11 ottobre 2008

Libertà come evoluzione

Per risolvere il problema dell’esistenza del male rispetto all’onnipotenza e alla bontà divina, Agostino, nel IV secolo, rielabora e definisce filosoficamente, all’interno della tradizione cristiana, il concetto di “libero arbitrio”: solo l’uomo, fra tutte le creature, può scegliere fra bene e male. Non è quindi Dio il responsabile del male morale, ma è l’uomo. Dio ha voluto dare all’uomo una straordinaria facoltà, il libero arbitrio, che lo pone al di sopra di tutte le altre creature, ma costitusce anche un peso: solo l’uomo infatti, è responsabile del proprio comportamento, e può fare un cattivo uso della propria libertà. Questo concetto di libero arbitrio si è poi consolidato nella coscienza dell’uomo moderno attraverso l’umanesimo (pensiamo al discorso di Pico della Mirandola sulla dignità umana). Del resto quest’idea si accorda anche con la sensazione che noi tutti abbiamo di essere liberi per il fatto stesso che compiamo azioni: «ho fatto questo,» diciamo «ma avrei potuto agire diversamente». Ma in quest’idea si nasconde, credo, un pregiudizio antropocentrico, che considera l’uomo come l’unico ente al di sopra delle leggi naturali, l’unico ente che può “aprire” il futuro, modificare il corso naturale degli eventi, quindi in fondo un ente “miracoloso”, “sovrannaturale”, a metà strada fra il naturale e il divino... Propongo alla vostra riflessione un’altra ipotesi: che il concetto di libertà sia relativo, che si possa applicare non solo all’uomo, e che gradi diversi di libertà corrispondano a tipi diversi di necessità. Rispetto ad una pietra che cade dall’alto di una rupe verso il mare, non è forse straordinariamente più “libera” una pianticella che lentamente cresce verso il sole? Il “tipo” di esistenza della pianta non è forse radicalmente diverso rispetto a quello della pietra? E rispetto al movimento di crescita della pianta, non è forse più “libero” il movimento di una volpe che si aggira per le strade di campagna, di notte, a caccia di prede? Il “tipo” di esistenza della volpe non è forse radicalmente diverso rispetto a quello della pianta? Il “salto” qualitativo fra gli animali e l’uomo non appare più un abisso incolmabile se pensiamo al “salto” qualitativo che esiste fra la materia inorganica e quella organica. Lì c’è un abisso forse anche più profondo, eppure ormai ci siamo abituati a considerare gli organismi viventi come un oggetto di conoscenza scientifica non solo possibile, ma già sviluppata a livelli estremamente raffinati. Gli organismi viventi “sfuggono” forse alle leggi di natura? “Oltrepassano” la necessità? Certo, per capire gli organismi viventi dobbiamo scoprire altre leggi oltre quelle della fisica. Con le leggi della fisica non riusciamo a capire perché un gatto miagoli quando sente il rumore dell’apriscatole. Eppure non consideriamo questo evento qualcosa che sia “oltre” la necessità delle cose. Certo non è una necessità fisica, ma è un altro tipo di necessità, molto più complessa. Ogni gradino nella scala evolutiva corrisponde a un grado maggiore di libertà. In quest’ottica la libertà umana non è un dono esclusivo e misterioso, e proprio per questo è qualcosa che si può coltivare e che può crescere, è qualcosa che in persone diverse esiste in gradi diversi: vi sono persone più libere di altre. E come si può coltivare? Abbiamo secondo me a disposizione due strade, che possono formare un circolo virtuoso: 1. pensare per agire e 2. agire per pensare (nel “pensiero” includo anche memoria e immaginazione) 1) Quando elaboriamo una scelta interrompiamo l’azione e pensiamo. Questo processo si può estendere. Possiamo far diventare delle scelte anche azioni su cui in genere non pensiamo, chiedendoci: “Sono proprio sicuro che sia giusto fare questo? Ma perché lo faccio, in realtà? Non sarebbe meglio fare diversamente? Ci sono altre soluzioni? Quali sarebbero le conseguenze?” 2) L’azione può essere finalizzata a rendere il pensiero più efficace e più profondo e l’immaginazione più ricca, come facciamo quando acquisiamo informazioni (leggendo libri o giornali, studiando, osservando le cose e le persone che ci circondano, viaggiando eccetera). Possiamo decidere di “nutrire” la nostra mente attraverso esperienze nuove o cercando di vivere più intensamente esperienze abituali, o semplicemente provando a ripetere esperienze già fatte (come quando rileggiamo un libro per capirlo meglio). Un problema aperto è se aumentando il proprio grado di libertà l’uomo vada anche verso valori etici. Forse, purtroppo, l’evoluzione verso concezioni sempre più alte del bene ha come controparte la possibilità di concepire e mettere in atto mali sempre peggiori, ma mi piace pensare che l’evoluzione della cultura (negli individui e nell’umanità) sia un’evoluzione anche morale.

Nessun commento: