25 aprile 2012

Una nuova teoria sul piacere








In un precedente post ho posto una questione sul concetto di piacere, lamentando i limiti della linea teorica Schopenhauer-Freud. Chiudevo chiedendo se qualcuno avesse notizia di una teoria alternativa sul piacere.

Ebbene, non molto tempo dopo, in uno dei miei consueti giri alla libreria Feltrinelli, mi imbatto in un libro di recentissima pubblicazione: Il piacere. Indagine filosofica, di Ermanno Bencivenga, edito da Laterza. Quando si dice "il libro giusto al momento giusto"...

Rimando ad un futuro post una recensione critica del testo, ma intanto posso dire che nei primi quattro capitoli Bencivenga espone la pars destruens, mentre la pars construens inizia nel quinto capitolo. Bencivenga critica la teoria dominante sul piacere (proprio quella linea teorica da me sopra richiamata) e propone una teoria nuova ma basata su classici, innanzitutto Aristotele. Contro la teoria del piacere come riduzione-annullamento di una tensione/bisogno/desiderio (che riconduce ad un nesso piacere-morte), propone il nesso piacere-attività o piacere-vita. Nell'Etica nicomachea Aristotele, contrariamente a quanto potrebbe apparire restando fermi al primo libro (che critica la vita dedita al piacere), imposta per primo il nesso piacere-attività. La virtù, l'agire razionale, è raggiunta quando tale agire razionale si accompagna al piacere...

17 aprile 2012

Freud/Jung: una tensione molto attuale






Ho visto di recente il film A Dangerous Method di David Cronenberg (2011).
Mi ha fatto molto pensare, mettendo in secondo piano la figura di Sabina Spielrein, il rapporto teso e la rottura tra Freud e Jung, perché mi sembra paradigmatica di una tensione culturale ancora presente.
Freud rappresenta e difende il pensiero scientifico (pur nella sua aspirazione alla creazione di una teoria, come la psicoanalisi, sul cui statuto epistemologico si discute ancora oggi), Jung vuole invece restituire all'uomo la dimensione mitico-magico-religiosa. Emergono molto bene nel film i limiti di entrambe le posizioni, anche se è indubbio che il regista parteggi per Jung.
A me interessa la dialettica fra un atteggiamento (Freud) che intende restare fermamente ancorato a fenomeni (per usare la terminologia kantiana) e quindi nega la dimensione metafisica, ma rischia di perdere anche la possibilità di reperire/costruire un senso più ampio e forte in cui inserire i fenomeni e la propria stessa esistenza, e un atteggiamento (Jung)che intende sistematicamente oltrepassare i fenomeni proprio per reperire/costruire questo senso ma rischia di perdere il senso dei fenomeni stessi e dei limiti-regole della convivenza sociale.