20 dicembre 2008

Nichilismo: pericolo e salvezza

L’ultimo “Almanacco di filosofia” della rivista Micromega, dal titolo “Dio, nichilismo, democrazia”, stampato nell’ottobre 2008, è in larga parte costruito intorno alle reazioni che vari filosofi, teologi e un costituzionalista hanno avuto di fronte a un testo di Paolo Flores d’Arcais dal titolo Etica dell’ateismo. In tale testo Flores d’Arcais sostiene, in sintesi, che l’etica e la politica devono rinunciare alla religione. La fede non può essere fondamento di etica e politica, perché in quanto tale porta allo scontro fra visioni del mondo diverse ma che pretendono ciascuna di essere l’unica vera. Occorre quindi, propone Flores d’Arcais, l’ateismo metodologico, ovvero il consegnare l’eventuale fede alla sfera privata. In pratica si tratta di una difesa radicale della laicità in tutti i contesti di convivenza sociale: dalle città alla comunità internazionale. In questi termini la tesi non è particolarmente originale, ma il modo in cui Flores la sostiene contiene molti punti problematici e fecondi. Mi voglio soffermare su uno in particolare, ovvero il fatto che Flores declina in modo decisamente negativo il termine “nichilismo”, con la relativa reazione di Vattimo. Secondo Flores, che Dio esista o non esista “tutto è permesso”. O nel senso (se si crede in Dio) che si scontrano i diversi profeti, predicatori, autorità che parlano in nome di Dio (guerre di religione, crociate, scontri di civiltà, intolleranze…), o nel senso (se non si crede) che ogni morale è possibile e quindi prevale il più forte, chi ha più successo, e impera comunque la guerra. Il “tutto è permesso” è quindi condizione umana. “L’uomo è l’animale a rischio di nichilismo. (…) In altri termini: l’uomo è il creatore e signore della norma. (…) Il potere dell’uomo sulla norma è al tempo stesso il suo potere di autodisruzione.” Il nichilismo viene quindi presentato da Flores come caduta in uno stato di conflitto permanente che può arrivare all’autodistruzione della specie. Vattimo, nel suo intervento dal titolo Solo il nichilismo ci può salvare, rivendica invece una nozione positiva, o perlomeno neutra, di nichilismo. Il nichilismo, stando alla sua accezione in Nietzsche, è proprio la consapevolezza che la norma dipende solo da noi, cioè che ogni valore con pretesa di assolutezza può essere svalutato; è la fine dell’idea che ci siano valori assoluti. Ma ciò è salvifico, perché è solo questo che ci può salvare dalla tentazione di bombardare un paese perché lì non si sono ancora affermati i valori assoluti. Il nichilismo ci obbliga all’idea che sono necessari, per la convivenza civile, accordi, bilanciamenti, conciliazioni e compromessi. Siamo quindi di fronte a due modi molto diversi di intendere il concetto di nichilismo, il che sicuramente indica un problema aperto. Da una parte abbiamo la paura che la situazione di irriducibile pluralismo etico porti a violenza, a distruzione e autodistruzione. Dall’altra abbiamo la tesi che proprio la consapevolezza del pluralismo etico possa invece costringere al tener conto delle differenze e a trovare accordi di rispetto reciproco. La domanda potrebbe essere formulata in questo modo: è l’assenza di valori che porta al conflitto permanente o è l’eccessivo attaccamento ad alcuni valori considerati irrinunciabili? Il fatto che possano esistere molteplici morali (quindi nessuna sia assoluta) comporta il rischio della prevaricazione come unico criterio o porta alla costruzione responsabile di una propria morale e successivo confronto pacifico con quelle altrui? Propongo una chiave per uscire dal dilemma: la differenza fra il pluralismo etico come fatto e la consapevolezza del pluralismo etico. Una cosa è credere che non essendoci un sistema di regole universali ognuno debba pensare per sé e per il proprio gruppo di appartenenza cercando di prevalere sugli altri. Un’altra cosa è rendersi invece conto che che comunque stiamo seguendo (o dobbiamo darci) delle regole e che altri individui /altri gruppi hanno regole diverse dalle nostre, e che ciò comporta il rischio della distruzione/autodistruzione, e che si tratta allora di costruire un terreno comune, un linguaggio comune entro il quale comunicare e trovare accordi, compromessi. Il nichilismo come situazione di reale assenza di valori trascendenti, entro la quale ciascuno (individuo/gruppo/comunità) aderisce a un’etica particolare e si scontra con gli altri è altra cosa dal nichilismo inteso come consapevolezza raggiunta di tale situazione, perché tale consapevolezza ci rende uniti e uguali nella comune situazione della relatività di ogni morale. Il nichilista inconsapevole è pericoloso, è distruttivo. Il nichilista consapevole è capace di comprendere il punto di vista altrui ed è molto meno incline alla violenza rispetto al non-nichilista. Flores sostiene la necessità di fare a meno della fede, nella sfera pubblica, anche se la si ha; Vattimo sostiene la necessità di fare a meno di ogni universalismo anche se si ha fede. In conclusione: “l’ateismo metodologico” di cui parla Flores D’Arcais è forse la stessa cosa del “nichilismo salvifico” di cui parla Vattimo. Altro punto su cui mi pare concordino è che l’unica etica “universale”, il terreno comune sul quale etiche diverse possano incontrarsi e trovare accordi, non può essere che una meta-etica, un discorso etico di secondo (o terzo? o quarto?) livello… Ma questa è un’altra storia.