24 dicembre 2015

Mente e cervello in una poesia di Valerio Magrelli. Sulla natura umana






Io abito il mio cervello
come un tranquillo possidente le sue terre.
Per tutto il giorno il mio lavoro
è nel farle fruttare,
il mio frutto nel farle lavorare.
E prima di dormire
mi affaccio a guardarle
con il pudore dell'uomo
per la sua immagine.
Il mio cervello abita in me
come un tranquillo possidente le sue terre.


Gli ultimi due versi di questa poesia di Valerio Magrelli (da Ora serrata retinae) colpiscono per la specularità sospesa, rispetto ai primi due:

Io abito il mio cervello / Il mio cervello abita in me

Sospesa perché dopo l'ultimo verso verrebbe voglia di continuare la poesia ri-scrivendo tutto dal punto di vista del cervello (non più dell'Io)... Ma come continuare?
Forse così:

Per tutto il giorno il suo lavoro
è nel farle fruttare, il suo frutto nel farle lavorare.

Il quarto e quinto verso della poesia presentano un'altra specularità: lavoro è far fruttare (la terra), frutto è far lavorare (la terra).
Sembra insomma di scorgere la rappresentazione di uno strano rapporto tra cervello (corpo) e mente: la mente fa lavorare il corpo e il corpo fa lavorare la mente... ma quello che conta, alla fine, è che al di là del punto di vista, al di là del punto di partenza, l'uomo (corpo-cervello+mente) consiste (quando riesce a dare il meglio di sé, quando non cede alla regressione verso la bestia) in un continuo, costante, quotidiano lavoro di messa a frutto delle proprie capacità, che sono corporeo-mentali (o mental-corporee). La natura umana sta in questo destino di intreccio fra cervello e mente che richiede lavoro continuo: solo fruttando, lavorando con la mente-cervello, l'uomo realizza la propria vita nel modo migliore e può contemplare alla fine della giornata (della vita) le sue opere (la sua immagine) con pudore e soddisfazione.

20 dicembre 2015

Nel Dipartimento di Filosofia della Statale di Milano riemerge il dissidio Analitici vs Continentali?







Ricostruiamo qui, seguendone le tracce in tre "puntate" su La Repubblica Milano – articoli usciti rispettivamente il 15/12, il 17/12 (con la doppia intervista Giorello/Boella) e 20/12 – una vicenda che lascia stupiti quanti pensavano che ormai la tensione fra tradizione analitica e tradizione continentale fosse sulla strada di una graduale ricomposizione, o quantomeno di una progressiva contaminazione.
Da quanto si legge le cose non stanno affatto così, sia sul piano delle posizioni ideali sia sul piano dei rapporti interpersonali...

15/12
Proteste, veleni e prof in partenza. La lite dei filosofi scuote la Statale
Lotta tra innovatori e tradizionalisti nel dipartimento: sette docenti chiedono di essere trasferiti a Storia
di LUCA DE VITO

C’è un terremoto in corso nel dipartimento di Filosofia dell’università Statale, dove sette docenti (su 42), tra professori ordinari, associati e ricercatori, hanno chiesto in blocco di essere trasferiti presso il dipartimento di Storia. Una presa di posizione clamorosa che mette a rischio l’esistenza stessa di uno degli ultimi due dipartimenti di Filosofia presenti negli atenei pubblici di tutta Italia (l’altro è alla Sapienza). La possibilità concreta, adesso, è che Filosofia possa scomparire da via Festa del perdono.
I sette scissionisti sono Elio Franzini, ordinario di Estetica, Laura Boella ordinario di Filosofia morale, Renato Pettoello ordinario di Storia della filosofia, Franco Trabattoni ordinario di Storia della filosofia antica, Paolo Valore ricercatore in Storia della filosofia, Amedeo Vigorelli associato di Filosofia morale e Miriam Franchella associato di Logica. Hanno affidato le loro motivazioni a sette lettere inviate al dipartimento che, con toni diversi, insistono tutte sullo stesso punto: ovvero una critica alla trasformazione in atto che sta riguardando la natura stessa del centro. Per usare le parole usate dal professor Pettoello nella sua lettera «si è finito con lo snaturare del tutto il dipartimento gettando alle ortiche un’antica e consolidata tradizione di studi». Oppure quelle di Franzini: «Ritengo che sul piano scientifico il dipartimento stia perdendo la sua identità o meglio stia scegliendo una sorta di identità multipla». Nel merito, gli scissionisti criticano la scelta di aver assunto studiosi di altre discipline (come ad esempio l’informatica) e di “scientificizzare” troppo il dipartimento.
Sul trasferimento dovranno pronunciarsi i colleghi che si riuniranno domani, anche se la decisione finale spetterà al consiglio d’amministrazione dell’ateneo che potrebbe anche respingere la richiesta dei docenti. Tuttavia si tratta di una vicenda che è destinata a lasciare strascichi pesanti. Anche perché la fazione contraria sembra intenzionata a dare battaglia: secondo alcuni infatti il trasferimento sarebbe solo una manovra “politica” messa in atto proprio da quei professori che rappresentano la ex governance. Una manovra per osteggiare il nuovo corso e mettere a rischio l’esistenza stessa del dipartimento.
Decisamente perplesso sulla decisione dei sette è il direttore del dipartimento, il professor Alessandro Zucchi: «Quello che stiamo mettendo in atto è un cambiamento che rendono di più dal punto di vista della ricerca — spiega —. Penso a un allargamento alle scienze cognitive, in cui i filosofi che vogliono studiare la mente collaborano con gli scienziati. Oppure ai filosofi che si interessano di intelligenza artificiale che lavorano con scienziati computazionali. Poi certamente abbiamo una tradizione di storia della filosofia che è importante, ma servono persone che pubblichino su riviste internazionali di livello alto. Questa è una direzione che stanno prendendo tutte le grandi università internazionali. Adesso abbiamo buoni risultati, ma quello che ci era stato lasciato in eredità era un dipartimento di serie B».

17/12
È polemica tra docenti al dipartimento di Filosofia della Statale
Statale, la lite dei filosofi vincono gli innovatori perdono i tradizionalisti “No alla scissione”
di LUCA DE VITO

Il Collegio dei docenti di Filosofia ha respinto la richiesta di trasferimento dei sette professori “scissionisti” che avevano chiesto di spostarsi a Storia, mettendo così a rischio l’esistenza stessa del dipartimento (che ha già un organico al minimo). Un “no” che è arrivato a larga maggioranza: 26 contrari, quattro gli astenuti e un solo voto favorevole ai trasferimenti, quello della professoressa Boella, uno dei sette docenti in partenza (gli altri sei non si sono presentati).
L’accusa mossa dagli scissionisti era quella di un’eccessiva “scientificizzazione” del dipartimento. La risposta, arrivata con il documento approvato al termine della riunione, respinge «con fermezza» l’accusa di snaturamento del dipartimento e condanna il metodo con cui lo “scisma” è avvenuto.
Nello stesso documento viene poi sottolineato il rischio di creare danni con la trasmigrazione di una minoranza in disaccordo, ovvero la possibilità di chiusura.
La parola fine su questa vicenda spetta comunque al consiglio d’amministrazione — il parere dei docenti non è vincolante — che deciderà se approvare o meno le richieste avanzate. In ogni caso, nulla si muoverà prima di gennaio 2016 e i trasferimenti, se dovessero essere approvati, non avverrebbero prima dell’inizio del prossimo anno accademico. Quello che è certo, però, è che la vicenda avrà strascichi in quello che è uno degli ultimi due dipartimenti di Filosofia all’interno di università pubbliche italiane (l’altro è alla Sapienza). I rapporti tra i sette docenti e il resto del corpo accademico sono ormai compromessi e la rottura è definitiva.
Anche perché, in un’altra lettera firmata dai sette e inviata ai membri interni del consiglio di amministrazione, si fa riferimento alla precisa volontà di creare un nuovo polo di studi filosofici. Non sono da sottovalutare poi neanche gli effetti collaterali che potrebbero esserci su tutto l’ateneo: la fuoriuscita — che non avrebbe precedenti nella storia della Statale — potrebbe infatti causare una reazione a catena che coinvolgerebbe anche gli altri dipartimenti. Uno spostamento di pedine in cui, alla fine, qualche settore disciplinare avrebbe sicuramente la peggio.

CON I RIFORMISTI: GIULIO GIORELLO
“I maestri dell’ateneo non hanno avuto paura della scienza”
Giulio Giorello, filosofo della Scienza e docente della Statale in pensione da un mese, è uno dei grandi nomi del dipartimento di Filosofia.
Che cosa ne pensa della posizione degli “scissionisti”?
«Quelle posizioni esprimono una paura della scienza e del rigore scientifico che il nostro Paese ha già conosciuto, fin dai tempi delle polemiche degli idealisti contro gli scienziati che volevano parlare di filosofia ».
Ma si tratta di posizioni che si muovono nel solco della tradizione oppure no?
«Assolutamente no, fanno a pugni con l’insegnamento che abbiamo ricevuto da grandi maestri come Enzo Paci, Mario Dal Pra e Ludovico Geymonat, i grandi filosofi della Statale. Erano tutti felici della contaminazione delle idee filosofiche con la pratica scientifica».
In che modo dialogavano con altre discipline?
«Non avevano certamente paura del confronto con le materie scientifiche, al loro tempo c’era soprattutto un’attenzione per la fisica, la biologia e la matematica. A Milano più di una volta vennero cooptati dentro il dipartimento degli studiosi che avevano una laurea scientifica. Il professor Corrado Mangione veniva da matematica, ad esempio. Non c’erano steccati disciplinari, anche perché questi nostri grandi maestri avrebbero dato ragione a Karl Popper almeno su un punto: “Non siamo studiosi di discipline, siamo studiosi di problemi”. E un problema ti prende per mano e ti conduce dove meno te lo aspetti».
Ma perché si parla di uno snaturamento del dipartimento?
«Credo che, sotto sotto, operi in questi colleghi una forma di timoroso conservatorismo. L’incontro con grandi studiosi scientifici costringe a essere rigorosi e precisi. A ripulire il proprio pensiero. A uscire dalle abitudini. E questo fa sì che un dipartimento serio torni ad essere un dipartimento di serie A. Bisogna fare attenzione: se si tagliano questi rapporti con la scienza, si fa poca strada ».
E il dipartimento di Filosofia oggi è di serie A o di serie B?
«Oggi c’è un manipolo di giovani (e meno giovani) di altissimo livello, con prestigio internazionale e che si sono fatti le ossa con lavori realizzati in modo scientifico e rigoroso. Penso a Corrado Sinigaglia, che ha scritto un libro con Giacomo Rizzolatti che ha avuto più di dieci traduzioni all’estero. Potrei citare poi i bei lavori di filosofia della mente della professoressa Clotilde Calabi. Oppure i lavori di Luca Guzzardi che collabora con l’Osservatorio di Brera per mettere a punto l’edizione critica di Boscovich. Persone che ci vengono invidiate all’estero».
(luca de vito)

CON I CONSERVATORI: LAURA BOELLA
“Ormai non c’è più pluralismo delle idee e rispetto personale”
Laura Boella, ordinario di Filosofia morale, è uno dei sette docenti che hanno chiesto il trasferimento a Storia. Parla a titolo personale, non come portavoce dei colleghi e ci tiene a spiegare la sua posizione, «anche perché ho ricevuto molte email da parte di studenti che sono preoccupati e vogliono capire».
Professoressa, perché avete deciso di lasciare il dipartimento?
«Per quanto mi riguarda non si tratta di un contrasto tra linee filosofiche, tutt’altro. L’apertura a discipline non filosofiche nel nostro dipartimento ha una lunga tradizione. Io lavoro sull’empatia con un orientamento fenomenologico, studi che si sono incontrati ampiamente con le scienze cognitive. E il nostro è sempre stato un dipartimento all’avanguardia da questo punto di vista».
Qual è allora la motivazione?
«Il dipartimento di filosofia ormai da alcuni anni si è trasformato. Una trasformazione a cui ha corrisposto una crisi. Molti colleghi sono andati in pensione e c’è stato un turnover. Sono arrivati colleghi più giovani che hanno fatto progressione di carriera e hanno portato tematiche e metodologie diverse. Cosa che ha portato a una lacerazione interna».
E questo è un male?
«Il punto è che questa trasformazione è avvenuta in modo brusco. Adesso si è affermato un senso comune molto diffuso, ovvero che la ricerca debba essere improntata ai metodi della filosofia analitica. Ci tengo a dire anche che io e altri colleghi ci siamo in molti modi aggiornati e abbiamo valorizzato questo trend legato alla filosofia anglosassone. La cosiddetta filosofia continentale e quella anglosassone, peraltro, dialogano da sempre».
Ma c’è qualcosa che non va lo stesso.
«Si è instaurata una modalità di relazione tra colleghi molto negativa che per me è diventata intollerabile. In dipartimento sono venuti a mancare l’apertura e il pluralismo. Ma manca anche un rispetto di base per le persone».
E quindi avete chiesto il trasferimento.
«Un gesto che definisco di politica culturale. Siamo persone che hanno contribuito molto alla storia del dipartimento. Ma adesso siamo invisibili, inesistenti. Se si obietta, si viene presi in giro e si rimane inascoltati. È diventato un luogo invivibile».
Ma quindi siamo a un punto di non ritorno?
«Io ho sempre perorato la causa di una mediazione. Che però non c’è mai stata. E ormai lasciare è una scelta quasi obbligata, almeno per me».
Che cosa risponde a chi dice che mettete a rischio l’esistenza stessa del dipartimento?
«Nessuno di noi ha volontà distruttive. Semmai si poteva rispondere alla nostra provocazione con un’assunzione più radicale del problema. Siamo pochi, siamo divisi, vediamo se si possono cambiare le cose. Ma questa risposta non c’è stata. E per noi il dado è tratto».
(luca de vito)

20/12
NON SPARATE SULL’UMANISTA
Armando Besio
Due libri aiutano a comprendere lo scontro (anche) ideologico tra “umanisti” e “scienziati” in corso al Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi. Li hanno scritti due dei più autorevoli tra gli esponenti delle “fazioni” in lotta. “Non sparate sull’umanista” è il titolo dell’ultimo saggio del prof Elio Franzini (Milano 1956), ordinario di Estetica (pubblicato da Guerini e Associati, firmato insieme con Antonio Banfi e Paola Garimberti).
Contesta l’applicazione agli studi umanistici dei criteri di valutazione della ricerca applicati alle “scienze dure”. Sul fronte opposto, una lettura interessante è quella del bestseller del prof Corrado Sinigaglia (Milano 1966), ordinario di Filosofia della Scienza: “So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio” (edito da Raffaello Cortina), Scritto a quattro mani con il famoso neuroscienziato Giacomo Rizzolati, ha venduto oltre 30 mila copie (in 10 edizioni) ed è stato tradotto in tutte le principali lingue, tra cui giapponese, russo e persiano.

6 dicembre 2015

Insegnare meglio la filosofia. Proposta di rinnovamento dei contenuti del corso di filosofia nei licei












1. Questo testo è indirizzato al Dr. Alessandro Gullo, Dirigente dell’Istituto di Istruzione Superiore “Salvador Allende” di Milano, – scuola nella quale insegno Filosofia e Storia dall’a.s. 2009-2010 –, nell’ambito della raccolta, promossa dalla dirigenza di questo istituto, di proposte innovative che accolgano le possibilità aperte dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione), ma si rivolge contemporaneamente a tutti i docenti di Filosofia nella scuola superiore e a tutti coloro che sono coinvolti nel processo di ripensamento dei programmi dell’istruzione superiore, nella convinzione che l’attuale riforma non debba essere interpretata come l’invito ad una “competizione” tra istituti. In altre parole, se ci sono delle idee buone su come insegnare meglio, è bene che tutti i soggetti coinvolti ne siano a conoscenza.

2. Questo testo si propone di tenere conto delle idee sull’insegnamento della filosofia di due filosofi italiani contemporanei, Franca D’Agostini e Roberto Casati, che pur avendo espresso concezioni della filosofia che presentano significative divergenze una rispetto all’altra, finiscono in realtà per convergere su alcuni punti importanti (per notizie su entrambi gli autori e per i riferimenti bibliografici si veda il punto 7 di questo testo). Oltre alla riflessione su quanto propongono questi due autori, la presente proposta tiene inoltre conto, come è naturale, della mia personale esperienza di docente della materia, esperienza iniziata nell’a.s. 1999-2000 (i licei dove ho insegnato, prima di quello attuale, sono il Parini di Milano, il Falcone e Borsellino di Arese, il Vittorini di Milano).

3. L’idea di base che intendo sostenere è che l’insegnamento della filosofia non possa consistere esclusivamente nella trattazione della storia della filosofia, e che occorra introdurre contenuti di altro tipo, che espongo sinteticamente nei punti 5-6, sulla base di alcune considerazioni di ordine metafilosofico che espongo nel punto 4.
    In termini di orario l’idea sarebbe questa: attualmente la storia della filosofia occupa 3 ore settimanali nel triennio del liceo classico e del liceo scientifico. Si potrebbe sottrarre un’ora alla settimana in ciascun anno del triennio e si avrebbe così un monte ore totale di 90 ore circa (30 ore per ciascun anno) da dedicare ad altre cose, sempre inerenti alla filosofia. Naturalmente questo comporterebbe anche una riduzione della quantità di autori trattati nel programma di storia della filosofia. (Meno ore = meno contenuti, secondo una ovvia equazione che invece pare non sia stata tenuta in considerazione da chi, nei nuovi programmi di storia del triennio, ha aumentato la quantità di contenuti da svolgere e contemporaneamente ha diminuito le ore curricoli…)
     Si aprirebbe quindi una discussione, da svolgere in sede di Dipartimento di Filosofia e Storia, su quali siano gli autori veramente importanti e irrinunciabili in ciascun anno del triennio. La mia proposta a questo riguardo, molto sinteticamente, è questa: in terza la filosofia antica e tardo-antica (fino ad Agostino), dando spazio a Platone e Aristotele; in quarta (tagliando il Medioevo tranne Tommaso) la filosofia moderna (ma senza Rinascimento) con due razionalisti, due empiristi e ampio spazio a Kant; in quinta un Ottocento sintetizzato (Hegel, Marx, Nietzsche) e più spazio al Novecento, con una scelta equilibrata di autori/tematiche che renda conto della frattura fra tradizione continentale e tradizione analitica.

4. Per migliorare l’insegnamento della filosofia occorre innanzitutto porsi la domanda metafilosofica: che cos’è la filosofia?
     Una buona risposta da cui partire è la definizione che Franca D’Agostini elabora nel suo testo metafilosofico di maggiore impegno (si veda il punto 7): “la filosofia è una scienza dei fondamenti, dove scienza è attività razionale di soluzione o elaborazione di problemi, e fondamenti sono le credenze di fondo, più o meno comuni, che orientano dubbi e certezze”. I problemi filosofici sono tali perché mettono in questione alcuni concetti particolari (che D’Agostini chiama “superconcetti”) che hanno “speciali proprietà ordinatrici e orientative”: verità, essere (o realtà), bene sono i più importanti, ma ve ne sono anche altri e il loro insieme è aperto: conoscenza, esistenza, bello, giusto, valore, natura, storia, tempo, spazio, azione, energia, vita, pensiero, coscienza… “Le proprietà principali dei superconcetti sono schematicamente tre: l’autoriferibilità” (pensare il pensiero, conoscere la conoscenza, valutare la valutazione…), “la determinazione reciproca o convertibilità dei rapporti di fondazione” (la conoscenza può essere usata per definire la realtà, e la realtà per definire la conoscenza…), “il reciproco negarsi o contrastarsi” (la conoscenza può tendere a dominare sulla realtà, fino ad annullarla: forme di fenomenismo scettico; oppure, dal contrasto storia-verità proviene il relativismo storicista… “Il caso in cui ciascun concetto è fatto agire contro tutti gli altri si definisce nichilismo”). Ogni lavoro filosofico, cioè ogni lavoro sui fondamenti (cioè sui concetti fondamentali) è esposto a rischi di cui occorre tenere conto: “Nella pratica dei superconcetti, in altre parole, basterà tenere conto che i superconcetti si autoriferiscono e che questo può dar luogo a regressi;” (all’infinito) “si determinano reciprocamente, e questo può dare luogo a circoli;” (viziosi) “si contrastano reciprocamente, e dunque la loro definizione (se evita il circolo o il regresso) rischia di essere arbitraria o dogmatica”.
     Abbiamo quindi qui proposta un’immagine della filosofia come scienza, una scienza che lavora su concetti fondamentali cercando di definirli, analizzarli, indagarne i reciproci rapporti, avendo di mira obiettivi di chiarificazione, orientamento, fondazione: “I filosofi, come ritenevano anche gli antichi, sono i più concreti e pratici tra gli uomini: ma ciò avviene perché trattano anche l’astratto come se fosse concreto, e fanno della teoria una prassi. Naturalmente questo avvicina i filosofi ai matematici, e non credo sbagli chi ritiene che la filosofia sia una specie di matematica allargata, ossia: un’impresa teorica che lavora con oggetti puri o parzialmente tali, ma è interessata alle loro origini e alle loro applicazioni impure, cioè ai loro rapporti con la reltà naturale, culturale e storica, con le forme di vita e con i moventi dell’azione”.
     All’opposto (ma l’opposizione è più superficiale che sostanziale) abbiamo una concezione come quella di Roberto Casati, per il quale la filosofia è un’arte, l’arte del negoziare concetti. “Tipicamente in un negoziato concettuale si cerca di imbastire una spiegazione o una narrazione che ci permettano di ricomporre una tensione concettuale.” E quando si creano le tensioni concettuali? “ovunque dei cambiamenti in quello che sappiamo o in quello che facciamo esercitano una pressione sulle idee nelle quali fino ad allora ci eravamo cullati riguardo alle situazioni del mondo che ci circonda. Sono cambiamenti dovuti alle nuove conoscenze che la scienza ci propone; a nuovi assetti della società; a profonde trasformazioni nella nostra vita personale.” In altri termini i filosofi entrano in azione quando siamo costretti a rivedere idee, abitudini, modi di agire consolidati. I filosofi possono inventare nuove opzioni concettuali, o fornire criteri comuni di giudizio che permettano il dialogo tra concezioni del mondo differenti. I filosofi sono “negoziatori concettuali per vocazione o per professione”, ma Casati sostiene anche che c’è molta filosofia in luoghi e situazioni che non sono le aule delle facoltà di Filosofia: “troviamo negoziati concettuali quando abbiamo fusioni aziendali e dobbiamo far dialogare diverse culture di impresa, quando decidiamo quali statistiche sono pertinenti per valutare il senso di insicurezza, quando ci poniamo domande sulla natura corpuscolare o ondulatoria della luce, quando ci prefiggiamo degli obiettivi educativi, quando aiutiamo i nostri figli a crescere, quando accettiamo di star invecchiando”.
     Apparentemente abbiamo quindi appena richiamato due concezioni molto diverse della filosofia: scienza dei fondamenti, arte del negoziato concettuale. Ma innanzitutto notiamo che entrambe le concezioni riconoscono che la materia con cui la filosofia lavora sono i concetti, e se andiamo poi a vedere come i due filosofi che abbiamo scelto descrivono la pratica filosofica, ci accorgiamo che in realtà convergono sul riconoscere la filosofia come un’attività che mette in gioco una serie di strumenti e tecniche del pensiero, del ragionamento, dell’immaginazione, ed è proprio sull’insegnamento di questi strumenti e di queste tecniche che si basa la presente proposta. Sarebbe troppo lungo ricostruire qui i percorsi convergenti di questi due filosofi (qualche cenno lo si può trovare nel punto 7), mentre è più importante qui mostrare in concreto quali contenuti possono realmente formare gli studenti alla filosofia come pratica discussiva, critica, e capace di creare ponti e mediazioni in difficili situazioni di transizione o di conflittualità.

5. I contenuti nuovi delle ore di filosofia (quelle 90 ore che risulterebbero dalla riduzione della storia della filosofia) dovrebbero quindi riguardare proprio l’apprendimento di alcune capacità fondamentali che appartengono alla tradizione filosofica ma che dovrebbero appartenere a tutti i cittadini in una società democratica: la capacità di ragionare in modo corretto, per poter dialogare razionalmente con gli altri ed essere in grado di riconoscere chi dice la verità e chi mente; la capacità di analizzare le motivazioni del proprio agire e dell’agire altrui; la capacità di esplorare il campo delle possibilità alternative di fronte a una situazione problematica o confusa; la capacità di confrontare punti di vista diversi sul mondo e modi diversi di agire.
     1) Una parte importante di queste ore dovrebbe essere dedicata allo studio  e alla pratica della logica (logica enunciativa e logica predicativa, sulla base della deduzione naturale), in stretta connessione con la teoria dell’argomentazione e con l’analisi delle fallacie (argomenti che sembrano corretti ma non lo sono realmente). Andrebbero anche mostrate almeno le impostazioni di base di alcune logiche non classiche, in particolare la logiche modali (che studiano i ragionamenti che coinvolgono il possibile e il necessario, e avviano quindi al pensiero “parametrico”, divergente), le logiche paraconsistenti (che violano il principio di non contraddizione, da studiarsi insieme all’analisi dei paradossi), la logica fuzzy (che studia ragionamenti in cui è coinvolta la vaghezza concettuale). 
     Prima di proseguire rispondo a una prevedibile obiezione: perché la logica e non invece, poniamo, l’etica, l’estetica o l’ontologia? Il motivo principale è la connessione tra competenze logico-argomentative e cittadinanza democratica. Ma in secondo luogo anche il fatto che ragionare in modo corretto serve a costruire e valutare discorsi in tutti i campi specifici della filosofia sopra ricordati, quindi è una capacità preliminare, basilare, trasversale ai “settori” della filosofia (la stessa ragione per cui Andronico di Rodi ha classificato le opere aristoteliche di logica come Organon, strumento…).
     2) Vi sono poi alcune teorie (che chiamiamo per sintetizzarle “teorie integrative”), che andrebbero proposte sempre in modo esperienziale, pratico, importanti per educare alla cooperazione e alla comprensione della diversità: la teoria delle decisioni, la teoria dei giochi, l’ermeneutica, le teorie sulla gestione dei conflitti e sull’arte di ascoltare (ascolto attivo, autoconsapevolezza emozionale)
     3) Andrebbero insegnate anche tecniche tipiche del lavoro filosofico (attraverso l’analisi di testi o la discussione guidata su casi o problemi specifici) quali l’analisi concettuale (correlata alla ricerca di definizioni e distinzioni), la ricerca di esempi e controesempi, la costruzione di esperimenti mentali, il ricorso all’analogia (tra argomentazioni e tra problemi), l’esplicitazione dell’implicito e del presupposto, la sperimentazione dello straniamento (guardare le cose come se fossero altro). Una particolare attenzione andrebbe posta, anche nel modo di presentare la storia della filosofia, all’analisi di quali operazioni sui superconcetti ciascun filosofo di fatto ha prodotto con le sue teorie e le sue tesi.

6. Ipotesi di ripartizione dei nuovi contenuti nel triennio:
(nel passare da una classe alla successiva le abilità legate ai contenuti dell’anno precedente andrebbero continuamente coltivate ed esercitate)

classi terze:
riconoscimento di premesse e conclusioni in un testo argomentativo
traduzione dal linguaggio naturale al linguaggio logico
logica enunciativa
ricerca di esempi e controesempi
ricorso all’analogia

classi quarte:
logica predicativa
analisi delle fallacie
analisi concettuale
esplicitazione dell’implicito e del presupposto
costruzione di esperimenti mentali

classi quinte:
esplorazione di base di alcune logiche non classiche
teorie integrative (teoria delle decisioni, teoria dei giochi, ermeneutica…)
sperimentazione dello straniamento
teoria delle operazioni superconcettuali

7. Franca D’Agostini insegna Filosofia della scienza al Politecnico di Torino e Logica ed Epistemologia delle scienze sociali all’Università Statale di Milano. La sua riflessione metafilosofica inizia con Analitici e continentali (1997), forse il suo testo più famoso, tradotto in varie lingue, e prosegue con Breve storia della filosofia nel Novecento (1999) per approdare poi al suo testo metafilosofico maggiore: Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza. Dieci lezioni sulla filosofia contemporanea (Carocci, 2005), da cui sono tratte le citazioni di questo testo. L’idea che la logica vada insegnata come disciplina di base nelle scuole è sua; ne parla da molti anni e ha scritto diversi testi che possono servire come manuali a questo scopo: Le ali del pensiero (2003, ripubblicato quest’anno da Carocci), Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico (Bollati Boringhieri 2010), un testo che ha avuto molto seguito e continua ad essere ristampato,  I mondi comunque possibili. Logica per la filosofia e il ragionamento comune (Bollati Boringhieri 2012), Logica in pratica (Carocci 2013). Dietro a questa idea c’è l’idea che la democrazia sia “filosofia al potere”, non nel senso di Platone, ma nel senso che la vita democratica si basa su buoni ragionamenti, orientati al vero e al bene, e si nutre di confronto di opinioni e di discussione critica.
     Preziose riflessioni sull’insegnamento della filosofia sono contenute nella sezione 3.6 di Nel chiuso (cit.), a partire da questa impostazione: “In linea di principio, in qualsiasi materia, dovrebbero esserci tre tipi diversi di lavoro da svolgere e tre obiettivi didattici: 1. formazione di abilità; 2. trasmissione di informazioni di tipo storico; 3. trasmissione di informazioni di tipo teorico o sistematico”. Ma tutto il volume si può leggere in questa chiave, dal momento che dopo i primi quattro capitoli, dedicati a questioni metafilosofiche, il capitolo 5 (“Metodi e tecniche filosofiche”) introduce a una seconda parte del libro dedicata ad illustrare i contributi che alla definizione di questi metodi hanno dato la logica (capitolo 6), la fenomenologia (cap. 7), l’ermenenutica (cap. 8: qui D’Agostini sintetizza in dieci regole il “metodo ermeneutico”, nella sezione 8.3.4., ed è a questa presentazione che penso quando inserisco l’ermeneutica fra le “teorie integrative”) e la filosofia analitica (cap. 9).
     Roberto Casati è direttore di ricerca del CNRS all’Institut Nicod a Parigi. Le citazioni in questo testo sono tratte dal suo libro Prima lezione di filosofia, Editori Laterza 2011. Si tratta di un testo metafilosofico molto stimolante e tutto costruito con  esempi, ma contiene un’idea precisa di filosofia che l’autore esplicita in vari punti del testo. Il fatto che la filosofia sia diffusa (molto presente in discipline e pratiche non filosofiche) e che sia un’arte rendono secondo Casati normale il fatto che non abbia un canone: neanche la storia della filosofia si può considerare un canone (pur essendo l’unica cosa che assomigli a una “base fattuale” della disciplina), perché impararla non è necessario né sufficiente per essere dei buoni filosofi. Pur esprimendo su certi punti una posizione che definirei “estremizzante”, ritengo che la sua immagine della filosofia sia in buona parte valida e rispondente al vero, e sottolineo infine che al di là della tesi che Casati mette al centro del libro (la filosofia come arte diffusa), sostiene poi anche, al margine, un’immagine della filosofia come “metateoria delle metateorie”: ogni questione filosofica sarebbe una questione metodologica, metadisciplinare. In questo vedo una certa convergenza con il pensiero metafilosofico di D’Agostini.
     Personalmente ritengo che la filosofia si collochi a metà strada tra l’essere una scienza e l’essere un’arte, e penso che il punto su cui le posizioni di D’Agostini e Casati divergono maggiormente riguardi il giudizio su quali siano le basi prevalenti del comportamento umano: ragionamenti (eventualmente sbagliati) secondo D’Agostini, impulsi (o giustificazioni parziali) secondo Casati.