luca de vito)

CON I CONSERVATORI: LAURA BOELLA
“Ormai non c’è più pluralismo delle idee e rispetto personale”
Laura Boella, ordinario di Filosofia morale, è uno dei sette docenti che hanno chiesto il trasferimento a Storia. Parla a titolo personale, non come portavoce dei colleghi e ci tiene a spiegare la sua posizione, «anche perché ho ricevuto molte email da parte di studenti che sono preoccupati e vogliono capire».
Professoressa, perché avete deciso di lasciare il dipartimento?
«Per quanto mi riguarda non si tratta di un contrasto tra linee filosofiche, tutt’altro. L’apertura a discipline non filosofiche nel nostro dipartimento ha una lunga tradizione. Io lavoro sull’empatia con un orientamento fenomenologico, studi che si sono incontrati ampiamente con le scienze cognitive. E il nostro è sempre stato un dipartimento all’avanguardia da questo punto di vista».
Qual è allora la motivazione?
«Il dipartimento di filosofia ormai da alcuni anni si è trasformato. Una trasformazione a cui ha corrisposto una crisi. Molti colleghi sono andati in pensione e c’è stato un turnover. Sono arrivati colleghi più giovani che hanno fatto progressione di carriera e hanno portato tematiche e metodologie diverse. Cosa che ha portato a una lacerazione interna».
E questo è un male?
«Il punto è che questa trasformazione è avvenuta in modo brusco. Adesso si è affermato un senso comune molto diffuso, ovvero che la ricerca debba essere improntata ai metodi della filosofia analitica. Ci tengo a dire anche che io e altri colleghi ci siamo in molti modi aggiornati e abbiamo valorizzato questo trend legato alla filosofia anglosassone. La cosiddetta filosofia continentale e quella anglosassone, peraltro, dialogano da sempre».
Ma c’è qualcosa che non va lo stesso.
«Si è instaurata una modalità di relazione tra colleghi molto negativa che per me è diventata intollerabile. In dipartimento sono venuti a mancare l’apertura e il pluralismo. Ma manca anche un rispetto di base per le persone».
E quindi avete chiesto il trasferimento.
«Un gesto che definisco di politica culturale. Siamo persone che hanno contribuito molto alla storia del dipartimento. Ma adesso siamo invisibili, inesistenti. Se si obietta, si viene presi in giro e si rimane inascoltati. È diventato un luogo invivibile».
Ma quindi siamo a un punto di non ritorno?
«Io ho sempre perorato la causa di una mediazione. Che però non c’è mai stata. E ormai lasciare è una scelta quasi obbligata, almeno per me».
Che cosa risponde a chi dice che mettete a rischio l’esistenza stessa del dipartimento?
«Nessuno di noi ha volontà distruttive. Semmai si poteva rispondere alla nostra provocazione con un’assunzione più radicale del problema. Siamo pochi, siamo divisi, vediamo se si possono cambiare le cose. Ma questa risposta non c’è stata. E per noi il dado è tratto».
(luca de vito)

20/12
NON SPARATE SULL’UMANISTA
Armando Besio
Due libri aiutano a comprendere lo scontro (anche) ideologico tra “umanisti” e “scienziati” in corso al Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi. Li hanno scritti due dei più autorevoli tra gli esponenti delle “fazioni” in lotta. “Non sparate sull’umanista” è il titolo dell’ultimo saggio del prof Elio Franzini (Milano 1956), ordinario di Estetica (pubblicato da Guerini e Associati, firmato insieme con Antonio Banfi e Paola Garimberti).
Contesta l’applicazione agli studi umanistici dei criteri di valutazione della ricerca applicati alle “scienze dure”. Sul fronte opposto, una lettura interessante è quella del bestseller del prof Corrado Sinigaglia (Milano 1966), ordinario di Filosofia della Scienza: “So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio” (edito da Raffaello Cortina), Scritto a quattro mani con il famoso neuroscienziato Giacomo Rizzolati, ha venduto oltre 30 mila copie (in 10 edizioni) ed è stato tradotto in tutte le principali lingue, tra cui giapponese, russo e persiano.

6 dicembre 2015

Insegnare meglio la filosofia. Proposta di rinnovamento dei contenuti del corso di filosofia nei licei












1. Questo testo è indirizzato al Dr. Alessandro Gullo, Dirigente dell’Istituto di Istruzione Superiore “Salvador Allende” di Milano, – scuola nella quale insegno Filosofia e Storia dall’a.s. 2009-2010 –, nell’ambito della raccolta, promossa dalla dirigenza di questo istituto, di proposte innovative che accolgano le possibilità aperte dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione), ma si rivolge contemporaneamente a tutti i docenti di Filosofia nella scuola superiore e a tutti coloro che sono coinvolti nel processo di ripensamento dei programmi dell’istruzione superiore, nella convinzione che l’attuale riforma non debba essere interpretata come l’invito ad una “competizione” tra istituti. In altre parole, se ci sono delle idee buone su come insegnare meglio, è bene che tutti i soggetti coinvolti ne siano a conoscenza.

2. Questo testo si propone di tenere conto delle idee sull’insegnamento della filosofia di due filosofi italiani contemporanei, Franca D’Agostini e Roberto Casati, che pur avendo espresso concezioni della filosofia che presentano significative divergenze una rispetto all’altra, finiscono in realtà per convergere su alcuni punti importanti (per notizie su entrambi gli autori e per i riferimenti bibliografici si veda il punto 7 di questo testo). Oltre alla riflessione su quanto propongono questi due autori, la presente proposta tiene inoltre conto, come è naturale, della mia personale esperienza di docente della materia, esperienza iniziata nell’a.s. 1999-2000 (i licei dove ho insegnato, prima di quello attuale, sono il Parini di Milano, il Falcone e Borsellino di Arese, il Vittorini di Milano).

3. L’idea di base che intendo sostenere è che l’insegnamento della filosofia non possa consistere esclusivamente nella trattazione della storia della filosofia, e che occorra introdurre contenuti di altro tipo, che espongo sinteticamente nei punti 5-6, sulla base di alcune considerazioni di ordine metafilosofico che espongo nel punto 4.
    In termini di orario l’idea sarebbe questa: attualmente la storia della filosofia occupa 3 ore settimanali nel triennio del liceo classico e del liceo scientifico. Si potrebbe sottrarre un’ora alla settimana in ciascun anno del triennio e si avrebbe così un monte ore totale di 90 ore circa (30 ore per ciascun anno) da dedicare ad altre cose, sempre inerenti alla filosofia. Naturalmente questo comporterebbe anche una riduzione della quantità di autori trattati nel programma di storia della filosofia. (Meno ore = meno contenuti, secondo una ovvia equazione che invece pare non sia stata tenuta in considerazione da chi, nei nuovi programmi di storia del triennio, ha aumentato la quantità di contenuti da svolgere e contemporaneamente ha diminuito le ore curricoli…)
     Si aprirebbe quindi una discussione, da svolgere in sede di Dipartimento di Filosofia e Storia, su quali siano gli autori veramente importanti e irrinunciabili in ciascun anno del triennio. La mia proposta a questo riguardo, molto sinteticamente, è questa: in terza la filosofia antica e tardo-antica (fino ad Agostino), dando spazio a Platone e Aristotele; in quarta (tagliando il Medioevo tranne Tommaso) la filosofia moderna (ma senza Rinascimento) con due razionalisti, due empiristi e ampio spazio a Kant; in quinta un Ottocento sintetizzato (Hegel, Marx, Nietzsche) e più spazio al Novecento, con una scelta equilibrata di autori/tematiche che renda conto della frattura fra tradizione continentale e tradizione analitica.

4. Per migliorare l’insegnamento della filosofia occorre innanzitutto porsi la domanda metafilosofica: che cos’è la filosofia?
     Una buona risposta da cui partire è la definizione che Franca D’Agostini elabora nel suo testo metafilosofico di maggiore impegno (si veda il punto 7): “la filosofia è una scienza dei fondamenti, dove scienza è attività razionale di soluzione o elaborazione di problemi, e fondamenti sono le credenze di fondo, più o meno comuni, che orientano dubbi e certezze”. I problemi filosofici sono tali perché mettono in questione alcuni concetti particolari (che D’Agostini chiama “superconcetti”) che hanno “speciali proprietà ordinatrici e orientative”: verità, essere (o realtà), bene sono i più importanti, ma ve ne sono anche altri e il loro insieme è aperto: conoscenza, esistenza, bello, giusto, valore, natura, storia, tempo, spazio, azione, energia, vita, pensiero, coscienza… “Le proprietà principali dei superconcetti sono schematicamente tre: l’autoriferibilità” (pensare il pensiero, conoscere la conoscenza, valutare la valutazione…), “la determinazione reciproca o convertibilità dei rapporti di fondazione” (la conoscenza può essere usata per definire la realtà, e la realtà per definire la conoscenza…), “il reciproco negarsi o contrastarsi” (la conoscenza può tendere a dominare sulla realtà, fino ad annullarla: forme di fenomenismo scettico; oppure, dal contrasto storia-verità proviene il relativismo storicista… “Il caso in cui ciascun concetto è fatto agire contro tutti gli altri si definisce nichilismo”). Ogni lavoro filosofico, cioè ogni lavoro sui fondamenti (cioè sui concetti fondamentali) è esposto a rischi di cui occorre tenere conto: “Nella pratica dei superconcetti, in altre parole, basterà tenere conto che i superconcetti si autoriferiscono e che questo può dar luogo a regressi;” (all’infinito) “si determinano reciprocamente, e questo può dare luogo a circoli;” (viziosi) “si contrastano reciprocamente, e dunque la loro definizione (se evita il circolo o il regresso) rischia di essere arbitraria o dogmatica”.
     Abbiamo quindi qui proposta un’immagine della filosofia come scienza, una scienza che lavora su concetti fondamentali cercando di definirli, analizzarli, indagarne i reciproci rapporti, avendo di mira obiettivi di chiarificazione, orientamento, fondazione: “I filosofi, come ritenevano anche gli antichi, sono i più concreti e pratici tra gli uomini: ma ciò avviene perché trattano anche l’astratto come se fosse concreto, e fanno della teoria una prassi. Naturalmente questo avvicina i filosofi ai matematici, e non credo sbagli chi ritiene che la filosofia sia una specie di matematica allargata, ossia: un’impresa teorica che lavora con oggetti puri o parzialmente tali, ma è interessata alle loro origini e alle loro applicazioni impure, cioè ai loro rapporti con la reltà naturale, culturale e storica, con le forme di vita e con i moventi dell’azione”.
     All’opposto (ma l’opposizione è più superficiale che sostanziale) abbiamo una concezione come quella di Roberto Casati, per il quale la filosofia è un’arte, l’arte del negoziare concetti. “Tipicamente in un negoziato concettuale si cerca di imbastire una spiegazione o una narrazione che ci permettano di ricomporre una tensione concettuale.” E quando si creano le tensioni concettuali? “ovunque dei cambiamenti in quello che sappiamo o in quello che facciamo esercitano una pressione sulle idee nelle quali fino ad allora ci eravamo cullati riguardo alle situazioni del mondo che ci circonda. Sono cambiamenti dovuti alle nuove conoscenze che la scienza ci propone; a nuovi assetti della società; a profonde trasformazioni nella nostra vita personale.” In altri termini i filosofi entrano in azione quando siamo costretti a rivedere idee, abitudini, modi di agire consolidati. I filosofi possono inventare nuove opzioni concettuali, o fornire criteri comuni di giudizio che permettano il dialogo tra concezioni del mondo differenti. I filosofi sono “negoziatori concettuali per vocazione o per professione”, ma Casati sostiene anche che c’è molta filosofia in luoghi e situazioni che non sono le aule delle facoltà di Filosofia: “troviamo negoziati concettuali quando abbiamo fusioni aziendali e dobbiamo far dialogare diverse culture di impresa, quando decidiamo quali statistiche sono pertinenti per valutare il senso di insicurezza, quando ci poniamo domande sulla natura corpuscolare o ondulatoria della luce, quando ci prefiggiamo degli obiettivi educativi, quando aiutiamo i nostri figli a crescere, quando accettiamo di star invecchiando”.
     Apparentemente abbiamo quindi appena richiamato due concezioni molto diverse della filosofia: scienza dei fondamenti, arte del negoziato concettuale. Ma innanzitutto notiamo che entrambe le concezioni riconoscono che la materia con cui la filosofia lavora sono i concetti, e se andiamo poi a vedere come i due filosofi che abbiamo scelto descrivono la pratica filosofica, ci accorgiamo che in realtà convergono sul riconoscere la filosofia come un’attività che mette in gioco una serie di strumenti e tecniche del pensiero, del ragionamento, dell’immaginazione, ed è proprio sull’insegnamento di questi strumenti e di queste tecniche che si basa la presente proposta. Sarebbe troppo lungo ricostruire qui i percorsi convergenti di questi due filosofi (qualche cenno lo si può trovare nel punto 7), mentre è più importante qui mostrare in concreto quali contenuti possono realmente formare gli studenti alla filosofia come pratica discussiva, critica, e capace di creare ponti e mediazioni in difficili situazioni di transizione o di conflittualità.

5. I contenuti nuovi delle ore di filosofia (quelle 90 ore che risulterebbero dalla riduzione della storia della filosofia) dovrebbero quindi riguardare proprio l’apprendimento di alcune capacità fondamentali che appartengono alla tradizione filosofica ma che dovrebbero appartenere a tutti i cittadini in una società democratica: la capacità di ragionare in modo corretto, per poter dialogare razionalmente con gli altri ed essere in grado di riconoscere chi dice la verità e chi mente; la capacità di analizzare le motivazioni del proprio agire e dell’agire altrui; la capacità di esplorare il campo delle possibilità alternative di fronte a una situazione problematica o confusa; la capacità di confrontare punti di vista diversi sul mondo e modi diversi di agire.
     1) Una parte importante di queste ore dovrebbe essere dedicata allo studio  e alla pratica della logica (logica enunciativa e logica predicativa, sulla base della deduzione naturale), in stretta connessione con la teoria dell’argomentazione e con l’analisi delle fallacie (argomenti che sembrano corretti ma non lo sono realmente). Andrebbero anche mostrate almeno le impostazioni di base di alcune logiche non classiche, in particolare la logiche modali (che studiano i ragionamenti che coinvolgono il possibile e il necessario, e avviano quindi al pensiero “parametrico”, divergente), le logiche paraconsistenti (che violano il principio di non contraddizione, da studiarsi insieme all’analisi dei paradossi), la logica fuzzy (che studia ragionamenti in cui è coinvolta la vaghezza concettuale). 
     Prima di proseguire rispondo a una prevedibile obiezione: perché la logica e non invece, poniamo, l’etica, l’estetica o l’ontologia? Il motivo principale è la connessione tra competenze logico-argomentative e cittadinanza democratica. Ma in secondo luogo anche il fatto che ragionare in modo corretto serve a costruire e valutare discorsi in tutti i campi specifici della filosofia sopra ricordati, quindi è una capacità preliminare, basilare, trasversale ai “settori” della filosofia (la stessa ragione per cui Andronico di Rodi ha classificato le opere aristoteliche di logica come Organon, strumento…).
     2) Vi sono poi alcune teorie (che chiamiamo per sintetizzarle “teorie integrative”), che andrebbero proposte sempre in modo esperienziale, pratico, importanti per educare alla cooperazione e alla comprensione della diversità: la teoria delle decisioni, la teoria dei giochi, l’ermeneutica, le teorie sulla gestione dei conflitti e sull’arte di ascoltare (ascolto attivo, autoconsapevolezza emozionale)
     3) Andrebbero insegnate anche tecniche tipiche del lavoro filosofico (attraverso l’analisi di testi o la discussione guidata su casi o problemi specifici) quali l’analisi concettuale (correlata alla ricerca di definizioni e distinzioni), la ricerca di esempi e controesempi, la costruzione di esperimenti mentali, il ricorso all’analogia (tra argomentazioni e tra problemi), l’esplicitazione dell’implicito e del presupposto, la sperimentazione dello straniamento (guardare le cose come se fossero altro). Una particolare attenzione andrebbe posta, anche nel modo di presentare la storia della filosofia, all’analisi di quali operazioni sui superconcetti ciascun filosofo di fatto ha prodotto con le sue teorie e le sue tesi.

6. Ipotesi di ripartizione dei nuovi contenuti nel triennio:
(nel passare da una classe alla successiva le abilità legate ai contenuti dell’anno precedente andrebbero continuamente coltivate ed esercitate)

classi terze:
riconoscimento di premesse e conclusioni in un testo argomentativo
traduzione dal linguaggio naturale al linguaggio logico
logica enunciativa
ricerca di esempi e controesempi
ricorso all’analogia

classi quarte:
logica predicativa
analisi delle fallacie
analisi concettuale
esplicitazione dell’implicito e del presupposto
costruzione di esperimenti mentali

classi quinte:
esplorazione di base di alcune logiche non classiche
teorie integrative (teoria delle decisioni, teoria dei giochi, ermeneutica…)
sperimentazione dello straniamento
teoria delle operazioni superconcettuali

7. Franca D’Agostini insegna Filosofia della scienza al Politecnico di Torino e Logica ed Epistemologia delle scienze sociali all’Università Statale di Milano. La sua riflessione metafilosofica inizia con Analitici e continentali (1997), forse il suo testo più famoso, tradotto in varie lingue, e prosegue con Breve storia della filosofia nel Novecento (1999) per approdare poi al suo testo metafilosofico maggiore: Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza. Dieci lezioni sulla filosofia contemporanea (Carocci, 2005), da cui sono tratte le citazioni di questo testo. L’idea che la logica vada insegnata come disciplina di base nelle scuole è sua; ne parla da molti anni e ha scritto diversi testi che possono servire come manuali a questo scopo: Le ali del pensiero (2003, ripubblicato quest’anno da Carocci), Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico (Bollati Boringhieri 2010), un testo che ha avuto molto seguito e continua ad essere ristampato,  I mondi comunque possibili. Logica per la filosofia e il ragionamento comune (Bollati Boringhieri 2012), Logica in pratica (Carocci 2013). Dietro a questa idea c’è l’idea che la democrazia sia “filosofia al potere”, non nel senso di Platone, ma nel senso che la vita democratica si basa su buoni ragionamenti, orientati al vero e al bene, e si nutre di confronto di opinioni e di discussione critica.
     Preziose riflessioni sull’insegnamento della filosofia sono contenute nella sezione 3.6 di Nel chiuso (cit.), a partire da questa impostazione: “In linea di principio, in qualsiasi materia, dovrebbero esserci tre tipi diversi di lavoro da svolgere e tre obiettivi didattici: 1. formazione di abilità; 2. trasmissione di informazioni di tipo storico; 3. trasmissione di informazioni di tipo teorico o sistematico”. Ma tutto il volume si può leggere in questa chiave, dal momento che dopo i primi quattro capitoli, dedicati a questioni metafilosofiche, il capitolo 5 (“Metodi e tecniche filosofiche”) introduce a una seconda parte del libro dedicata ad illustrare i contributi che alla definizione di questi metodi hanno dato la logica (capitolo 6), la fenomenologia (cap. 7), l’ermenenutica (cap. 8: qui D’Agostini sintetizza in dieci regole il “metodo ermeneutico”, nella sezione 8.3.4., ed è a questa presentazione che penso quando inserisco l’ermeneutica fra le “teorie integrative”) e la filosofia analitica (cap. 9).
     Roberto Casati è direttore di ricerca del CNRS all’Institut Nicod a Parigi. Le citazioni in questo testo sono tratte dal suo libro Prima lezione di filosofia, Editori Laterza 2011. Si tratta di un testo metafilosofico molto stimolante e tutto costruito con  esempi, ma contiene un’idea precisa di filosofia che l’autore esplicita in vari punti del testo. Il fatto che la filosofia sia diffusa (molto presente in discipline e pratiche non filosofiche) e che sia un’arte rendono secondo Casati normale il fatto che non abbia un canone: neanche la storia della filosofia si può considerare un canone (pur essendo l’unica cosa che assomigli a una “base fattuale” della disciplina), perché impararla non è necessario né sufficiente per essere dei buoni filosofi. Pur esprimendo su certi punti una posizione che definirei “estremizzante”, ritengo che la sua immagine della filosofia sia in buona parte valida e rispondente al vero, e sottolineo infine che al di là della tesi che Casati mette al centro del libro (la filosofia come arte diffusa), sostiene poi anche, al margine, un’immagine della filosofia come “metateoria delle metateorie”: ogni questione filosofica sarebbe una questione metodologica, metadisciplinare. In questo vedo una certa convergenza con il pensiero metafilosofico di D’Agostini.
     Personalmente ritengo che la filosofia si collochi a metà strada tra l’essere una scienza e l’essere un’arte, e penso che il punto su cui le posizioni di D’Agostini e Casati divergono maggiormente riguardi il giudizio su quali siano le basi prevalenti del comportamento umano: ragionamenti (eventualmente sbagliati) secondo D’Agostini, impulsi (o giustificazioni parziali) secondo Casati.

13 novembre 2015

Educare alla cooperazione

Franca D'Agostini

 spiega perché è necessario affiancare agli organismi sovranazionali una forza che spinga dal basso e che educhi le persone a capire che è conveniente, e ormai necessario, cooperare.
Lo fa non con gli strumenti dell'etica, ma con la teoria dei giochi.
Fa anche riferimento all'energetismo, a Spinoza....

10 novembre 2015

Griglia di valutazione per Filosofia e Storia: aggiornamento 2022


Presento qui la versione aggiornata di quest'anno, 2022 (semplificando la traduzione in voto e ripensando alcune cose), della precedente griglia del 2015.
Per scaricarla in PDF clicca qui

L'ho pensata in riferimento alle mia discipline di insegnamento, Filosofia e Storia.

Mantengo comunque qui sotto anche la vecchia griglia, per chi voglia notare le differenze.


Griglia del 2015
scarica il file in PDF qui


25 ottobre 2015

ARISTOTELE, METAFISICA








Mi accingo all'avventura di leggere, parafrasare-sintetizzare e commentare il testo. Seguendo, però, un'ordine libero: l'ordine derivante dal seguire il mio interesse e la mia curiosità.
Pubblico quindi in questo post, come "posa della prima pietra", l'Indice della Metafisica di Aristotele, seguendo i titoli dell'edizione a cura di Gabriele Giannantoni (Editori Laterza 1982).
Via via che le varie parti del testo saranno da me parafrasate-sintetizzate e commentate, indicherò qui di seguito i luoghi dell'Indice che verranno gradualmente riempiti, in modo che i lettori interessati possano sapere come muoversi nell'Indice per rintracciare il mio percorso di lettura.
I commenti si distingueranno dalle parafrasi-sintesi per l'uso del corsivo.

1. (19.10.2015): Libro I, 1., parafrasi-sintesi.
2. (23.11.2015): Libro I, 1., revisione con correzioni della parafrasi-sintesi + commento






METAFISICA

di
ARISTOTELE


LIBRO  I    A
1. (Naturale aspirazione degli uomini alla conoscenza)
Tutti gli uomini amano percepire, provano gioia nel percepire. (Le percezioni sono anche utili.) In particolare è amato il senso della vista. (La vista è preferita anche quando si ha uno scopo pratico da raggiungere.) La vista, più degli altri sensi, ci fa acquistare conoscenza; ci fornisce con immediatezza molteplici informazioni. Il fatto che la vista, e le percezioni in generale, siano amate di per sé, al di là della loro utilità pratica, ci consente di affermare che gli uomini abbiano una tendenza naturale verso la conoscenza. 
Ma la conoscenza è qualcosa di più delle semplici percezioni. Fondamentale nel processo di acquisizione della conoscenza è la memoria. La memoria consente di ottenere esperienze, e le esperienze sono alla base della τεχνη (scienze, arti, cognizioni): molteplici ricordi di un medesimo oggetto si unificano in un’esperienza, e molteplici esperienze si unificano in un giudizio universale che abbraccia tutte le cose simili fra loro. L’esperienza è conoscenza del particolare, la τεχνη è conoscenza dell’universale.
Dato che le scienze pratiche e produttive si occupano del particolare (ad esempio un medico cura sempre un individuo particolare) l’esperienza da sola può avere più efficacia pratica di una conoscenza solo teorica, che ignori le esperienze particolari che l’hanno prodotta. Ma la vera conoscenza va oltre le semplici esperienze. Coloro che possiedeno le conoscenze scientifiche e le tecniche sono più sapienti di chi segue la sola esperienza: quest’ultimo sa che qualcosa accade, ma non sa perché accade. Il sapiente conosce le cause, e solo la teoria fornisce la conoscenza delle cause, non la semplice pratica. La σοφια (sapienza, filosofia prima) riguarda le prime cause e i princìpi.
Gli uomini ammirano e rispettano chi ha più conoscenze, chi è più sapiente. Le attività teoretiche appaiono superiori a quelle pratiche. Gli inventori delle prime τεχνη sono stati ammirati non solo per l’utilità delle loro invenzioni, ma perché ritenuti sapienti. Le prime τεχνη erano in relazione ai bisogni della vita, poi accanto a queste si sono sviluppate altre τεχνη che erano in relazione al piacere, e gli inventori di queste ultime furono ritenuti più sapienti dei primi. Infine vennero scoperte scienze che non sono in relazione né con i bisogni né con il piacere, e questo inizialmente avvenne nei popoli in cui alcuni uomini erano completamente liberi di dedicarsi alla conoscenza, erano liberi dalle attività pratiche (per esempio in Egitto nacque la matematica, perché la casta dei sacerdoti godeva di una vita agiata e libera).


Che tutti gli uomini amino percepire mi sembra evidente; ho dubbi invece sulla tesi che tutti gli uomini abbiano una tendenza naturale verso la conoscenza.
     Se fosse vero che la specie umana abbia una tendenza naturale verso la conoscenza, a questo punto della storia dell’umanità non dovremmo essere tutti sapienti? Sembra invece abbastanza chiaro che l’ignoranza sia molto diffusa, in media, negli attuali rappresentanti della specie umana, e questo a sua volta si evince dalla quantità di errori, malefatte, disastri e tragedie che gli uomini hanno di recente commesso/provocato o stanno attualmente commettendo/provocando (perlomeno dalla guerre mondiali, con particolare riferimento al periodo recente a partire dal 2001 ad oggi, ma volendo si può risalire all’inizio dell’età moderna, con le cosiddette guerre di religione o con le guerre di conquista e lo sfruttamento dei nativi dei primi imperi coloniali; o possiamo pensare al danno provocato dall’umanità sull’ecosistema terrestre…). Sulla tesi, qui presupposta, che tutto il male dell’umanità provenga dall’ignoranza si può discutere e io stesso ho dei dubbi in proposito, ma mi sembra anche in questo caso abbastanza evidente che almeno in buona parte l’ignoranza sia causa del male (anche se questa tesi di stampo socratico, pure in questa versione moderata, andrebbe analizzata e discussa a fondo, dal momento che la frattura fra cognitivismo etico e anti-cognitivismo etico è uno dei nodi maggiori che l’etica contemporanea ha da sciogliere).
     Aristotele potrebbe però rispondere a questa obiezione che l’ignoranza diffua sia da attribuire non a una mancante tendenza naturale degli uomini verso la conoscenza, ma alla mancanza del sistema scolastico in alcune società o al suo cattivo funzionamento nelle società in cui esiste. Ma il fatto che il sistema scolastico sia assente o il fatto che funzioni molto male non si concilierebbero comunque con la sua tesi. Ci si potrebbe infatti chiedere perché la specie umana, se è vera la sua tendenza naturale verso la conoscenza, non produca regolarmente società nelle quali il sistema scolastico esista ovunque e funzioni ovunque e sempre bene.
     A favore di questa tesi aristotelica, invece, va messo in evidenza il dato della progressiva crescita del sapere, esponenziale a partire dal XIX secolo. L’umanità ha prodotto, grazie ai suoi elementi migliori, una fioritura culturale impressionante, e in particolare una quantità smisurata di conoscenze scientifiche, con il connesso problema della frammentazione in settori e relative specializzazioni, problema che è certamente collegato al problema della crisi della filosofia e alla necessità di tornare alle fonti primarie della filosofia stessa (ri)leggendo questo testo di Aristotele.
     Sulla tesi che la σοφια (sapienza, filosofia prima), ovvero la filosofia stessa, riguardi le prime cause e i princìpi, mi limiterei per ora a rimandare a una sua “riformulazione” attualizzata che troviamo nel grande testo metafilosofico di Franca D’Agostini Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza, dove la filosofa scrive:

«La filosofia è una scienza dei fondamenti, dove scienza è attività razionale di soluzione o elaborazione di problemi e fondamenti sono le credenze di fondo, più o meno comuni, che orientano dubbi e certezze.».

2. (Natura e prerogative della filosofia)
3. (Si apre l’indagine sulla dottrina delle cause nella filosofia preplatonica)
4. (Continua l’indagine sulla dottrina delle cause nella filosofia preplatonica)
5. (Si conclude l’indagine sulla dottrina delle cause nella filosofia preplatonica)
6. (La dottrina platonica delle cause)
7. (Quadro riassuntivo della dottrina delle cause nei filosofi esaminati)
8. (Critica delle principali filosofie preplatoniche)
9. (Critica dell’idealismo)
10. (Come superare l’infanzia della filosofia)

LIBRO  II    α
1. (Considerazioni sullo studio della verità)
2. (Incompatibilità tra il concetto di causa e quello di infinito)
3. (Necessità pedagogica di adeguare il linguaggio alla consuetudine e alla scienza)

LIBRO  III    Β
1. (Necessità metodologica di esaminare le aporie. Enucleazione di queste)
2. (Approfondimento delle prime cinque aporie)
3. (Apprfondimento della sesta e della settima aporia)
4. (Approfondimento dell’ottava, della nona, della decima e dell’undicesima aporia)
5. (Approfondimento della quattordicesima aporia)
6. (Breve digressione aporematica sull’idealismo e approfondimento della tredicesima e della dodicesima aporia)

LIBRO  IV    Γ
1. (L’oggetto della metafisica è l’essere in quanto essere)
2. (La sostanza come oggetto della metafisica)
3. (Importanza dello studio degli assiomi e, in particolare, del principio di non-contraddizione)
4. (Confutazione degli errori di chi nega il principio di non-contraddizione)
5. (Confutazione del relativismo)
6. (Ancora contro il relativismo)
7. (Il principio del terzo escluso)
8. (Fallacia del principio secondo cui le cose sono tutte vere e tutte false)

LIBRO  V    Δ
1. (Principio)
2. (Causa)
3. (Elemento)
4. (Natura)
5. (Necessario)
6. (Uno)
7. (Essere)
8. (Sostanza)
9. (Stesso, altro, differente, simile, dissimile)
10. (Opposti, contrari, altri per specie)
11. (Anteriore e posteriore)
12. (Potenza, potente, impotenza, impotente, possibile, impossibile)
13. (Quantità)
14. (Qualità)
15. (Relativo)
16. (Perfetto)
17. (Limite)
18. (Ciò in virtù di cui)
19. (Disposizione)
20. (Stato)
21. (Affezione)
22. (Privazione)
23. (Avere)
24. (Provenire da qualcosa)
25. (Parte)
26. (Intero)
27. (Mutilato)
28. (Genere)
29. (Falso)
30. (Accidente)

LIBRO  VI    Ε
1. (Divisione delle scienze teoretiche in fisica, matematica, teologia)
2. (Non c’è scienza dell’“essere per accidente”)
3. (Natura e causa dell’accidente)
4. (L’essere come “vero”)

LIBRO  VII    Ζ
1. (La sostanza come principale accezione dell’essere)
2. (Varie opinioni circa il concetto di sostanza)
3. (La sostanza come sostrato)
4. (Di quali cose c’è essenza?)
5. (C’è essenza dei termini risultanti da accoppiamento?)
6. (C’è identità tra un oggetto e la sua essenza?)
7. (Condizioni del divenire)
8. (Né la materia né la forma vengono generate)
9. (La sostanza come fondamento di ogni sorta di produzione)
10. (Il rapporto delle parti con l’intero nella definizione)
11. (Le parti dela forma e quelle del sinolo nella definizione)
12. (L’unità dell’oggetto della definizione)
13. (L’universale non è sostanza)
14. (Le idee non sono sostanza)
15. (Indefinibilità dell’individuale e, quindi, dell’idea)
16. (Né le parti degli oggetti sensibili né l’Uno o l’essere sono sostanza)
17. (Identità di sostanza e forma)

LIBRO  VIII    Η
1. (Le sostanze sensibili e la materia)
2. (Le differenze della forma nelle sostanze sensibili)
3. (La distinzione della sostanza dagli elementi materiali, da quelli della definizione e dai numeri)
4. (La materia e le materie nella sostanza sensibile)
5. (La materia e i contrari)
6. (L’unità della definizione)

LIBRO  IX    Θ
1. (Accezione principale del termine “potenza”)
2. (Potenze razionali e potenze irrazionali)
3. (La potenza non si identifica con l’atto)
4. (Il possibile non si identifica con l’impossibile)
5. (Il passaggio dalla potenza all’atto)
6. (Distinzione tra atto, potenza e movimento)
7. (In quali casi una cosa è potenza di un’altra)
8. (Anteriorità dell’atto rispetto alla potenza)
9. (L’atto del bene. L’atto delle costruzioni geometriche)
10. (Il vero e il falso)

LIBRO  X    Ι
1. (Le accezioni del termine “uno”. L’uno come misura)
2. (Natura predicativa dell’uno)
3. (L’opposizione uno-molti e le sue derivazioni)
4. (La contrarietà)
5. (L’opposizione dell’“uguale” al “grande” e al “piccolo”)
6. (L’ “uno” e i “molti”)
7. (Gli intermedi)
8. (L’alterità specifica)
9. (La contrarietà dell’essenza come causa dell’alterità specifica)
10. (Eterogeneità tra corruttibile e incorruttibile)

LIBRO  XI    Κ
1. (Ricapitolazione delle aporie di B 2, 3)
2. (Ricapitolazione delle aporie di B 4-6)
3. (L’oggetto della metafisica)
4. (In che cosa la filosofia si distingue dalla matematica e dalla fisica)
5. (Il principio di non-contraddizione)
6. (Il principio di non-contraddizione)
7. (Distinzione della teologia rispetto alla fisica e alla matematica)
8. (L’essere come accidente e l’essere come vero)
9. (Analisi del movimento)
10. (Analisi dell’infinito)
11. (Cangiamento e movimento)
12. (Non c’è cangiamento di un cangiamento. Definizioni)

LIBRO  XII    Λ
1. (Le tre specie della sostanza)
2. (I tre principi del cangiamento)
3. (Circa la possibilità dell’esistenza separata dalla forma)
4. (Circa l’identità e la differenza delle cause)
5. (Circa l’identità e la differenza delle cause)
6. (Necessità di un primo motore eterno)
7. (Dio, atto puro, pensiero di pensiero)
8. (Le sfere celesti)
9. (Natura del divino Intelletto)
10. (Immanenza e trascendenza del bene)

LIBRO  XIII    Μ
1. (Necessità di portare l’indagine sugli enti matematici e sulle idee)
2. (Gli enti matematici non hanno una vera e propria esistenza né immanente né trascendente rispetto alle cose sensibili)
3. (Il modo di essere degli enti matematici e la legittimità delle scienze matematiche)
4. (Esame storico-critico dell’idealismo)
5. (Le idee non danno ragione del cangiamento)
6. (le varie possibilità di considerare i numeri come sostanze delle cose)
7. (Esame critico-diairetico delle teorie platoniche del numero)
8. (Esame critico delle teorie degli altri Platonici e dei Pitagorici. I numeri ideali e l’uno-in-sé)
9. (Varie argomentazioni contro l’esistenza separata del numero ideale)
10. (Contro l’esistenza separata degli universali)

LIBRO  XIV    Ν
1. (Contro la teoria idealistica dei contrari come princìpi)
2. (Continuazione delle argomentazioni precedenti ed esame delle cause degli errori del Platonismo)
3. (I numeri non hanno né esistenza separata né generazione)
4. (Continuazione dell’argomento precedente. Relazione tra i princìpi e il bene)
5. (Continuazione dell’argomento precedente. Relazione tra il numero e i suoi princìpi. I numeri come cause delle cose)
6. (Impossibilità che i numeri siano causa delle cose)


21 ottobre 2015

Il "genere". Una guida orientativa










Ricevo da Paolo Rigliano, e condivido volentieri:

Caro/a collega, caro/a amico/a,
da qualche tempo, sulle pagine dei giornali e su internet, si sta svolgendo una grande discussione su una presunta “teoria del gender”, dalle caratteristiche assai confuse e che sembra generare molta preoccupazione nelle persone ed in alcune istituzioni.

Per poter aiutare le persone a comprendere meglio sia la natura di tale campagna, sia i principali concetti intorno alla questione del “genere” e delle identità sessuali, Federico Ferrari, Enrico Maria Ragaglia e Paolo Rigliano hanno scritto una GUIDA ORIENTATIVA, [scaricabile al link qui sotto] in formato PDF.

Essa  è edita in collaborazione con la Società Italiana di Psicoterapia per lo Studio delle Identità Sessuali (SIPSIS) ed ha ottenuto il patrocinio della Fondazione Genere Identità e Cultura (GIC), del Centro di Ateneo Sinapsi dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG).

Con l’auspicio che possa essere di aiuto nella professione clinica, educativa, sociale e come utile strumento di riflessione scientifica e culturale, ti invio un saluto cordiale 

E IL MIO PERSONALE INVITO AD UNA SUA DIFFUSIONE E CONDIVISIONE LA Più VASTA POSSIBILE CON COLLEGHI, AMICI, ISTITUZIONI 

Paolo Rigliano

18 ottobre 2015

Occuparsi del sovrasensibile



Il tradizionale compito della metafisica: conoscere il "sovrasensibile".
Dio, mondo e anima: il sovrasensibile secondo Kant, con le tradizionali aree corrispondenti della metafisica moderna, teologia, cosmologia e psicologia.

Ma come possiamo oggi reinterpretare questi "oggetti" tradizionali della metafisica?
Io proverei così:

il senso del tutto (Dio), il tutto (il mondo), l'esperienza che parti del tutto hanno di altre parti del tutto (l'anima).

In termini di problemi:
Ha il tutto un senso?
Come è fatto? (confini e fondamenti)
Come convivere con la consapevolezza che la propria esperienza è limitata, finita? (la morte)

6 ottobre 2015

Arte o scienza? La filosofia sta nel mezzo. 3








Non credete ci sia una differenza essenziale tra scienza e arte? Intendo: sulla questione della verità. 
“Ricerca della verità” può avere un senso anche in arte? 
Non riesco a pensare che la verità sia una (una sola, come sostiene Franca D'Agostini, per esempio in Introduzione alla verità) anche nell’esperienza artistica. L’artista opera scelte, decisioni, su come utilizzare il materiale...

Nella filosofia la questione la riformulo così: il fatto che ci siano (stati) sistemi contemporanei e incompatibili fra loro (prendiamo ad esempio Spinoza e Locke, perfettamente contemporanei) è qualcosa di inaccettabile, “scandaloso” come pensava Kant, o è dovuto alla natura stessa dei problemi filosofici, che non sono uguali ai problemi scientifici? (quindi è almeno in parte accettabile: questo sostengo io).
Oppure, semplicemente, volendo tenere ferma la tesi sull'unicità della verità anche in filosofia, si può dire che alcune tesi di Spinoza sono vere, altre sono false; stessa cosa vale per Locke; e poi a questo si aggiungono, fra  i due, grosse differenze di modo, tono, stile, linguaggio.

3 ottobre 2015

Arte o scienza? La filosofia sta nel mezzo. 2








C’è un lato creativo e di invenzione (quello che Popper chiama “il contesto della scoperta”) anche nella scienza migliore, nel “buon lavoro scientifico”. Questo è quello che io chiamerei il lato “artistico” della scienza. Sono i momenti in cui uno scienziato modifica il quadro di riferimento (come ha fatto Einstein con spazio e tempo…) o trova una sintesi nuova per pezzi di conoscenze che prima esistevano isolatamente (come Newton con la legge di gravitazione).
    Quando ho scritto (nel post precedente) che la scienza aspira solo all’oggettività intendevo che nella scienza l’intersoggettività dei risultati, delle teorie, delle tesi, è irrinunciabile: uno scienziato non può dire mai “questo è il mio modo di vedere le cose”. Un artista sì, anzi deve precisare sempre più e ampliare sempre più il proprio stile, il proprio modo particolare di osservare e creare oggetti e mondi.     
    Un filosofo sta, secondo me, a metà strada perché vuol capire come stanno le cose (oggettività) ma su questioni-limite, e allora diventa rilevante il modo di pensare che ha. Possono esserci modi diversi di pensare, che hanno a che fare con le personalità dei pensatori, con le loro personali esperienze.
    La logica (nel senso del saper trarre conclusioni da premesse) è la stessa per tutti, ma lo “stile di pensiero” può variare. Intendo: come affrontare i problemi, quali concetti fondamentali considerare più importanti, di quali problemi ci si innamora e quali invece si trascurano… sono scelte individuali dei singoli filosofi che poi determinano sistemi filosofici diversi: la filosofia di Kant è diversa da quella di Hegel, ma sono entrambe buona filosofia: come lo si spiega, se la filosofia fosse solo scienza? Non credo si possa dire che sono diverse solo perché appartengono a momenti diversi della storia della filosofia. Spinoza e Locke sono nati entrambi nel 1632 ma le loro filosofie, sicuramente vere filosofie, sono diversissime tra loro.
    Il fatto che la filosofia vada studiata, insegnata, imparata, non toglie che possa essere considerata mezza arte (oltre che mezza scienza): anche l’arte si impara e si studia e richiede ricerca, ma ricerca interiore più che verso il mondo. Un artista deve conoscere la storia dell’arte e deve imparare le tecniche (per esempio un musicista che vuole comporre studia armonia ecc.).
    L’artista ricerca la propria verità (il proprio modo di rapportarsi col mondo… Klee diceva che l’arte rende visibile ciò che non lo è), lo scienziato ricerca la verità sul mondo visibile, il filosofo cerca la verità su ambiti intermedi tra il visibile e l'invisibile (il possibile, il buono, il totale ...) quindi mette in gioco anche parti della sua soggettività.

Riporto qui un commento di Alfio Bonanno che mi sembra molto acuto e su cui occorre riflettere:

Alfio Bonanno E' un tema complesso. Il flauto magico o lo scriveva Mozart, o nessun altro. Invece la teoria della Relativita' o la formulava Einstein, o qualcun altro, era solo questione di tempo. In pratica l'atto creativo nella scienza e' definito ab initio. Nell'arte e' completamente "libero".



1 ottobre 2015

Arte o scienza? La filosofia sta nel mezzo.







Arte o scienza? La filosofia è per chi vuole stare nel mezzo, o potremmo anche dire: è per chi vuole tutto, per chi non si sente né veramente artista né veramente scienziato ma sente di avere caratteristiche sia dell'uno sia dell'altro.
   Nel campo dell'arte prioritario è produrre (scrivere, disegnare, dipingere, scolpire, comporre...), creare cose e creando esprimere se stessi, mostrare agli altri il proprio modo di guardare il mondo, il proprio modo di rapportarsi con la realtà. Il soggetto, il Sé, l'Io, il proprio qui e ora e il fare creativo sono prioritari nella posizione esistenziale dell'artista.
   Nel campo della scienza, invece, prioritario è studiare, informarsi, e anche osservare direttamente (facendo esperimenti) le cose o le persone (dopo avere studiato cosa gli altri prima di noi hanno già osservato e scoperto) e infine dare il proprio contributo a migliorare il quadro complessivo delle conoscenze, a volte anche ristrutturando il quadro stesso, modificando la cornice o cambiando completamente quadro. L'oggetto, la realtà, il mondo (normalmente parti, settori, della realtà) sono al centro dell'attenzione dello scienziato, mentre l'aspetto della scrittura, della produzione, è secondario ed è uno strumento per comunicare agli altri ciò che si è scoperto, non uno strumento per esplorare se stessi (come nell'arte; o meglio il proprio modo di relazionarsi al mondo).
   Cosa è prioritario nella filosofia? Produrre (scrivendo)? Non direi. Studiare, informarsi, sperimentare? Studiare e informarsi sono sicuramente importanti, basilari nella fase formativa, ma non direi che siano prioritari nel filosofo già formato. Forse si potrebbe azzardare che innanzitutto il filosofo aspira a non fare nulla.
      Non fare nulla non nel senso di riposare e basta; non fare nulla nel senso di dare spazio all'attività che è prioritaria e tipica del filosofo: il pensare. 
    Pensare che può innescarsi a partire da qualsiasi cosa: un'osservazione, qualcosa che abbiamo studiato, qualcosa che sentiamo dentro (un'inquietudine personale, una sensazione di disagio o preoccupazione per come vanno le cose dell'umanità, o viceversa una sensazione di profonda gioia rispetto alla condizione di essere vivi sulla Terra...). 
     Lo studio, per il filosofo, è sempre anche creativo. Esempio: studio Aristotele o studio Spinoza, ma mentre leggo i loro testi mi annoto tutte le riflessioni che la lettura mi suscita; studiando mi pongo continuamente domande, dubbi; se potessi dialogare con loro sarebbe una discussione continua ("perché dici questo? Sei proprio sicuro che le cose stiano così? Non hai pensato che si potrebbero considerare anche da quest'altro punto di vista? Non ti sembra che prima di pensare a questo sia necessario chiarire quest'altro?" e così via). Lo studio è riflessivo e creativo. Quindi si studia scrivendo, e viceversa si scrive studiando. Queste due espressioni ("studiare scrivendo", "scrivere studiando") stanno a indicare la via di mezzo di cui parlavo all'inizio: filosofare è un'attività a metà strada tra l'atto creativo e l'atto ricettivo-conoscitivo. Scoprire l'oggetto, scoprire come è fatta la realtà, non esclude - per il filosofo - anche il tenere conto della propria esperienza personale e del proprio personale modo di essere, pensare, rapportarsi alle cose, giudicarle, valutarle, considerarle nell'insieme. 
    Questo spazio aperto al lato soggettivo, ad un pensare creativo che può coinvolgere anche l'immaginazione (gli esperimenti mentali, l'esplorazione delle possibilità), l'utilizzo della propria personale sensibilità, intesa come modo di sentire le cose e le persone, ascoltando anche le emozioni e il corpo, è proprio della filosofia perché la filosofia si muove su territori di confine: confine fra i settori specializzati delle conoscenze scientifiche, confine delle conoscenze finora raggiunte, confine fra ciò che è e ciò che potrebbe essere (in meglio, in peggio), confine tra passato e presente, confine tra presente e futuro, confini ultimi della realtà, del mondo, aspirazione a contemplare la realtà nel suo insieme, nella globalità, nella totalità. Là dove uno sguardo (scientifico) che aspira solo all'oggettività non può arrivare, serve uno sguardo che insieme all'oggettività utilizzi anche la soggettività, l'intuizione, la fantasia, perché solo questi strumenti possono farci fare un salto qualitativo e andare a vedere dentro i confini, oltre i confini. Certo, magari sbagliando, brancolando, lanciando ipotesi teoriche che poi verranno smentite, criticate, superate. Ma il gioco del continuo dialogo, della ricerca sempre aperta, della revisione critica della posizioni dogmatiche è il bello della filosofia.




14 settembre 2015

Haendel, dal Dixit Dominus , "De Torrente In Via Bibet", per due soprani, coro e orchestra



Solo da ascoltare:
uno dei brani che più mi ha colpito in giovinezza; così intensamente ricco di dissonanze magistralmente incastonate in un tessuto ritmico e melodico soave e fluido.
Per riconciliarsi con l'umanità


Elin Manahan Thomas & Grace Davidson
℗ 2009 The Sixteen Productions Ltd
The Sixteen are a United Kingdom-based choir and period instrument orchestra; founded by Harry Christophers, it started as an unnamed group of sixteen friends in 1977, giving their first billed concert in 1979. The group performs early English polyphony, works of the Renaissance, Baroque and early Classical music, and a diversity of 20th-century music.The Sixteen are "The Voices of Classic FM", TV media partner with Sky Arts and associate artists of the Southbank Centre in London and Bridgewater Hall in Manchester. The group promotes an annual series at the Queen Elizabeth Hall as well as the Choral Pilgrimage, a tour of Britain's finest cathedrals: bringing music back to the buildings for which it was written. The Sixteen featured in the BBC Four television series Sacred Music, presented by actor Simon Russell Beale. A second series was broadcast on BBC Four in 2010.

Wikipedia sul Dixit Dominus di Haendel

12 settembre 2015

Appunti per un approccio fenomenologico alle questioni metafisiche. Husserl dissolve il tema dei limiti dell'esperienza?






Secondo Husserl la realtà è accessibile in quanto nei dati fenomenologici ho tutto quello che mi serve per distinguere tra oggetti reali e oggetti prodotti dall’attività fantastica:
non ha senso parlare di qualcosa che sta al di là di ciò che io vedo e di conseguenza non ha senso neppure indicare nella conoscenza del fenomeno un limite imposto alla conoscenza in generale. Affinché io possa affermare la realtà di questo oggetto che ho di fronte non ho bisogno di ritenere che vi sia, dietro le sue manifestazioni, un nucleo sostanziale che costituisca in qualche modo la loro struttura oggettiva di supporto. Questo oggetto mi si dà come «reale», mentre l’immagine del centauro mi si dà come prodotto della mia attività fantastica. Ma per accertare questa differenza non ho bisogno di nessun controllo che vada al di là dei dati fenomenologici. Le distinzioni tra il vero e il falso, tra il reale e l’irreale, cadono sempre all’interno della sfera fenomenologica
(Giovanni Piana, I problemi della fenomenologia; corsivi miei) 
Ma la distinzione tra reale e immaginario non è comunque una distinzione soggettiva? Non potremmo sbagliarci? Sì, ma
questo carattere soggettivo non ottiene il suo senso dalla contrapposizione con una oggettività già data. Posso dire che il dato fenomenologico vale come reale anzitutto per me: ma in ciò non è ancora implicito il fatto che questa validità sia una validità solo per me o anche per tutti. È su questo terreno che si pone in modo legittimo la questione della distinzione tra oggettivo e soggettivo in senso comune. 
Molto importante il constatare che non si dà mai a noi una oggettività già data: tutte le formazioni di senso, comprese le conoscenze scientifiche, oggettive, partono dall’esperienza e si costruiscono nell’esperienza.
    La distinzione fra soggettivo e oggettivo corrisponde alla distinzione fra "valido solo per me" e "valido per tutti".
    Da notare che “per tutti” è diverso da “per noi" (per rispondere alle critiche di D'Agostini alla fondazione “comunitaria” della verità nella discussione con Vattimo)
Validità = validità per qualcuno
Il momento essenziale della proposta husserliana è invece quello di riportare la questione dell’oggettività del sapere alla sua validità intersoggettiva. Perché ciò possa essere pienamente chiaro è necessario ridurre l’essere stesso all’apparire, considerando ogni distinzione tra realtà e parvenza come fondata ancora una volta nell’apparire. Non diremo dunque che dell’essere in sè non c’è scienza, perché siamo racchiusi nel limite del fenomeno; diremo invece che anche dell’essere in sè c’è scienza perché anche l’essere in sè è una nozione fondata nel fenomeno. 


Ora mi chiedo: come si applica tutto ciò a un problema di conoscenza metafisico come quello del libero arbitrio, nel quale abbiamo tesi e tesi opposte che si basano su affermazioni su ciò che sarebbe stato possibile, o su ciò che necessariamente doveva verificarsi? Il controfattuale (e anche la nozione di necessità lo richiede) è riscontrabile nei dati fenomenologici?

nell’atteggiamento fenomenologico il problema si capovolge: non vi è una cosa in sè e un soggetto che per caso la guarda e non può non coglierla se non attraverso prospettive. Vi è anzitutto un soggetto che opera costantemente una sintesi delle prospettive fino al momento in cui la cosa – il fermacarte – si presenta come cosa in sé. Nell’atteggiamento fenomenologico la correlazione tra l’atto soggettivo e il dato a cui questo atto si rivolge precede e spiega la separazione tra la cosa ed i modi di manifestarsi della cosa, gli atti soggettivi della percezione spiegano l’apparire della realtà indipendente della cosa e non viceversa. (...) dal punto di vista complessivo non vi è dubbio che Husserl riprenda e sviluppi la critica che già Stumpf aveva rivolto a Kant, e cioè che i motivi che presiedono all’organizzazione del materiale fenomenico non vanno cercati nelle strutture soggettive, ma nelle configurazioni interne al materiale fenomenico stesso. (VC)>
 (aggiunta di Vincenzo Costa al testo di Piana) 
Occorre quindi chiedersi: il materiale fenomenico coinvolto nei contesti in cui si discute su libertà o necessità di una scelta umana esibisce configurazioni interne che ci autorizzano a sostenere una ipotesi (libertà) piuttosto che l'altra (necessità)?

10 settembre 2015

Per un elenco (quasi) completo dei problemi filosofici






Al di là delle "scuole" filosofiche, al di là delle correnti, dei movimenti, delle impostazioni, delle prese di posizione e degli atteggiamenti (analitico, fenomenologico, marxista/neomarxista, neohegeliano, neokantiano, neopositivista, esistenzialista, psicoanalitico...) la sostanza delle teorie filosofiche si misura sulla capacità di affrontare alcuni particolari problemi.
       Insiemi di problemi filosofici fra loro collegati costituiscono le varie discipline filosofiche, settori di studio ormai molto specializzati (logica, ontologia (e metaontologia), metafisica, epistemologia o teoria della conoscenza, filosofia della scienza, filosofia dell'arte (o estetica), etica normativa, metaetica, etica applicata, teoria politica, filosofia dell'azione, filosofia del diritto...
       Teorie che riescano ad affrontare ed elaborare (per non dire risolvere, perché in filosofia soluzioni definitive sono molto difficili e forse, alcuni dicono, addirittura impossibili...) tutti i principali problemi filosofici si dicono in genere sistemi filosofici. Oggi ci sarebbe un grande bisogno di sistemi filosofici, ma ce ne sono pochissimi in circolazione, e a quanto ne so sono un po' datati (l'ultimo vero sistema è probabilmente quello di Hegel (1770-1831). Ce ne sarebbe bisogno perché c'è una grande confusione nell'ambito della cultura umana in generale, una enorme massa di conoscenze che si presentano però in modo estremamente frammentato e iper-specializzato, con la conseguente difficoltà ad orientarsi e connessi fenomeni di para-conoscenze (teorie del complotto globale, ad esempio) e derive fondamentaliste. In fondo i fondamentalismi religiosi si potrebbero interpretare come una scorciatoia per arrivare ad una visione generale delle cose semplice, comprensibile e con immediate risposte anche pratiche, sul cosa fare e come vivere. Le soluzioni offerte dai fondamentalismi sono false e oltremodo pericolose per TUTTI (anche per i fondamentalisti stessi, quindi), ma il bisogno a cui rispondono è autentico - ammesso che la spiegazione del loro esistere sia riducibile a questo, ma in realtà il fenomeno è sicuramente più complesso, con radici economiche e quant'altro.
       Si tratta di un bisogno di fare ordine nel sistema dei saperi, di ridurre la ridondanza, di semplificare i linguaggi e pervenire ad una sorta di "macroteoria" o sistema.
In un libro del 2005 D'Agostini scriveva (mi scuso se la citazione non è precisa):
La crisi delle grandi idealità, ratificata dalla fine del bipolarismo mondiale, ha determinato una pragmatizzazione del discorso politico, che di recente mostra però i suoi limiti: gli effetti della globalizzazione impongono di nutrirsi di pensiero etico-critico e non più solo di interessi pratici contestuali.
La crescente importanza degli organismi sovranazionali impone la formulazione di principi a un tempo sovracontestuali e attenti alle differenze locali, autorevoli e dialogici.
Questo lavoro (richiesto sia dalla situazione attuale dei saperi, sia dalla situazione attuale della politica globale) può essere svolto bene da coloro che sono provvisti, grazie alla loro formazione filosofica, di una combinazione di tecnica argomentativa e sensibilità culturale. Per questo la filosofia gode oggi di una nuova fortuna culturale, ma ci sono dubbi:
− sopravvive la diffidenza (dal secondo Ottocento) verso una disciplina pre-scientifica…
− la filosofia divulgata e mediatica spesso dà un’immagine vecchia e inadeguata della filosofia
− la filosofia contemporanea è attraversata da controversie metafilosofiche:
1) f. = parte della scienza/genere letterario
2) filosofi = professori di f./intellettuali impegnati pubblicamente
3) idea che la funzione filosofica sia oggi assolta da altre pratiche scientifico-letterarie
4) f. come passione che coinvolge l’anima intera/malattia mentale/guida-terapia
5) filosofo come scienziato cognitivo che lavora senza dati empirici
6) non esiste più “la filosofia” ma solo ricerche specialistiche
Tutto ciò porta secondo me alla necessità di cui parlavo all'inizio, ovvero alla ripresa del progetto di costruire un sistema filosofico puntando sulla sostanza dei problemi filosofici e cercando di affrontarli nella loro interconnessione.

Ma quali sono i problemi filosofici?
Senza addentrarsi nelle complesse questioni metafilosofiche che rileva e pone D'Agostini, vorrei qui tentare un semplice elenco, che sia però il più possibile completo (perché completo dovrebbe essere un sistema, almeno nella sua aspirazione).
Ovviamente non ho la pretesa di esaurire con le mie povere forze il compito, e chiamo quindi in causa i volonterosi lettori con competenze filosofiche perché mi aiutino a completare l'elenco.
Intanto però comincio. Considero l'elenco seguente un elenco aperto e in fase di elaborazione.
Sarebbe meglio intitolarlo Appunti per un elenco completo...

In ordine casuale (da riordinare in seguito):

- libero arbitrio: l’uomo è realmente libero di scegliere?

- qual è stata, se c'è stata, l’origine del cosmo?

- perché vi è qualcosa, e non piuttosto il nulla? Il mondo ha un senso?

- esistono costituenti ultimi della materia? Che cos'è il tempo e cosa lo spazio?

- che cos'è la vita?

- in che misura possiamo essere certi delle nostre conoscenze sulla realtà?

- esistono limiti alla conoscibilità del reale?

- la matematica si scopre o si inventa?

- come raggiungere la felicità?

- come è giusto vivere?

- il male esiste? Se sì, perché?

- esiste una “natura umana”? Se sì, qual è? Che cos'è la mente umana?

- che cosa esiste realmente? Vi sono “gradi” di esistenza a seconda del “tipo” di cose? Alcune cose sono più reali di altre?

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