19 luglio 2018

La giustizia dell'edera. Sul male e sul bene







Passeggiamo nel giardino intorno a casa.
Il grande ciliegio ha tutto il tronco avviluppato dall’edera.
– C’è da fare questo lavoro…
– Me ne occupo io!
Mentre pazientemente stacco, con l’aiuto di un coltello, tutti i rametti di edera abbarbicati alla corteccia e tirando arrivo fino a terra, dove insisto nella mia opera sradicando quanto mi è possibile, rifletto.
«È giusto quello che sto facendo?»
I miei pensieri vanno subito al fatto che, lasciando le cose al loro corso naturale, l’edera avrebbe potuto ricoprire completamente l’albero sfiancandolo, soffocandolo fino a farlo morire. Sarebbe stato un vero peccato: un ciliegio anziano ma ancora molto produttivo (chili e chili di ciliegie) …
Però di fatto sto uccidendo quest’edera, adesso. La sto facendo a pezzi e la sto sradicando. Quindi dal punto di vista dell’edera le cose sono molto diverse.

Riprendendo a riflettere, molti anni dopo, penso che di fronte a quella situazione non ci fosse un possibile comportamento imparziale, giusto in assoluto: o ci si alleava col ciliegio, oppure con l’edera. Se la scelta fosse stata la seconda, si trattava di lasciare semplicemente che l’edera andasse avanti nella sua crescita (peraltro anche molto veloce, quasi impetuosa), sacrificando il ciliegio (magari dicendosi, con una punta di cinismo, ormai è anziano…). Nella realtà ci eravamo alleati invece col ciliegio, salvandolo dall’abbraccio mortale.

Ma perché sarebbe stato impossibile un comportamento imparziale? Rendere giustizia a ciascuna pianta, far valere il principio di eguaglianza (in questo caso: il diritto di ciascuna pianta a vivere, a modo suo, la sua vita), sarebbe stato impossibile perché in natura esistono piante, come l’edera, che vivono sulle spalle di altre; vivono facendo morire altre piante. Ma questa natura parassitaria di alcune forme di vita, non è, in fondo, un meccanismo strutturale della vita stessa? Potremmo quasi dire che l’edera ci mostra, in modo estremizzato, una caratteristica essenziale della vita stessa, che cresce consumando altro. E se questo “altro” è una forma di vita possiamo dire che la vita cresce consumando vita. Nel caso delle piante l’alimentazione (normalmente) avviene senza distruggere altre forme di vita, ma le piante consumano pur sempre qualcosa: l’energia solare, l’acqua, la sostanza del terreno… Insomma, siamo entrati in pieno in considerazioni che potrebbero essere uscite dalla penna di Schopenhauer. Ma allora… Attenzione! Non stiamo forse adesso giudicando la natura? Non stiamo forse dicendo che la natura è violenta in sé, che la vita è ciecamente e violentemente proiettata sulla crescita infinita, divorando nel contempo se stessa? 

Che diritto abbiamo di giudicare moralmente le leggi della vita? La nostra riflessione era partita da una semplice domanda: 
«È giusto quello che sto facendo?».

Nel momento in cui mi pongo la domanda morale sul mio comportamento, sto sottoponendo al dubbio morale il mio agire, e il mio agire è un pezzo della realtà vivente. Io, soggetto umano, non sono fuori dalla grande catena che lega gli esseri viventi gli uni agli altri e nell’insieme al mondo terrestre e al cosmo. Quindi se la mia domanda è morale, sottopongo a sguardo morale il tutto, pur partendo da una sua parte.

Certamente esiste anche la possibilità di giudicare positivamente, nel complesso, il tutto. Viene subito in mente Leibniz, ma in fondo anche Spinoza, che pur negando l’antropocentrismo e il finalismo aveva uno sguardo morale sulla totalità e la giudicava degna di amore supremo.

Eppure il vero problema mi sembra un altro. L’ipotesi (metafisica?) che mi interessa proporre è, al di là di un giudizio morale complessivo sulla vita o sulla natura o sulla totalità, che vi siano due forme di esistenza: una basata su principi di autonomia e generosità (rappresentata dal ciliegio) e una basata su principi di dipendenza e rapacità (rappresentata dall’edera). Insomma, la classica contrapposizione tra bene e male.
Il male esiste, in questa ipotesi, oggettivamente. Ma esiste oggettivamente, per fortuna, anche il bene. Questo dualismo lo si può osservare nella storia umana, ma, come mostra l’esempio vegetale da cui siamo partiti, lo si può osservare anche in altre sfere. E forse anche, conoscendo bene la fisica o la chimica, lo si può ravvisare oltre la sfera delle cose viventi.

Forse si può rileggere Pareyson (Ontologia della libertà) e tornare a pensare alla contrapposizione tra essere e nulla, ma spogliandola (così piacerebbe a me) del senso religioso entro il quale lui l’aveva concepita. L’essere è autonomo e generoso, il nulla (che esiste eccome, al di là dei problemi logico-ontologici che questo solleva) è dipendente e distruttivo. Il nulla "esiste" in modo dipendente, nel senso che esiste in quanto annullamento, deperimento, disgregazione, consumazione (ecc) di qualcosa.

8 luglio 2018

Matteo Locatelli, "La teoria dei loop"





Presento, in questo post, il lavoro di approfondimento che Matteo Locatelli, studente di eccellenza, ha  portato all'esame di maturità di quest'anno presso il Liceo scientifico "Salvador Allende" di Milano, esame che Matteo ha superato brillantemente.
Si tratta di un riuscitissimo, a mio avviso, tentativo di conciliare la semplicità e la chiarezza nella trattazione (che Matteo è riuscito a mantenere anche nell'esposizione orale di apertura del colloquio d'esame) con la scelta di un argomento irto di difficoltà ed intrinsecamente complesso. Il pregio di questo testo è anche nella volontà di tenere insieme due punti di vista: quello scientifico (che qui ha giustamente il peso maggiore) e quello filosofico. Quando si affronta il tema delle strutture profonde della realtà, la fisica, la metafisica e la filosofia della scienza sono chiamate a collaborare. Mi azzarderei addirittura a dire che i fisici sono spinti a fare anche, almeno un po', i metafisici – Carlo Rovelli, il punto di riferimento scelto da Matteo Locatelli, ne è un esempio concreto – e i filosofi devono confrontarsi inevitabilmente con gli scienziati.


Riporto, di seguito, l'Introduzione e l'Indice.


INTRODUZIONE

A partire dall’inizio del Novecento, le nostre conoscenze sulla fisica teorica, e di conseguenza sulla nostra idea di come è fatto il mondo, furono stravolte da due grandi teorie rivoluzionarie: la relatività generale di Albert Einstein e la teoria della meccanica quantistica. La prima ha rimodellato i nostri concetti di spazio, tempo e gravità, sostituendosi alla fisica newtoniana, dandoci una nuova e potente visione del cosmo, come mai ne avevamo avute fino ad allora. La seconda invece, rimpiazzando la meccanica classica, ha stravolto in maniera radicale la nostra comprensione sulla materia e l’energia. Entrambe queste teorie, nel corso degli anni, sono state confermate innumerevoli volte da altrettanti esperimenti e ad oggi sono diventate, l’una, la base della cosmologia e l’astrofisica, l’altra, il punto di partenza della fisica atomica, nucleare e particellare.
Fra le due teorie ci sono però molti punti divergenti, in contrasto tra loro. Le due teorie non possono essere entrambe corrette, almeno non nel modo in cui vengono formulate fino ad oggi, perché sembrano, nelle loro radici, contraddirsi a vicenda. Per questo motivo molti fisici teorici negli ultimi decenni, ed ancora oggi, si stanno dedicando al campo della fisica teorica chiamato gravità quantistica con l’obiettivo di trovare una sintesi capace di offrire una visione coerente del mondo, compatibile con il sapere raggiunto, all’interno della quale la meccanica quantistica e la relatività generale possano essere comprese in modo non contraddittorio.
Questa sintesi viene definita “teoria del tutto” in quanto riesce a conciliare tutte le nostre conoscenze fisiche e a darci una visione totale sul mondo. Esistono però diverse linee di studio che hanno portato alla formulazione di diverse teorie ipotetiche, sulle quali è concentrato l’interesse della ricerca. Fra queste, le più accreditate sono senza dubbio la teoria delle stringhe e la teoria dei loop che, a causa di diverse caratteristiche, sono considerate incompatibili. Per esempio, un nodo centrale per la teoria delle stringhe, assente nella teoria dei loop, è l’esistenza della supersimmetria, una estensione del modello standard delle particelle elementari in cui tutte le particelle avrebbero una corrispondente super particella, di massa maggiore, che attraverso diversi esperimenti specifici non sono state trovate, indebolendo la teoria alle radici.
Per questo motivo, la teoria della gravità quantistica a loop, per molti fisici, tra cui l’italiano Carlo Rovelli, uno dei massimi ricercatori mondiali nell’ambito, al cui libro La realtà non è come ci appare (Raffaello Cortina 2014) mi ispiro per questo lavoro, rappresenta ad oggi la teoria più vicina a raggiungere l’obiettivo finale della teoria del tutto.


INDICE

Introduzione

Relatività generale
Il ragionamento del genio
Tessuto spaziotemporale
L'universo

Meccanica quantistica
Nascita della teoria: la natura è granulare
La realtà è relazione
Il mondo non è determinabile
Campi = particelle

La visione relazionista
Un problema logico-metafisico
Franca D'Agostini: una "metafisica ragionevole"
Mauro Dorato: il "realismo scientifico"

LA TEORIA DEI LOOP

Il preludio della teoria
Lo spazio non è continuo
La nascita dei loop

Grani di spazio
Il grafo
Reti di spin
Ci sono quanti e quanti

Il tempo non esiste
La vera natura del tempo
Una "fisica senza tempo"
Spinfoam

Applicazioni fisiche della teoria
Il Big Bounce
I buchi neri secondo i loop
Risoluzione delle divergenze
La fine dell'infinito

Il mondo dei loop - Conclusione

Fonti