15 dicembre 2014

L'etica a scuola?







(...) This, then, is our first question: What is good? and What is bad? and to the discussion of this question (or these questions) I give the name Ethics, since that science must, at all events, include it.
3. But this is a question which may have many meanings. If, for example, each of us were to say "I am doing good now" or "I had a good dinner yesterday" these statements would each oh them be some sort of answer to our question, although perhaps a false one. (...) In all such cases some particular thing is judged to be good or bad: the question "What?" is answered by "This." But this is not the sense in which a scientific Ethics asks the question. (...) Ethics, therefore, does not deal at all with facts of this nature, facts that are unique, individual, absolutely particular; facts with which such studies as history, geography, astronomy are compelled, in part at least, to deal. And, for this reason, it is not the business of the ethical philosopher to give personal advice or exhortation.
G. E. Moore, Principia Ethica (1903)

Se, mi chiedo, il compito del filosofo morale non è quello di dare consigli o esortazioni morali, a chi dobbiamo chiedere di agire per raddrizzare moralmente il comportamento immorale diffuso nel nostro presente (e sto pensando adesso soprattutto all'Italia)? Si tratta di un compito educativo, pedagogico?
Mi viene in mente la vicenda di Gherardo Colombo, che si è dimesso da giudice e ha iniziato a girare nelle scuole per insegnare l'importanza e il valore delle regole fondamentali che stanno alla base della convivenza sociale: convinto che la magistratura, da sola, non ce la può fare a ridare forza al valore del comportamento buono, giusto, doveroso, onesto, solidale, collaborativo eccetera.
Mi viene in mente anche una recente dichiarazione del Dalai Lama:
"Nonostante la sua importanza come guida morale capace di dare un senso alla vita, nel mondo laico di oggi la religione da sola non è più adeguata quale base per l’etica. Dovremmo trovare un approccio etico alla mancanza di valori che possa essere accettabile da chi ha fede e chi non ne ha. È di un’etica laica che parlo. Valori interiori da trasmettere attraverso l’istruzione"
Che sia la scuola a doversi fare carico di intervenire, "alla radice", sull'immoralità diffusa nei comportamenti attuali, è quanto meno controverso, se consideriamo anche un altro aspetto della questione, ovvero il seguente. È immaginabile il poter insegnare ETICA a scuola? Può l'etica divenire una materia di studio attraverso la quale lo studente apprenda non le varie teorie etiche che la filosofia ha prodotto nel corso dei secoli, bensì apprenda una forma mentis morale che lo possa accompagnare poi per tutta la vita? È chiaro che il problema non sarebbe quello di uno studio teorico delle etiche filosofiche, ma quello di trasmettere e diffondere i valori fondamentali in modo che entrino nelle abitudini comportamentali. A questo proposito si può pensare che già lo studio della storia abbia questa funzione (e ancor più potrebbe averla la cosiddetta "educazione civica", scarsamente praticata, a quanto mi risulta, per mancanza di tempo...), così come anche lo studio della letteratura, dell'arte... Ma se così fosse perché ci ritroviamo al punto in cui siamo? Che cosa occorrerebbe studiare per ottenere il risultato di cui stiamo parlando? Forse un po' di psicologia, o di neurologia, o di sociologia? Forse la vita di figure esemplari, esempi di comportamenti  buoni. O forse anche, più che studiare, occorrerebbe praticare. Praticare l'ascolto degli altri, l'osservazione degli altri, il riconoscimento delle loro emozioni, la comprensione delle loro ragioni (e qui il discorso sulla logica a scuola, come sostiene Franca D'Agostini, ritorna)... Esperienze fondamentali che forse in alcune (forse molte, troppe) famiglie mancano. Fare in modo che si attivi il meccanismo dell'empatia, se questo non ha avuto modo di svilupparsi... 
Credo che sia venuto il momento di porsi il problema in modo serio. 
Occorre un ripensamento profondo dei contenuti e dei modi in cui avviene la formazione scolastica, soprattutto quella di base, in modo che la scuola sia veramente un'esperienza che oltre a dare conoscenze consenta di formare alla convivenza civile.

30 novembre 2014

Sbrogliare la matassa

Un gioco di strategia topologica, con livelli crescenti di difficoltà.
Semplice l'obiettivo: fare in modo, spostando i nodi, che le linee non si intersechino.
Rilassa ed è metafora delle situazioni ingarbugliate che ci tocca districare quotidianamente...

Per giocare clicca qui

10 novembre 2014

La logica a scuola





Spesso si sentono gli insegnanti lamentarsi che un certo studente “manca di logica!”; si ritiene che si impari a ragionare attraverso altre discipline, come la matematica o il latino… Ma perché non usare lo strumento principale che l’umanità ha escogitato per studiare e praticare il ragionamento valido?

Franca D’Agostini, nelle Conclusioni di "I mondi comunque possibili. Logica per la filosofia e il ragionamento comune” sostiene che imparare a ragionare bene e a riconoscere i ragionamenti non validi è fondamentale per la vita pubblica: i ragionamenti, buoni o cattivi, guidano l'azione e sostengono quello che passa per vero e per giusto, quindi occorre saperli valutare criticamente. Per favorire l’introduzione dello studio della logica a scuola ha anche scritto un manuale per i licei: “Le ali del pensiero. Corso di logica elementare”. 

Chi è per l’introduzione dello studio della logica nelle scuole (anche dalla primaria, in forme adeguate ovviamente) può sostenere la proposta andando su

31 agosto 2014

Energia a costo zero per tutti!





L'articolo di Maurizio Ricci oggi (31 agosto 2014) su Repubblica mi sembra rivoluzionario, o meglio: annuncia una futura rivoluzione i cui elementi base sono già a nostra disposizione ma sono solo attualmente troppo costosi: pannelli fotovoltaici, batterie al litio e auto elettriche: Come sappiamo però i costi di produzione non sono un dato fisso... si potrebbe fare molto per accelerare questo processo. Perché solo nel 2025 dobbiamo poter avere energia a costo zero e dire addio al petrolio con tutti i guasti che si è portato dietro e continua a portarsi dietro??

2 agosto 2014

Rovelli, cap. 4 (parte seconda): l'interpretazione relazionale della meccanica quantistica. Con riferimenti al pensiero di Franca D'Agostini e Mauro Dorato


C. Rovelli, La realtà non è come ci appare, Raffaello Cortina 2014
post precedenti su questo testo:
Rovelli, capitolo 1: Grani. Dai concetti alla realtà. L'infinito attuale nel ragionamento di Democrito. Scienza, etica ed estetica unite insieme nell'atomismo antico.
Rovelli, capitolo 2: I classici. Campi e onde in fisica: una rivoluzione metafisica ancora da recepire. Conferme e smentite alla filosofia di Kant con i progressi della fisica






Rovelli spiega come il modello standard abbia resistito benissimo, finora, a tutti gli esperimenti. Di passaggio, usandolo come esempio di esperimento recente che conferma il modello standard, cita la scoperta della particella di Higgs (2013). Mi sembra interessante riportare qui la nota 10, perché aiuta a capire il ruolo di questa scoperta rispetto al problema della massa delle particelle.

10  Non bisogna prendere sul serio certe descrizioni giornalistiche secondo le quali il borsone di Higgs è la ‘spiegazione della massa delle particelle’. Le particelle hanno massa perché ce l’hanno, e il bosone di Higgs non spiega un bel niente sull’origine della massa. Il punto è tecnico: per stare in piedi, il modello standard si basa su alcune simmetrie, e queste simmetrie sembravano permettere solo particelle senza massa, ma Higgs si è accorto che si possono avere sia le simmetrie sia la massa, purché questa entri in una forma indiretta, attraverso le interazioni con un campo oggi chiamato, appunto, campo di Higgs. Poiché ogni campo ha le sue particelle, ci doveva quindi essere una corrispondente ‘particella di Higgs’, e questa è stata trovata nel 2013.”

Dal punto di vista della risposta alla domanda metafisico-fisica “Di che cosa è fatta la realtà?” sono molto importanti le considerazioni successive di Rovelli. Nello schema della figura 4.5, commentato a pagina 114, egli sottolinea come la meccanica quantistica semplifichi ulteriormente la tipologia degli enti costitutivi della realtà rispetto alle teorie di Newton, Faraday-Maxwell, Einstein. In particolare l’ente “campo quantistico” unifica ciò che nella teoria di Einstein era distinto ontologicamente: campi e particelle.
Newton indicava tre costituenti fondamentali della realtà: spazio, tempo, particelle (e la forza di gravità, la cui natura ontologica restava però misteriosa). Faraday e Maxwell hanno introdotto, in più, i campi. Einstein (1905) ha mantenuto campi e particelle ma ha unificato spazio e tempo nello spaziotempo. La meccanica quantistica riduce ulteriormente i costituenti fondamentali a due tipi: lo spaziotempo e i campi quantistici.

Rovelli nella parte finale del capitolo 4, dopo aver riconosciuto che “la meccanica quantistica è una teoria concettualmente poco chiara”, individua tre aspetti della struttura profonda della realtà che a suo parere emergono attraverso la meccanica quantistica: 1. granularità, 2. indeterminismo, 3. relazionalismo.
  1. Le cose sono fatte di particelle. C’è in questa tesi un forte richiamo all’atomismo democriteo, con la differenza che per la meccanica quantistica le particelle “spariscono e ricompaiono”. La struttura granulare della realtà si può anche formulare dicendo che vi è un limite alla divisibilità, quindi vi è una fondamentale finitezza delle componenti della realtà, quindi anche l’informazione che può esistere in un sistema è finita.
  2. La discontinuità ontologica delle particelle (“spariscono e ricompaiono”) è legata alla seconda caratteristica: l’oggettiva imprevedibilità degli eventi a livello particellare, che produce una continua “fluttuazione”, “vibrazione”. Il comportamento imprevedibile, vibrante, delle particelle è però trattabile (conoscibile) in termini di probabilità. Il richiamo all’atomismo antico punta, in questo caso, verso il clinamen di Epicuro.
  3. Così come la velocità non è la proprietà di un oggetto da solo, ma  è la proprietà del moto di un oggetto rispetto a un altro oggetto, così, secondo la meccanica quantistica, “tutte le caratteristiche di un oggetto esistono solo rispetto ad altri oggetti”. Prima, però, aveva scritto, parlando di Dirac, che ogni oggetto non ha alcuna proprietà in sé, tranne quelle che non cambiano mai, come la massa. Va interpretato nel senso che la massa è ciò che dà continuità e quindi identità alla singola particella, mentre tutte le altre proprietà sono di tipo relazionale e sono discontinue?? “Non sono le cose che possono entrare in relazione, ma sono le relazioni che danno origine alla nozione di ‘cosa’. […] La meccanica quantistica non descrive oggetti: descrive processi ed eventi che sono interazioni fra processi. […] Un processo è il passaggio da un’interazione all’altra. Le proprietà delle ‘cose’ si manifestano in modo granulare solo nel momento dell’interazione, cioè ai bordi del processo, e sono tali solo in relazione ad altre cose, e non possono essere previste in modo univoco, ma solo in modo probabilistico.”


Qui Rovelli non sembra limitarsi all’affermazione che tutte le proprietà sono relazionali, ma sembra mettere in discussione la nozione stessa di oggetto:
“La teoria non descrive le cose come ‘sono’: descrive come le cose ‘accadono’ e come ‘influiscono l’una sull’altra’. […] Il mondo delle cose esistenti è ridotto al mondo delle interazioni possibili. La realtà è ridotta a interazione. La realtà è ridotta a relazione”. Nella nota 14 Rovelli rimanda ad altri suoi scritti nei quali spiega meglio la propria visione della meccanica quantistica: l’articolo originale che introduce l’interpretazione relazionale, “Relational quantum mechanics” (in International Journal of Theoretical Physics, 35, 1637, 1996),  e la sintesi scritta per la Stanford Encyclopedia of Philosophy, ma io mi limiterò qui (non avendo letto questi scritti), a qualche riflessione basata su quanto ho appena citato e riassunto, incrociando poi le affermazioni di Rovelli con quelle di due filosofi italiani: Franca D’Agostini e Mauro Dorato.
Il relazionalismo mi sembra contrastare con la granularità, se significa riduzione dell’oggetto alle sue proprietà e riduzione di tutte le proprietà a proprietà relazionali. Il problema di fondo è logico-metafisico: dal punto di vista logico una relazione è un predicato a due posti, è una proprietà che presuppone l’esistenza di due oggetti, in quanto consiste nel rapporto, o interazione, fra due oggetti. Come può esistere una relazione se non esistono le cose che entrano in tale relazione? Il problema si può porre, più semplicemente, in questi termini: secondo Aristotele l’oggetto (sostanza) può esistere autonomamente, mentre le proprietà no. Secondo Rovelli la meccanica quantistica implica un ribaltamento di questo impianto concettuale: la relazione (una proprietà, in termini logico-aristotelici) può esistere autonomamente, l’oggetto no. 

Distacchiamoci un momento dal problema del relazionalismo e chiediamoci: ma è proprio vero che un oggetto può esistere autonomamente, mentre le proprietà non possono? Chiediamoci: è pensabile un oggetto senza alcuna proprietà? Pensiamo a un oggetto “nudo”… mette a dura prova la nostra immaginazione. Direi che abbiamo tanta difficoltà nel concepire un oggetto completamente privo di proprietà (per esempio una cosa che non abbia nessuna grandezza) quanta ne abbiamo nel concepire una proprietà senza oggetto (per esempio l’essere alto 1,82 metri senza alcuna cosa alta così). Quindi propongo di sottrarsi al bisogno di dire quale sia “più fondamentale” fra le due nozioni (oggetto vs proprietà) e considerarle invece come un binomio inscindibile che, forse, rimanda a qualcos’altro che non è né oggetto né proprietà. Del resto le definizioni si rimandano reciprocamente. Prendiamo, per esempio le definizioni che dà Franca D’Agostini nel cap. 11 di Realismo? Una questione non controversa (Bollati Boringhieri 2013):
oggetto è qualsiasi cosa che possa avere proprietà;
proprietà sono modi d’essere (o stare in relazione, o agire) degli oggetti.”
Ma questa strategia, mi chiedo, non è in fondo quella che ha seguito Wittgenstein nel Tractatus, quando ha cercato di mostrare quale fosse l’ontologia presupposta dalla nuova logica (di Frege e Russell)? Gli “stati di cose” di cui parla Wittgenstein sono proprio combinazioni di oggetti e proprietà.
Capisco quindi, tornando a Rovelli, la riduzione di tutte (o quasi?) le proprietà fondamentali delle cose a proprietà relazionali, ma resto dubbioso sulla riduzione dell’oggetto all’insieme delle sue relazioni.
Suggerisco infine che forse la distinzione oggetto/proprietà è una distinzione logico-linguistica che non corrisponde precisamente alla struttura profonda delle cose; forse la realtà non è fatta, a livello profondo, né di soli oggetti, né di sole proprietà, ma di tante x che non sono né oggetti né proprietà.
Proviamo adesso a chiamare in causa, sul tema del relazionalismo, il pensiero di due importanti filosofi italiani.



Franca D’Agostini, in Realismo?, un testo dedicato a porre i fondamenti per una solida e fruttuosa ricerca in metafisica, scrive qualcosa che sembra fatto apposta per noi, per continuare la nostra riflessione sull’interpretazione relazionale della meccanica quantistica.
Nel capitolo 10, dal titolo L’unico realismo possibile, D’Agostini presenta la sua concezione del realismo (che chiamerei “realismo metafisico”), che definisce in via preliminare con le seguenti tre tesi:
“1. qualcosa è reale, o anche: esistono fatti;
2. c’è una sola descrizione vera dei fatti;
3. possiamo a volte formulare descrizioni vere dei fatti e riconoscere come vera o falsa una data descrizione.”
Queste tesi, secondo D’Agostini, scaturiscono necessariamente dalla logica stessa, in altri termini sono il presupposto metafisico di qualsiasi discussione o ragionamento, quindi di qualsiasi tesi argomentata (e buona parte del libro è dedicata alla spiegazione di ciò). Queste tesi, però, non sono in quanto tali una metafisica, ma sono solo la cornice entro la quale costruire la metafisica, cioè rispondere alle domande “Che cosa esiste?” e “Come è fatto ciò che esiste?”. Sempre nel capitolo 10, D’Agostini traccia alcune linee guida per una “metafisica ragionevole” (successivamente, nel libro, esamina le teorie di alcuni fra i metafisici contemporanei più significativi): “Ora vorrei solo offrire qualche specificazione su che cosa secondo me si potrà definire come fatto, che cosa è reale (e non reale), e come sia fatto in definitiva il regime dei fatti che una metafisica ragionevole possa iniziare a delineare.”. Alla domanda Come sono fatti esattamente i fatti? risponde : “La prima risposta, per noi come per Aristotele, ci viene offerta dal linguaggio: i fatti o stati di cose sono (per noi, dal punto di vista metafisico) combinazioni varie di oggetti e proprietà, e questo ci è rivelato dal linguaggio stesso […]. Si può anche pensare, volendo, a un mondo costituito di sole proprietà, riunite in ‘fasci’ o ‘grappoli’ che costituiscono gli oggetti. La distinzione tra oggetto e proprietà sembra essere soprattutto una distinzione tra diversi tipi di proprietà e diversi modi in cui le proprietà sono legate le une alle altre. Questo quadro di una metafisica senza bare particulars, particolari nudi, vale a dire privi di proprietà, potrebbe essere del tutto conseguente, rispetto alle nostre acquisizioni logiche e scientifiche. E poiché i modi in cui le proprietà costituiscono gli oggetti sono diversi (alcune proprietà sono essenziali, altre no), ciò non vuol dire necessariamente rinunciare né all’essenzialismo, né alla nozione di sostanza. Ma su ciò non ho ancora le idee chiare”. 
Mi pare che questa idea di un “mondo costituito di sole proprietà”, anche se qui solo abbozzata, si adatti bene alla meccanica quantistica nell’interpretazione relazionalista.



Un altro filosofo che può aiutarci a riflettere su questo tema è Mauro Dorato. Nel capitolo 6 del suo libro Cosa c’entra l’anima con gli atomi. Introduzione alla filosofia della scienza (Editori Laterza 2007), Dorato affronta la domanda “se le teorie scientifiche mutano nel tempo, come possiamo definirle vere?”. Attraverso un esame critico delle posizioni di Kuhn e di Popper (in particolare, di quest’ultimo, la difficoltà di sostenere la posizione per cui le teorie scientifiche non possono essere vere in assoluto data la loro mutevolezza storica, ma sono verosimili e si approssimerebbero alla verità col passare del tempo) Dorato propone un’immagine del progresso conoscitivo delle scienze secondo la quale le teorie successive contengono le precedenti come casi particolari:
“per velocità v piccole rispetto alla velocità della luce c, le trasformazioni di Lorentz si riducono a quelle di Galilei e la meccanica classica, caratterizzata da queste ultime trasformazioni, è un’ottima approssimazione dei sistemi fisici che vogliamo descrivere. È questo il senso preciso in cui la meccanica classica è un caso particolare di quella relativistica. […] Questo semplice esempio ci fa anche comprendere che l’insistere, come ha fatto soprattutto Popper, sulla tesi che la storia della scienza sia caratterizzata da continue falsificazioni ci ha fatto dimenticare che nel suo ambito di applicazione (per velocità piccole rispetto a quella della luce c), la meccanica classica funziona benissimo ed è dunque, in questo preciso senso, «vera», come ben sanno gli ingegneri che mandano in orbita i satelliti utilizzandola quotidianamente. […] È però opportuno sottolineare che la meccanica classica, nel suo ambito di applicazione, è vera solo se possiamo ritenere le teorie scientifiche vere nel senso prima specificato (‘vero’ = ‘funziona’): ma questo è chiaramente un senso assai pragmatico del termine ‘vero’. Si rende allora necessario analizzare questo ulteriore problema, appartenente alla questione che in letteratura è nota come ‘realismo scientifico’”.
Il problema, cioè, di chiarire in che senso e come le teorie scientifiche sono vere nel senso realistico del concetto di verità: non quindi vere in quanto “funzionano”, ma vere in quanto ci dicono come realmente stanno le cose, come realmente è fatto il mondo.
Dorato, nella sezione 5 del capitolo 6, distingue tre tipi di realismo scientifico:
  1. realismo sulle teorie
  2. realismo sulle entità
  3. realismo sulle strutture, distinto a sua volta in realismo strutturale epistemico e realismo strutturale ontico.
1 = le teorie descrivono, in un senso da precisare, la realtà così com’è
2 = le entità teoriche (non osservabili direttamente e concepite come dotate di proprietà intrinseche, o monadiche, o “a un posto”, per esempio “… è alto 1,82”) esistono nello spazio e nel tempo indipendentemente dalla mente umana e vengono scoperte da essa.
3 = “l’ontologia della scienza ha a che fare solo con le relazioni esemplificate dai sistemi naturali, così come sono approssimativamente rappresentate dai modelli matematici. Le entità che entrano nelle suddette relazioni (i relata, visti come portatori di proprietà intrinseche) possono o essere considerate inaccessibili alla conoscenza umana […]” = realismo strutturale epistemico “o essere viste come inesistenti tout court, e originare un realismo strutturale ontico. In questa seconda posizione, la nozione di oggetto portatore di proprietà intrinseche (la sostanza tradizionalmente intesa) si dissolve, e le entità sono riconcettualizzate come insiemi di relazioni (French, Ladyman 2003a, 2003b)”. I due articoli qui richiamati da Dorato si intitolano rispettivamente Remodelling structural realism: quantum physics and the metaphysics of structure («Synthese», 136, pp. 31-56) e The dissolution of objects: between platonism and phenomenalism («Synthese», 136, pp. 73-77).
Dorato prosegue indagando le relazioni logiche fra queste diverse forme di realismo scientifico, e conduce una difesa del realismo sulle entità (riservando la discussione del realismo sulle teorie al capitolo 7, dal titolo Scienza e verità). Rispetto al realismo strutturale ontico, che è quello che ci sembra assomigliare alla interpretazione relazionalista della meccanica quantistica proposta da Rovelli, Dorato prima muove la seguente obiezione: “non è affatto chiaro come possano esistere delle relazioni senza i relata, ovvero come possa esistere la relazione ‘essere fratello di’ senza individui portatori di qualche proprietà monadica (ovvero, i fratelli e le sorelle)”. Poi, verso la fine del capitolo, scrive: 
“In conclusione, le entità esistono, e resta da capire se possiedono proprietà intrinseche (come vogliono i teorici del realismo delle entità) oppure sono solo ‘fasci di relazioni’, come ritengono i realisti strutturali ontici. Ma a questa domanda si deve rispondere guardando al tipo di entità postulato dalle singole teorie scientifiche, fisica, biologia, psicologia ecc., e non si può rispondere in generale. Il problema qui è genuinamente empirico e l’analisi concettuale non può andare molto lontano. Quel che possiamo osservare qui è che persino le particelle quantistiche, che sono tutte qualitativamente identiche e possiedono solo identità numerica, sono tipicamente caratterizzate da carica, massa e momento angolare intrinseco. E queste sono a tutta prima proprietà intrinseche. Ne segue che il realismo strutturale ontico sembra ingiustificato persino nell’ambito – la fisica delle particelle elementari – in cui le entità non posseggono individualità qualitativa distinta (le possiamo solo contare senza poterle distinguere).”
Dorato, in questo brano, sembra dunque sostenere una metafisica più rigidamente classica rispetto a quella più aperta e possibilista delineata da D’Agostini nel testo sopra ricordato. Ma Dorato, recentemente, si è confrontato in modo esplicito con le tesi di Rovelli in un articolo che viene inserito da Rovelli nella Bibliografia commentata del libro qui in oggetto: Dorato, M., Rovelli’s Relational Quantum Mechanics, Monism and Quantum Becoming. Philosophy of Science Archives, 2013.
Non ho (ancora) letto questo articolo di Dorato, quindi rimando il lettore di questo post che fosse interessato alla lettura diretta dello stesso (e gli ricordo anche i testi più approfonditi dello stesso Rovelli ricordati sopra).
Mauro Dorato ha anche sintetizzato la sua posizione su Rovelli in un talk dal titolo

The Metaphysics of Rovelli's Relational Interpretation of Quantum Mechanics.

Un ulteriore suggerimento di lettura che giro al lettore (e che mi propongo di fare io stesso in futuro) mi è stato dato da un altro filosofo italiano: Francesco Berto. Sulla sua pagina Facebook, commentando il mio post sul cap. 2 di Rovelli (nel quale domandavo: onde e campi sono oggetti o proprietà?), ha scritto: consiglio sempre di leggere, su questi argomenti, James Ladyman - Don Ross, Every Thing Must Go. Metaphysics Naturalized, Oxford 2007.

Nell’ultima sezione del capitolo 4 Rovelli racconta dei dubbi di Einstein sulla meccanica quantistica e sul lungo dialogo (attraverso conferenze, lettere, articoli) tra lui e Niels Bohr, che cercava di convincerlo della bontà della teoria. Einstein escogitava esperimenti mentali per mostrare contraddizioni nella teoria, Bohr rispondeva risolvendo le apparenti contraddizioni. Alla fine Einstein ha dovuto riconoscere che la teoria era coerente e rappresentava un grande progresso nella conoscenza, e Bohr ha dovuto riconoscere che la teoria presenta delle oscurità, dei misteri irrisolti. Rovelli, che sottolinea come la teoria fuzioni alla perfezione e sia ormai entrata nell’uso standard di ingegneri, chimici e biologi, ritiene che le oscurità e i misteri siano dovuti alla nostra “limitata capacità di immaginazione” e ribadisce la sua posizione: “dobbiamo accettare l’idea che la realtà sia solo interazione”.
Su questo, ancora un ultima osservazione critica. Se per le singole componenti della realtà possiamo concepire che siano (esistano) solo in relazione ad altre (pur con tutte le difficoltà e i problemi che abbiamo sollevato sopra), resta il problema che rispetto al tutto, alla totalità dell’esistente, non possiamo pensare che sia globalmente relazionale. Per definizione, il tutto deve essere pensato come privo di relazioni con altro, dal momento che non vi è nient’altro con cui entrare in relazione, se il tutto è veramente tutto. Il tutto deve essere pensato come in sé, privo di relazioni con altro.


In un passaggio di quest’ultima sezione Rovelli, parlando del dialogo Einstein/Bohr, scrive: “Einstein non voleva cedere sul punto per lui chiave: che esistesse una realtà oggettiva indipendente da chi interagisca con chi; in altre parole, l’aspetto relazionale della teoria, il fatto che le cose si manifestino solo nelle interazioni”. Questa idea di una realtà indipendente da ogni interazione non è, in fondo, equivalente alla nozione kantiana di cosa in sé? (Torno a pensare che vi sia una originaria ispirazione kantiana nelle idee di Einstein, cosa che è già emersa altre volte, leggendo il libro di Rovelli.)

10 luglio 2014

La vera «questione controversa»: la metafisica. Riflessioni sull'ultimo libro di Franca D'Agostini




La vera questione non è se la realtà esista o no, né se sia modificabile da noi solo in parte o totalmente (come sembrerebbero pensare i sostenitori del "Nuovo Realismo"). La vera questione è: com'è fatta la realtà? È ordinata? Ha senso? Ha valore in sé? È solo la scienza che può rispondere a queste domande o anche la filosofia, accanto e insieme alla scienza, ha voce in capitolo? Dalla visione scientifica della realtà cosa emerge? Emerge un senso, un valore delle cose? La visione scientifica della realtà è unitaria o no? È compito della filosofia collegare le varie parti della scienza o è la scienza stessa a doverlo fare?

Questa tesi (le domande le ho riformulate e sviluppate a modo mio) si può trovare nell'ultimo libro di Franca D'Agostini: Realismo? Una questione non controversa (Bollati Boringhieri, Torino 2013), una tesi molto tagliente sul versante della stroncatura del "Nuovo Realismo" marcato Ferraris («chi si professa realista in quanto contrapposto agli antirealisti non sta professando nulla, e non sta dicendo niente di rilevante»), ma molto aperta e per nulla conclusiva sul versante della proposta teorica. Si tratta infatti, direi, dell'impostazione di un "programma di ricerca", sulla base sia di una ridefinizione radicale del "realismo" sia dell'individuazione di alcune prospettive logico-metafisiche contemporanee particolarmente feconde (Armstrong, Lewis, Priest).

Ricostruisco una parte del discorso. 
Nell'Introduzione D'Agostini, per fare luce sulla falsa questione del realismo, esamina le posizioni di coloro a cui viene erroneamente attribuito l'"antirealismo" e in particolare esamina la convinzione che i concetti di verità e realtà «siano concetti dogmatici, caratteristici di strutture d'autorità, come la Chiesa o la Scienza» e rileva alla base di questa convinzione due ragioni:
1) «vediamo la realtà solo filtrata attraverso l'esperienza che ne abbiamo, dunque ciò con cui abbiamo a che fare non è propriamente la realtà "in sé"»
2) nelle discussioni fare appello alla realtà o alla verità può essere un modo autoritario per troncare ogni argomento.
«Le due ragioni sono evidentemente connesse, e abbiamo così la conclusione: non ho accesso alla realtà, dunque se dico "le cose stanno così" sono un pericoloso dogmatico, oppure (che è lo stesso) mi fido ciecamente della Scienza, o di altre autorità istituite.» Le due ragioni vengono entrambe smontate:
1) «è vero che vediamo la realtà filtrata dall'esperienza, ma quel che vediamo è comunque la realtà» (su questo punto rimando, in questo blog, alla mia sintesi di Introduzione alla verità, dove si evidenzia il ruolo che una corretta interpretazione della filosofia di Kant svolge nel pensiero di D'Agostini: l'in sé non è inaccessibile)
2) «Le funzioni concettuali associate alle parole verità e realtà sono funzioni inferenziali e discussive, che non hanno di per sé stesse né colpe né meriti: servono per ragionare e argomentare, e possono essere usate bene o male.»
Queste sono quindi le risposte che andavano (vanno) date a chi proponeva (propone) un attacco ai concetti di verità e realtà (per esempio Vattimo): non la tesi "la realtà esiste" (magari dimostrata con argomenti complessi come l'Argomento della Ciabatta... si veda M. Ferraris, Inemendabilità, ontologia, realtà sociale).
Il problema non è difendere la realtà, dice D'Agostini, «ma piuttosto difendere la possibilità della metafisica: ossia la possibilità di parlare della realtà in termini non vincolati alle sole scienze empiriche o ad altri settori scientifici determinati» (si badi: "non vincolati alle sole scienze" significa che comunque delle scienze si deve tenere conto! Ferraris, invece, con la sua "ipotesi della mesoscopia", mette sostanzialmente fuori gioco, ritenendole irrilevanti dal punto di vista metafisico, le scienze – la fisica in primo luogo –. Scrive infatti, nel saggio sopra indicato: «Il mondo è pieno di cose di taglia media, né troppo grandi, né troppo piccole [...] le cose che si presentano come fenomeni sono definite per l’appunto da una taglia mesoscopica: non ci sono fenomeni troppo grandi o troppo piccoli. Questo lo aveva riconosciuto bene proprio Kant, che sottolineava che il colossale, ciò che è troppo grande per la rappresentazione, esorbita dalla sfera del fenomenico e riguarda piuttosto l’ambito del sublime. Nella stessa linea di considerazioni, Kant aveva anche osservato che il mondo, come totalità di tutto ciò che c’è, non è un fenomeno, bensì una idea della ragione, insieme all’anima e a Dio. [...] L’uso combinato di una ecologia e di una fenomenologia realistica definisce la sfera della ontologia, e permette una vistosa differenziazione rispetto alla epistemologia. Il problema fisico è grande o piccolo, quello ontologico è medio. L’ontologia ci interessa se ci sta a cuore un mondo mesoscopico, per il microscopico e il macroscopico va benissimo la fisica, anzi, sarebbe assurdo voler ricorrere a qualche altro tipo di approccio. Ma è del tutto ovvio che un mondo mesoscopico ci interessa non meno di quello fisico, altrimenti non potremmo dire la maggior parte delle cose che diciamo, non potremmo avere i valori che abbiamo ecc.» Quello che risulta incomprensibile, se si assumono le ipotesi di Ferraris, è il fatto che le conoscenze scientifiche abbiano avuto un impatto così forte sulle strutture valoriali che hanno sorretto l'umanità dall'antichità al XVIII secolo; perché la teoria eliocentrica, pur riguardando cose fuori dalla taglia media, dava così fastidio alla Chiesa? Se Dio esista o no è, dal punto di vista di Ferraris, un problema ontologico o fisico?).

Questa necessità di tornare alla "questione della metafisica" ha sullo sfondo, secondo me, anche una emergente conflittualità fra credenti e non credenti. Penso alle discussioni anche aspre cui possiamo assistere, ad esempio fra Telmo Pievani e Paolo Flores D'Arcais da una parte e Vito Mancuso dall'altra. Oppure penso a quelle che Ronald Dworkin, nel suo ultimo libro Religione senza Dio (Il Mulino, Bologna 2014) chiama "nuove guerre di religione" (per esempio la questione se «i simboli di appartenenza religiosa possano essere indossati nelle scuole pubbliche, negli uffici e negli edifici governativi e negli spazi pubblici»; i tentativi della destra religiosa americana di far insegnare nelle scuole il creazionismo prima e il disegno intelligente poi in alternativa alla teoria dell'evoluzione, le battaglie intorno alla legittimità del matrimonio omosessuale...). 
La scienza continua a produrre nuove conoscenze sulla realtà rinforzando una visione (per quanto non unitaria) nella quale secondo me non c'è più modo né necessità di pensare a Dio come viene descritto nei monoteismi tradizionali (e infatti ritengo che le forme attuali di credenza religiosa delle persone colte - e in parte anche delle persone mediamente scolarizzate - intendano Dio in modo diverso da questi) ma ancora non riesce a costruire un'alternativa alle religioni tradizionali in termini di orientamento e sostegno dell'individuo attraverso la valorizzazione dell'esistente e la progettualità. È necessario quindi che la filosofia riprenda in mano il suo compito principale, la sua vocazione metafisica, e lo faccia però in stretto rapporto con i saperi scientifici (altrimenti saranno gli scienziati stessi a doversi incaricare di fare anche filosofia, come in parte stanno già facendo... penso  a Barrow, Pensrose, Hawking, Odifreddi, Boncinelli e via dicendo – e non c'è niente di male, anzi, ma i filosofi hanno competenze speciali in metafisica, ontologia, etica, logica, che vanno applicate e possono produrre risultati decisivi). Nel fare questo, inoltre, dovrà anche, secondo me, indicare la strada verso nuove forme di religiosità (intesa come atteggiamento, non come teoria) che siano in grado di superare il tradizionale ancoraggio alla nozione di un Dio persona e creatore, e potrà anche ritrovare il nesso con la dimensione pubblica e politica, alla quale è legata fin dalle sue origini nella Grecia antica.



9 luglio 2014

Animali mutanti e Frattali. Mostra virtuale di alcune opere di Alberto Grein




Alberto Grein, nato a Milano nel 1961, che in questo video potete vedere al lavoro, è insieme artista e artigiano, sensibile a molteplici influssi sia scientifici (biologia, matematica, antropologia, psicoanalisi, filosofia...) sia artistici (Arcimboldo, Bosch, Brueghel, il surrealismo, il dadaismo, l'arte psichedelica, la musica, la letteratura fantastica...). In questa piccola mostra virtuale si può apprezzare il valore del suo lavoro, che riesce a coniugare la dimensione simbolica e onirica con il piacere di oggetti di arredamento (ma anche gioielli e accessori) unici e assolutamente originali.




Zanz Queen





FormiKant 2
(formica analogico-virtual-reale, dotata di eccezionale QI)






Lombribellula






Po'stRana






Po'stRanina




Frattale 'Square'




Frattale 'Spy'




Spiega Alberto: 

«Tutti gli  'insetti' sono illuminati con strisce di LED applicate sotto il corpo, la Po'stRanina non è illuminata, e la Po'stRana ha una lampadina LED all'interno.
I frattali sono illuminati con lampadine LED nel vano laterale della cornice in rame.

Gli animali sono realizzati con vetri in gran parte di recupero (frammenti e scarti dalle vetrerie di Murano, recuperati dalle spiaggette adiacenti le fabbriche e perciò 'lavorati' dal mare; vetri industriali, stampati ecc. recuperati da porte, infissi, ecc.; ritagli di vetri piani colorati da vetrata, in genere avanzi dalla mia produzione di vetrate artistiche.
I Frattali sono realizzati con vetri piani colorati da vetrata, legati a stagno. Lo 'Spy' contiene due pezzi di vetro incolore placcato di  vetro rosso, con la placcatura rossa incisa a mano (trapanino elettrico con punta diamantata) ad ottenere il disegno a spirale.

Gli animali mutanti nascono in genere da un'abbozzo di idea sulla 'natura', forma e dimensione del soggetto, che però si modifica durante il processo di lavorazione e di assemblaggio dei pezzi. Mi lascio guidare dalle forme e dai colori dei pezzi che ho disposto previamente sul tavolo da lavoro, e l'intero processo è un 'work in progress' alimentato da una specie di 'automatismo psichico'...
... Per quanto riguarda i Frattali, si tratta una 'scoperta' (anche se in realtà ne conoscevo l'esistenza già da tempo) che feci una decina d'anni fa, quando decisi di addentrarmi un po' di più in quel mondo di disegni, pattern e strutture autosimili ed autoreplicanti, che ritengo essere una vera e propria rivoluzione nella scienza e nel sapere umano in generale, perché lì si fondono il rigore e la precisione della matematica con l'infinita varietà dei fenomeni naturali, riuscendo a spiegare una gran quantità di questi con procedimenti logici 'non lineari'...inoltre i frattali, nella loro bellezza barocca ed iterativa sono già di per loro un'incredibile stimolo per l'arte e l'immaginazione.»

8 luglio 2014

Rinasce il blog Filosofia Pubblica!




Sono felice di annunciare che rinasce, con una nuova gestione, il blog Filosofia pubblica.
Sarà gestito da Franca D'Agostini, che sarà responsabile per tutti i post pubblicati e moderatrice dei commenti.
Io avrò pura funzione di supporto tecnico.

Sul blog sono già presenti due novità: la riproposizione di un articolo che Franca ha da poco pubblicato sul Rasoio di Occam e un nuovo Call for Post intorno al nuovo libro di Diego Marconi.



27 giugno 2014

Contro l'infinito





«Porre un limite all'infinito è un tema ricorrente nella fisica moderna. [...] molto spesso, ciò che appare infinito non è altro che qualcosa che non abbiamo ancora capito o contato. [...] "Infinito", in fondo, è solo il nome che diamo a ciò che ancora non conosciamo. La Natura sembra dirci, quando la studiamo, che non c'è nulla, alla fine, di davvero infinito. [...] L'unica cosa davvero infinita è la nostra ignoranza.»
(C. Rovelli, La realtà non è come ci appare, Milano 2014)

Negare l'infinito reale, nella realtà fisica, equivale a credere nella conoscibilità, nella comprensibilità del mondo.

Torno a ragionare sulla Biblioteca di Babele.
Perché dobbiamo credere a questa ipotesi immaginativo-metafisica? (cioè : la quantità di ciò che è dicibile, esprimibile attraverso il linguaggio, è finita)
Perché un libro deve avere un numero di pagine finito? O anche: perché una frase non può essere infinita?
Perché altrimenti il suo senso non sarebbe, per principio, comprensibile. Potremmo capirne solo le singole parti, ma non il tutto. Ma un senso incomprensibile equivale a una assenza di senso.
L'insieme di tutto l'esprimibile non può essere infinito.

Resta sempre comunque pensabile, possibile, che la realtà (fisica) sia invece nel complesso inconoscibile, incomprensibile, quindi resta sempre possibile che sia infinita.

Ma perché qualcosa che è, di fatto, conoscibile nelle sue singole parti dovrebbe essere inconoscibile nell'insieme? Noi abbiamo già sperimentato la conoscibilità di parti della realtà, quindi abbiamo ragionevoli motivi di credere che la realtà sia conoscibile anche nella sua totalità, quindi che sia finita.

18 maggio 2014

La specie dominante






Relazione introduttiva alla raccolta di studi effettuata nel ciclo Antargutico 22 dal viaggiatore B-44/3121KLFERCV in data 56 Depoto 992435.

Ho soggiornato molto tempo sul pianeta Bianco-Celeste del sistema ZFC–galassia789086559, insieme a un gruppo di studiosi dei sistemi di vita di tipo K. Siamo rimasti laggiù a lungo per la singolare varietà delle specie: evidentemente in questo ambiente la propulsione infra-genetica dei legami HHGCTP è particolarmente violenta e tende contemporaneamente all’espansione e a superare ogni errore di copiatura con la ramificazione specifica. La situazione attuale è molto complessa, ma tenendo conto che il numero delle specie viventi si aggira intorno a 35.000.000, e sono tutte composte di materia del tipo L53 con prevalenza di carbonio, è una situazione anche relativamente semplificabile e descrivibile in breve.
    Possiamo dire che vi è una specie dominante per estensione sul territorio, originarietà dei mutamenti provocati all’ambiente, sottomissione e controllo di alcune specie affini ma meno sviluppate dal punto di vista neurale. Si tratta di una specie cordata, dotata di 4 arti di cui due con articolazione ulteriore prenso-elaborante, una massa neurale con circa 100.000.000.000 di unità fittamente interconnesse, con propensione espansivo-aggressiva mediata da elementi contemplativo-espressivi. Questa specie è dominante per i motivi che ho detto, ma numericamente assai inferiore rispetto al numero di individui delle specie di tipo artrop-insec (i veri “colonizzatori” del pianeta), e coabita un ambiente completamente invaso da forme estremamente più piccole, appartenenti al regno da loro denominato “bacteria” (equivalenti grosso modo ai nostri vegamostati ma con capacità molto superiori di intromissione negli apparati mesobiologici).
     Come avrete modo di vedere leggendo i singoli studi a cui questo breve scritto fa da introduzione, il nostro gruppo si è concentrato sullo studio della specie dominante, cercando di analizzare e capire alcune particolari caratteristiche che sfuggono ai nostri quadri standard di classificazione. Faccio solo alcuni esempi in via preliminare.
    Pur avendo da tempo sviluppato gli strumenti globalmente sufficienti a far vivere in buone condizioni tutti gli individui appartenenti, questa specie si ostina a mantenere divisioni territorio-politiche e divisioni sociali interne a ciascun territorio, e sembra ritenere impossibile la classica organizzazione a governo unico di specie, sprecando risorse ed energie preziose in mortiferi e distruttivi conflitti intraspecifici. Probabilmente queste divisioni sono dovute alla presenza di forti differenze culturali interne, infatti la specie dominante ha avuto un’evoluzione molto rapida ma in gruppi separati, ciascuno con il proprio sistema di comunicazione, che si è tradotto in differenti sistemi concetto-valoriali. Va anche detto che l’ambiente si presenta estremamente variato e velocemente mutevole: ciò ha sicuramente turbato le linee evolutive e ha determinato questa parcellizzazione culturale. Effetto collaterale di queste divisioni è anche la presenza di enormi disparità nel rapporto lavoro/retribuzione (su questo, però, prevediamo che avverrà a breve un generale ripensamento – con probabili conflitti – che dovrebbe portare a una equiparazione globale, anche se questa linea di sviluppo avrà inevitabilmente effetti distruttivi a breve periodo, vista la mancanza di governo unico).
    Date queste caratteristiche, non è ancora chiaro se questa specie dominante sul pianeta si possa classificare tra quelle superiori o tra quelle inferiori, perché presenta un livello di intelligenza elevato ma la utilizza malamente su scala totale: il punto critico è che ciascun individuo fatica a porsi nel punto di vista della specie, concentrandosi prevalentemente sugli interessi personali e di breve periodo.
    Sarebbe forse interessante provare a introdurre artificialmente, accanto a questa specie dominante, una specie analoga per forma e livello di sviluppo cerebrale ma che abbia già da tempo superato questo stadio conflittuale (ce ne sono diversi tipi nella galassia 705667434). Fra l’altro l’esperimento potrebbe anche aiutarli a frenare il veloce deterioramento che stanno provocando del sistema ecodinamico, con attuale rischio di auto-estinzione. L'unico dubbio è per i danni provocabili dalla loro reazione iniziale all'accostamento specifico: dovrebbero infatti riuscire a superare l'inevitabile emozione di elevatissima paura per il pericolo di invasione e sopraffazione.
Se, dopo la lettura degli studi specifici, il Controllore generale delle ricerche vorrà pensarci e inoltrare la proposta al Direttore degli esperimenti gliene sarò infinitamente grato. In caso contrario (mi rendo conto che il trasferimento intergalattico di una intera colonia di cordati può avere costi troppo alti), chiedo almeno di poter continuare a studiare il caso, dal momento che questa specie dimostra di possedere il fattore YNL (una peculiare capacità di generare nuove catene causali senza partire da quelle antecedenti) e sono molto curioso di vedere come andranno a finire le cose.

Con osservanza,


B-44/3121KLFERCV

2 maggio 2014

Destra e sinistra. La lezione di Norberto Bobbio

(Ri-)Pubblico qui il capitolo 7 di Destra e sinistra di Norberto Bobbio, con le mie annotazioni a matita (può risultare utile, di queste, lo schema finale).
La distinzione tra queste due categorie politiche, che molti oggi ritengono superata, è secondo me ancora importante per orientarsi, anche se va riformulata e ripensata, e il testo di Bobbio rimane un punto di riferimento per poterlo fare.


1 maggio 2014

Kant e l'infinito attuale



In un post precedente ho già fatto riferimento alla questione che Kant, nelle argomentazioni sulle prime due antinomie, non considera l'infinito attuale, ma solo quello potenziale.
Parlando invece dei postulati dell'imperativo categorico, nella Critica della ragion pratica, Kant argomenta a sostegno della necessità di pensare a un tempo infinito nel quale possa avvenire il perfezionamento morale richiesto dall'imperativo stesso. In questo caso mi pare che Kant abbia in mente l'infinito attuale, altrimenti il perfezionamento non si concluderebbe mai, sarebbe come un limite ultimo (mai raggiunto) verso cui ci si avvicina sempre più...

29 aprile 2014

Cosa fare delle nostre conoscenze?

(consigli per gli studenti e per quelli che studiano tutta la vita...)

estendere: ogni nostra conoscenza è in genere accompagnata dalla consapevolezza di parti del sapere umano a noi ancore ignote, verso le quali possiamo ampliare gli orizzonti; i confini si possono estendere restando nello stesso settore o anche scegliendo di allargare il campo verso settori per noi mai affrontati.

consolidare: ciò che già sappiamo può col passare del tempo appannarsi, assottigliarsi, diventare fragile e incerto. Tornarci sopra, memorizzare, ripensare è un modo per appropriarsi meglio di conoscenze che ci sembrava di avere già acquisito ma che possono rivelarsi lacunose o instabili.

affinare: esplorare i dettagli, precisare, entrare nei particolari

approfondire: esplorare le basi, i fondamenti, focalizzare e ingrandire (capire meglio) i punti nodali, i concetti centrali.

applicare: provare a usare ciò che sappiamo trasferendolo in un contesto diverso, ponendolo in relazione a un caso specifico, una circostanza particolare, un problema da risolvere.

dubitare: chiedersi se ciò che sappiamo è proprio vero, se non sia possibile una sapere alternativo sulle stesse cose, un punto di vista diverso; adottare un atteggiamento critico nei confronti di ciò che già sappiamo

immaginare: usare le conoscenze come base per immaginare possibilità diverse da quelle realizzate

produrre: individuare i punti nei quali il sapere può essere esteso in assoluto (domande mai poste prima, problemi ancora mai risolti, cose mai capite, zone mai esplorate, punti rivista mai adottati, interpretazioni mai avanzate, ipotesi mai fatte) e dare il proprio contributo con qualcosa di nuovo.

27 aprile 2014

Nymphomaniac - vol. II





La seconda parte del film mi è sembrata più fredda, nel complesso, rispetto alla prima
L'improvvisa insensibilità spinge Joe a cercare esperienze nuove, più forti, e finisce nello "studio" di un sadico (che prova piacere nell'infliggere frustate ma non arriva mai al rapporto sessuale con le sue partner); nel frattempo, però, ha avuto un figlio dall'uomo che l'aveva fatta innamorare, e per frequentare il sadico trascura il figlio, si rivela una madre e un'amante non altezza delle sue responsabilità e delle aspettative amorose della famiglia, per cui viene abbandonata. La sua vita si sviluppa con ulteriori avventure, e viene narrata all'uomo che l'ha soccorsa all'inizio (nella parte I), Seligman, il quale a un certo punto si dichiara "asessuato" e vergine. Seligman, che rappresenta una sorta di psicoterapeuta, aiuta Joe a sollevarsi dai suoi sensi di colpa, e alla fine Joe si sente effettivamente "accolta" da lui e lo riconosce come amico, ma proprio qui, nel finale, avviene un imprevisto capovolgimento di situazione, una sorta di scambio di ruoli che dà al film uno scatto in avanti, una sensazione di sviluppo e di complessità. 
La protagonista sembra non riuscire mai a conciliare sessualità e amore, e sembra essere incapace di  trovare la giusta misura nel vivere la sessualità integrandola con il resto delle componenti essenziali della vita umana. Alla fine, infatti, sembra "guarita" dalla sua ninfomania ma si propone l'astinenza totale dalla sessualità. Quindi o tutto, o niente. 
Anche la seconda parte è ricca di riferimenti culturali e girata con grande perizia.


Considerando il film nell'insieme, forse uno dei problemi generali riguardo alla sessualità, che il regista ha voluto riproporre, è se sia veramente impossibile conciliare la vita sociale e i rapporti amorosi all'interno della famiglia, la civiltà in generale, con una espressione più libera delle proprie pulsioni (un po' come ha sostenuto Freud ne Il disagio della civiltà) o se invece si possa pensare a una società diversa, capace di accogliere individui che sacrifichino meno o per niente l'energia pulsionale. Il discorso che emerge dal film a questo proposito, mi pare, è che non può essere un solo individuo a tentare vie alternative, pena l'emarginazione e l'impossibilità di costruire rapporti interpersonali solidi. 

24 aprile 2014

Rovelli, capitolo 4. I quanti.

C. Rovelli, La realtà non è come ci appare, Raffaello Cortina 2014
commenti precedenti:
Rovelli, capitolo 1
Rovelli, capitolo 2


Riassumo (liberamente, in carattere Times; tra virgolette riporto brani del testo di Rovelli) e commento (in Helvetica).

Nel 1900 Max Planck ipotizza che l'energia (del campo elettrico) sia distribuita in quanti (unità minime, mattoncini minimi) e che l'energia di ogni quanto dipenda dalla frequenza (delle onde elettromagnetiche; in altri termini dalla velocità delle oscillazioni delle onde). Più alta è la frequenza, più grande sarà il quanto. Nel 1905 Einstein, partendo dalla spiegazione dell'effetto fotoelettrico, capisce che i quanti esistono realmente. I quanti di luce sono i fotoni: l'energia della luce è distribuita nello spazio in maniera discontinua. Questo lavoro di Einstein non viene inizialmente preso sul serio, perché ci si era appena convinti che la luce fosse un'onda del campo elettromagnetico "e come fa un'onda a essere fatta di granelli? (...) Capire come la luce possa essere sia un'onda elettromagnetica sia, allo stesso tempo, uno sciame di fotoni, richiederà l'intera costruzione della meccanica quantistica."

Nella comprensione del fenomeno della luce, quindi, si è passati dalla teoria corpuscolare (Newton) alla teoria ondulatoria (Maxwell), a una sintesi delle due teorie: la luce come onda-corpuscoli (Einstein). Non c'è, in questo procedere storico della fisica, una conferma del processo dialettico teorizzato da Hegel?
Niels Bohr, nel primo ventennio del Novecento, studiando la struttura degli atomi si imbatte in un problema. Secondo il modello dell’atomo allora condiviso (un nucleo centrale intorno a cui girano elettroni, come un piccolo sistema solare) non risultava spiegabile il fatto che la materia sia colorata. “Studiando in dettaglio la luce emessa (non sarebbe meglio dire ‘riflessa’? La maggior parte delle sostanze non sono luminose, non emettono luce propria…) dagli atomi, si ricava che le sostanze elementari hanno colori che le contraddistinguono.”

Quindi si appura che il colore è una “qualità primaria”! Avevo già commentato, a proposito del colore, nel capitolo 2, che si può interpretare la scoperta di Maxwell che le differenze di colore sono differenze di frequenza delle onde elettromagnetiche come la scoperta del lato “oggettivo” o “in sé” del colore rispetto al suo lato “soggettivo” o “fenomenico” (come noi percepiamo queste differenze di frequenza).

“Maxwell aveva scoperto che il colore è la frequenza della luce. Quindi la luce viene emessa (stessa osservazione fatta sopra…) dalle sostanze solo a certe frequenze. L’insieme delle frequenze che caratterizza una data sostanza si chiama ‘spettro’ di questa sostanza.”



“Il colore è la frequenza della luce, cioè la velocità a cui vibrano le linee di Faraday. A sua volta, questa è determinata dal vibrare delle cariche elettriche che originano la luce, e queste cariche, per la materia, sono gli elettroni che volteggiano intorno agli atomi.”  La cosa però non tornava rispetto alla meccanica newtoniana: “a credere alla meccanica di Newton, un elettrone può ruotare intorno al suo nucleo a qualunque velocità, e quindi emettere luce a qualunque frequenza. Ma allora, perché la luce emessa da un atomo non contiene tutti i colori, ma solo pochi colori particolari? Perché gli spettri atomici non sono un continuo di colori, ma sono composti da poche righe staccate?”
Bohr riesce a rispondere a questo problema, ma lo fa proponendo un nuovo modello di atomo, nel 1913, con caratteristiche che appaiono bizzarre. Ipotizza che anche l’energia degli elettroni negli atomi possa assumere solo certi valori “quantizzati” (ipotesi analoga a quella avanzata da Einstein per l’energia dei quanti di luce), che gli elettroni possano esistere solo su certe orbite, a distanze particolari dal nucleo, e che gli elettroni possano “saltare” fra l’una e l’altra delle orbite atomiche consentite (“salti quantici”). Questo nuovo modello atomico, con cui Bohr riusciva a rendere conto con precisione di tutti gli spettri di tutte le sostanze e a prevedere anche spettri non ancora osservati,  era contraddittorio rispetto alle concezioni tradizionali della materia e della dinamica. 
Sarà il giovane Werner Heisenberg ad avanzare una teoria profondamente innovativa che riusciva a inquadrare queste stranezze. Rovelli descrive molto bene le circostanze nelle quali, in una notte del 1925, nel parco dietro l’Istituto di Fisica di Copenhagen, Heisenberg ha una folgorante intuizione che lo porta a scrivere per primo le equazioni della meccanica quantistica, e lascio al lettore curioso la lettura diretta del libro di Rovelli. Qui vorrei sintetizzare e commentare l’intuizione di Heisenberg da un punto di vista filosofico. 
L’intuizione è che gli elettroni possano avere, a differenza degli oggetti materiali che siamo abituati ad osservare nelle nostre esperienze quotidiane, una esistenza intermittente! Possono scomparire e riapparire (i “salti quantici”); fra un’esistenza e l’altra non sono da nessuna parte, non hanno alcuna posizione precisa. “Gli elettroni non esistono sempre. Esistono solo quando interagiscono. Si materializzano in un luogo quando sbattono contro qualcosa d’altro. I ‘salti quantici’ da un’orbita all’altra sono il loro modo di essere reali: un elettrone è un insieme di salti da un’interazione all’altra. Quando nessuno lo disturba, un elettrone non è in alcun luogo.”

Questa esistenza intermittente avrebbe sicuramente scandalizzato Parmenide… ma proviamo a ragionarci sopra un momento. La prima questione mi sembra la seguente: esiste una modalità di esistenza, un altro modo di essere (per esempio quello che per gli stoici era il “sussistere”, che attribuivano agli enti immateriali come il significato), nella quale un elettrone si trova quando non è e che consente però di fornire una continuità all’identità dell’elettrone stesso? In altri termini: fra un salto quantico e l’altro un elettrone rimane se stesso o no? Può una cosa restare se stessa se si interrompe la continuità della sua esistenza materiale? Mi sembra che in gioco ci sia l’idea di una quantizzazione dell’esistenza stessa! 
La seconda questione è che Rovelli punta molto sull’interpretazione relazionale della teoria. Essere significherebbe interagire, relazionarsi. A questo proposito mi viene in mente che in fondo questa è la stessa idea che ha avuto Platone quando tentava di trovare un significato per l’essere che potesse funzionare sia per la sua teoria delle idee sia per l’atomismo democriteo: cosa hanno in comune le idee platoniche e gli atomi di Democrito? che possono entrare in relazione con altri enti della loro specie. Essere è essere in rapporto con. Mi sembra, però, che questa idea lasci in sospeso proprio la prima questione che ponevo sopra, cioè cosa ne è di un ente che non interagisce? Conserva la sua identità fino all’interazione successiva o no?

Altro protagonista della meccanica quantistica è Paul Adrien Maurice Dirac, gigante della fisica del XX secolo. Scrive Rovelli: "nelle sue mani la meccanica quantistica, da accozzaglia snaturata di intuizioni, mezzi calcoli, fumose discussioni metafisiche ed equazioni che funzionano bene e non si sa perché si trasforma in un'architettura perfetta: aerea, semplice e bellissima. Ma di un'astrattezza stratosferica. (...) In essa ogni oggetto è descritto da uno spazio astratto,*
*Uno spazio di Hilbert
e non ha alcuna proprietà in sé, a parte quelle che non cambiano mai, come la massa. La sua posizione e velocità, il suo momento angolare e il suo potenziale elettrico ecc. prendono realtà solamente quando si scontra con un altro oggetto. (...) L'aspetto relazionale della teoria dovente universale. (...) Non sappiamo con certezza dove l'elettrone comparirà, ma possiamo calcolare la probabilità che compaia qui o là".

Una variabile fisica può assumere solo certi valori: lo spettro di una variabile è l'insieme dei valori particolari che la variabile può assumere. Con Dirac diventa possibile calcolare quali valori possa prendere una variabile fisica: "Questo si chiama 'calcolo dello spettro di una variabile', cattura la granularità nel fondo della natura delle cose, ed è estremamente generale: vale per qualunque variabile fisica. I valori sono quelli che una variabile può prendere nel momento in cui l'oggetto (atomo, campo elettromagnetico, molecola, pendolo, sasso, stella...) (ma non vale solo su scala atomica?? Più avanti, a pag. 115, nella nota 11 Rovelli scrive: "Una regione finita dello spazio delle fasi, cioè dello spazio dei possibili stati di un sistema, contiene un numero infinito di stati classici distinguibili, ma corrisponde sempre a un numero finito di stati quantistici ortogonali. Questo numero è dato dal volume della regione diviso per la costante di Planck elevata al numero dei gradi di libertà. (???) Questo risultato è completamente generale.) interagisce con qualcos'altro (relazionalismo) (...) Cosa succeda fra un'interazione e l'altra è qualcosa che nella teoria non esiste (Un bel problema!)"

"La probabilità di trovare un elettrone, o una qualunque altra particella, in un punto o nell'altro nello spazio, si può immaginare come una nuvola diffusa, più densa dove la probabilità di vedere l'elettrone è maggiore. Talvolta è utile visualizzare questa nuvola, come fosse un oggetto reale. Per esempio, la nuvola che rappresenta un elettrone intorno al suo nucleo ci dice dove è più facile che l'elettrone appaia se proviamo a guardarlo. Se li avete incontrati a scuola, questi sono gli "orbitali" atomici.*"
(riporto qui sotto immagini degli "orbitali" atomici che si possono trovare nel web:)







"*La 'nuvola' che rappresenta i punti dello spazio dove è probabile trovare l'elettrone è descritta da un oggetto matematico chiamato la 'funzione d'onda'. Il fisico austriaco Erwin Schrödinger ha scritto un'equazione che mostra come questa funzione d'onda evolva nel tempo. Schrödinger aveva sperato che l''onda' potesse spiegare le stranezze della meccanica quantistica (...) [ma] il motivo principale per cui l'onda di Schrödinger non è una buona immagine della realtà consiste nel fatto che, quando l'elettrone collide con qualcosa d'altro, è sempre in un punto solo, non è diffuso nello spazio come un'onda. Se si pensa che un elettrone sia un'onda, ci si trova poi nella peste a cercare di spiegare come  accade che quest'onda si concentri istantaneamente in un solo punto a ogni collisione. (...) La realtà dell'elettrone non è un'onda: è questo apparire a intermittenza nelle collisioni (...)"

Per quanto strana, la teoria si rivela estremamente efficace, ed è alla base, ricorda Rovelli, dei computer, della chimica e biologia molecolare avanzate, dei laser, dei semiconduttori. Altra straordinaria applicazione della teoria è la seguente:
"prendete l'equazione della meccanica quantistica che determina la forma degli orbitali dell'elettrone. Questa equazione ha un certo numero di soluzioni e queste soluzioni corrispondono esattamente : all'idrogeno, all'elio... all'ossigeno... e agli altri elementi! La tavola periodica di Mendeleev è strutturata esattamente come le soluzioni. Le proprietà degli elementi e tutto il resto segue come soluzione di questa equazione! In altre parole, la meccanica quantistica decifra perfettamente il segreto della struttura della tavola periodica degli elementi. L'antico sogno di Pitagora e di Platone di descrivere tutte le sostanze del mondo con una sola formula è realizzato."


Dirac si rende poi conto che la meccanica quantistica si può applicare direttamente ai campi, e scopre la convergenza fra la nozione di particella e quella di campo:
"Campi e particelle sono la stessa cosa
(...)
La nuvola di probabilità che accompagna gli elettroni fra un'interazione e l'altra è un po' simile a un campo. Ma i campi di Faraday e Maxwell, a loro volta, sono fatti di grani: i fotoni. Non solo le particelle sono in un certo senso diffuse nello spazio come campi, ma anche i campi interagiscono come le particelle. (...)
Il modo in cui questo avviene nella teoria è elegante: le equazioni di Dirac determinano quali valori possa prendere ogni variabile. Applicate all'energia delle linee di Faraday, ci dicono che questa energia può prendere solo certi valori e non altri. L'energia del campo elettromagnetico può prendere solo certi valori, e quindi si comporta come un insieme di pacchetti di energia. Questi sono esattamente i quanti di energia di Planck e Einstein. Il cerchio si chiude. (...)
Le onde elettromagnetiche sono sì vibrazioni delle linee di Faraday, ma anche, a piccola scala, sciami di fotoni. Quando interagiscono con qualcosa d'altro, come nell'effetto fotoelettrico, si mostrano come sciami di particelle: sul nostro occhio la luce pioggerella in gocce separate, in singoli fotoni. I fotoni sono "i quanti" del campo elettromagnetico.
D'altra parte, anche gli elettroni e tutte le particelle di cui è fatto il mondo sono "quanti" di un campo: un "campo quantistico" simile a quello di Faraday e Maxwell, soggetto alla granularità e alla probabilità quantistiche, e Dirac scrive l'equazione del campo degli elettroni e delle altre particelle elementari.*
*L'equazione di Dirac
La differenza fra campi e particelle introdotta da Faraday viene largamente a sparire.
La forma generale della teoria quantistica compatibile con la relatività ristretta è chiamata 'teoria quantistica dei campi' ed è la base dell'odierna fisica delle particelle. Le particelle sono quanti di un campo, come i fotoni sono quanti del campo elettromagnetico, e tutti i campi mostrano questa struttura granulare nelle loro interazioni."





(le ultime due immagini sono tratte dall'articolo Il microscopio che vede gli atomi)

"Nel corso del XX secolo l'elenco dei campi fondamentali è stato messo a punto e oggi disponiamo di una teoria, chiamata 'modello standard delle particelle elementari', che sembra descrivere bene tutto quello che vediamo, a parte la gravità,* nell'ambito della teoria quantistica dei campi.
*. C'è un fenomeno che sembra non essere riducibile al modello standard: la cosiddetta materia oscura. Astrofisici e cosmologi osservano nell'Universo effetti di materia che sembra non essere del tipo della materia descritta dal modello standard. Ci sono molte cose che ancora non sappiamo. "

(Incredibile! Anche in questo campo, più si acquisiscono conoscenze, più si scopre quanto si è ignoranti.)

"(...) Il 'modello standard' è stato completato intorno agli anno Settanta. Ci sono una quindicina di campi le cui eccitazioni sono le particelle elementari (elettroni, quark, muori, neutrini, la particella di Higgs e poco altro), più alcuni campi, come il campo elettromagnetico, che descrivono la forza elettromagnetica e le altre forze che agiscono a scala nucleare."





Quindi ci sono, se ho capito bene, "campi-particelle" e "campi-forze".