VERSO UNA FILOSOFIA DELLA SESSUALITA' Versione scaricabile e stampabile
Piergiorgio Paterlini, scrittore e giornalista, con il suo Manuale di educazione sessuale per gay ed etero, uscito per la prima volta nel 1995 con il titolo Io Tarzan, tu Jane e riedito nel 2003 (Zelig Editore), si rivolge, ed è subito evidente per lo stile colloquiale e scanzonato, ai ragazzi. Nel fare questo, però, avanza delle proposte teoriche tutt’altro che divulgative, anzi diremmo alquanto “impegnative”: sia per l’impegno che richiedono alla mente del lettore, sia nel senso che sono tesi forti, che toccano questioni concettuali, quindi questioni fondamentali. Sostengo che il suo libro pone questioni che andrebbero risolte costruendo una filosofia della sessualità, e che quindi una recensione critica del testo costituisce un buon punto di partenza per chi voglia avventurarsi in tale direzione.
Fra gli obiettivi del libro c’è quello di capire l’omosessualità (e difenderla dall’omofobia) ma nella convinzione che «capire bene l’omosessualità sia anche il modo migliore per parlare correttamente di eterosessualità, e quindi di sessualità in generale», e tenendo sempre ben presente l’intreccio della sessualità con l’amore.
Qui cercheremo innanzitutto di esporne in una ricostruzione sintetica (ben coscienti che questa operazione è già in un certo senso un atto interpretativo) le tesi più importanti e le principali argomentazioni (1−6), e aggiungeremo poi alcune considerazioni critiche e riflessioni suscitate dal testo (7−13).
1. L’impianto concettuale è tutto basato su una distinzione di fondo fra tre livelli di discorso, che sono però anche tre livelli dell’esperienza stessa, della realtà stessa, che vanno tenuti a suo parere ben distinti quando si parla della sessualità: l’oggetto del desiderio (o orientamento sessuale), l’identità di genere, i comportamenti.
Nella sua definizione iniziale di oggetto del desiderio − «chi mi piace, chi desidero, chi amo, di chi mi innamoro» − sembra considerare (ma l’impressione viene confermata poi dallo sviluppo del discorso) più importante l’aspetto amoroso rispetto a quello puramente sessuale: la forma piena del desiderio è quindi, in questa prospettiva, un’esperienza che coinvolge tutta la sfera affettiva.
La tesi di fondo, riguardo l’omosessualità, è che differisca dall’eterosessualità solo nel senso che consiste nella realtà di chi ha come oggetto del desiderio persone del proprio sesso. Non riguarda l’identità di genere, non riguarda le pratiche sessuali né la distinzione fra attivo e passivo.
Va quindi, di pari passo, ridimensionata l’importanza della diversità omosessuale: l’oggetto del desiderio (se sia maschio o femmina) è solo uno fra i mille aspetti della sessualità e dell’amore. Nel corso della storia, dice Paterlini, “a un certo punto” la differenza etero/omo è sembrata l’unica importante, l’unica caratterizzazione rilevante della sessualità, ma questo modo di considerare le cose va cambiato: vi sono molte altre caratteristiche dell’oggetto del desiderio, al di là della sua omogeneità o eterogeneità rispetto al genere del “desiderante”. Per esempio: è più vecchio? Più giovane? Coetaneo? È più magro/muscoloso/grasso? È più bello di corpo o di viso? È più intellettuale o più incolto? Di che colore ha gli occhi e i capelli? E inoltre (passando da come l’oggetto è a come mi rapporto ad esso): me ne innamoro a prima vista o dopo un po’/molto tempo? Eccetera.
Parlando di oggetto del desiderio, Paterlini enuncia a un certo punto una sorta di “legge del desiderio” che per la sua semplicità e per il suo radicarsi nel senso comune potrebbe essere considerata universale, ma sulla cui verità occorrerebbe secondo noi interrogarsi più a fondo: «Si cerca sempre chi ci completi». L’oggetto del desiderio sarebbe quindi sempre complementare al desiderante, ma la complementarietà può individuarsi in molteplici e svariati aspetti oltre a quello della polarità del genere sessuale.
L’intento “politico” che sta dietro a questo suo insistere nel voler ridurre la percezione della diversità omosessuale è la volontà di “smontare” argomentativamente l’atteggiamento omofobico, mostrando innanzitutto come l’omosessuale sia in realtà vicino, simile. Ciò anche al fine di raggiungere una situazione in cui gli eterosessuali prevedano l’esistenza degli omosessuali, che contemplino questa possibilità accanto a tutte le altre che già contemplano nel considerare la varietà dei possibili oggetti del desiderio.
2. L’identità di genere, ovvero il sentirsi uomo o donna, a prescindere dalla propria conformazione anatomica, è, secondo Paterlini, stabile a partire dai tre-quattro anni. I transessuali sono coloro la cui identità di genere non coincide con il loro genere biologico: è un conflitto interiore fra il sentirsi appartenenti, ad esempio, al genere femminile e il ritrovarsi ad avere, invece, un corpo maschile. I transessuali sono, secondo Paterlini, eterosessuali: per esempio se un individuo è biologicamente uomo ma si sente donna, e desidera gli uomini, quello che conta, dal punto di vista dell’oggetto del desiderio, è che si tratta di un desiderio eterosessuale: desidera gli uomini sentendosi donna, e conta più come uno si sente rispetto a quale sia la sua conformazione anatomica.
Esistono anche persone (ma sono rarissime, secondo Paterlini), nelle quali la transessualità si assomma all’omosessualità: es. biologicamente uomo, si sente donna, desidera le donne.
Situazioni più “sfumate”, rispetto alla transessualità, sono quelle del travestitismo e dell’effeminatezza (o della mascolinità nel caso si parli di donne). Si tratta sempre, secondo Paterlini, di questioni di identità di genere, ma presenti in gradazioni e modalità diverse rispetto alla transessualità. Tutte queste realtà, questi modi di essere, appartengono nella maggioranza dei casi, se osservate dall’angolazione dell’oggetto del desiderio, all’eterosessualità.
Parlando di “effeminatezza” viene spontaneo interrogarsi riguardo a cosa sia attribuibile al “maschile” e cosa al “femminile”. Paterlini, a questo proposito, distingue fra due insiemi di caratteristiche: l’insieme comprendente le caratteristiche attribuite ai generi storicamente e culturalmente e l’insieme delle caratteristiche psicobiologiche “originarie”, immutabili. Per esempio, se parliamo di femminilità, caratteristiche storico-culturali sono la dolcezza e il carattere materno (caldo, accuditivo…); caratteristiche psicobiologiche sono (ma qui dobbiamo precisare che Paterlini non fa esempi) la grazia, la seduttività, una maggiore sensibilità e ricettività.
3. I comportamenti sessuali sono appunto ciò che di fatto si pratica a livello sessuale, sia riguardo a quali pratiche specifiche siano preferite sia riguardo al ruolo preferito (attivo o passivo) sia riguardo alla scelta del sesso dei propri partner. I comportamenti, sostiene Paterlini, sono mutevoli.
Occorre anche qui distinguere questo genere di considerazioni da quelle relative all’orientamento sessuale e da quelle relative all’identità di genere: per esempio un uomo che desidera gli uomini può di fatto astenersi dal realizzare questo suo desiderio e avere invece rapporti sessuali e affettivi con donne.
La categoria dei comportamenti serve anche a Paterlini per inquadrare un tema sfuggente quanto profondo e ricco di implicazioni qual è quello della bisessualità. La sua tesi è che la bisessualità, se intesa come orientamento sessuale, non esiste. La bisessualità esiste, ma va intesa solo come comportamento. Per esempio: un sedicente bisessuale può essere in realtà un omosessuale che rinuncia a formare coppia stabile con un uomo e per “salvare le apparenze” si sposa e continua però ad avere rapporti occasionali con uomini.
Perché non si può intendere la bisessualità come orientamento? Perché non si può pensare che per un individuo sia “indifferente” se innamorarsi di un uomo o di una donna: se guardiamo alla capacità di innamorarsi e di amare (e ricordiamo che è proprio questo che contraddistingue l’oggetto del desiderio per Paterlini), deve esserci una differenza: se mi innamoro delle donne non posso innamorarmi anche degli uomini.
Altri casi in cui viene usato impropriamente il termine “bisessualità” possono essere quello di chi si innamora alternativamente di un uomo o di una donna (e qui si tratta di un’oscillazione della propria identità di genere), o quello di chi vive un’oscillazione dell’oggetto del desiderio e si libera dall’incertezza (“sono etero o gay?”) affermando di essere bisessuale.
4. Il rigore di Paterlini sul voler distinguere nettamente il piano dell’orientamento sessuale da quello dell’identità di genere e da quello dei comportamenti risponde almeno a due obiettivi che l’autore persegue.
Uno è quello di “complicare” l’apparato concettuale in modo da renderlo adeguato a cogliere e rispecchiare la complessità della sfera sessuale, complessità che sta emergendo, alle soglie del XXI secolo, in tutta la sua ricchezza e varietà. Anche nella sessualità vissuta e “dichiarata”, come già avvenuto per esempio nella sfera della creatività artistica, si è verificata, e continua ad operare, un’esigenza che è stata propria della cultura novecentesca in generale: quella di superare i limiti della tradizione e di sperimentare tutte le possibilità che gli elementi in gioco offrono. Di fronte a fenomeni nuovi (pensiamo a tutte le possibili combinazioni sommatorie fra le tre variabili orientamento/identità/comportamenti ma anche agli sviluppi e alla diffusione delle cosiddette “perversioni” o alla crescente libertà nello sperimentare forme di sessualità promiscua) occorre moltiplicare i livelli di discorso e chiarire i diversi “assi” su cui si struttura lo “spazio” delle possibilità sessuali.
L’altro obiettivo è quello di costruire un apparato argomentativo in grado di “smontare” l’omofobia minandone gli stessi presupposti: l’uomo etero omofobo odia in realtà la passività perché la associa con la sottomissione. Ritiene che chi si fa penetrare sia un vinto, un essere inferiore (quindi considera inferiori anche le donne!). Associa la virilità con la capacità di penetrare e la femminilità con l’essere penetrati; da questo punto di vista gli omosessuali sono uomini che tradiscono la propria virilità e “si abbassano” al ruolo di femmine. A costui occorre rispondere che ha sbagliato proprio tutto, perché, una volta stabilita la distinzione inziale fra i tre livelli di discorso, ne deriva che i gay non sono effeminati e che spesso preferiscono il ruolo attivo.
5. Un altro modo di “smontare” l’omofobia è quello di demolirne gli argomenti, in primo luogo quello secondo cui l’omosessualità sia “contronatura”. Paterlini presenta con vivacità una serie di contro-argomentazioni, che possiamo sintetizzare in alcuni punti:
a) si scambia il concetto di “natura” con quello di “maggioranza”. È la natura stessa che è fatta di maggioranze e di minoranze.
b) se “contronatura” significa andare contro un destino voluto dal Creatore, allora anche volare in aereo è contronatura, e in generale tutte le invenzioni della tecnica (comprese quelle della medicina…)
c) se “contronatura” allude alla funzione procreativa della sessualità, occorre rispondere che anche i gay possono procreare, e non sempre lo possono gli etero. Inoltre abbiamo ormai capito che l’amore, il sesso, il piacere, sono esperienze che vanno molto al di là di ciò che occorre per procreare, e questa constatazione obbliga a porre, accanto alla domanda “come si diventa omosessuali?”, la domanda “come si diventa eterosessuali?”. Domande a cui, peraltro, finora nessuno è in grado di rispondere con certezza.
6. Dopo aver toccato i temi della masturbazione, della pornografia, della prostituzione e del sesso virtuale (accomunati dalla funzione sostitutiva in presenza di un bisogno sessuale-affettivo insoddisfatto) Paterlini affronta il tema dell’amore in quanto tale. Qui vi è una sua esplicita dichiarazione sui limiti che il pensiero razionale incontra nel descrivere (e quindi anche nello spiegare e nel consigliare) i fenomeni dell’amore: «Non si può “insegnare” l’amore… l’amore e il sesso sono l’indicibile per eccellenza». In questa frase, in verità, si parla anche del sesso, ma di fatto Paterlini, sul sesso, fa abbondante uso della razionalità. Sull’amore invece rimanda essenzialmente all’arte. Se vogliamo aumentare la nostra conoscenza e la nostra saggezza sui fatti dell’amore, Paterilni ci esorta a rivolgerci alla letteratura, e indica anche una serie di autori e di testi.
Nonostante si tratti quindi di un discorso “di frontiera”, al limite del dicibile, Paterlini solleva alcune questioni interessanti e avanza alcune idee.
Che cos’è, veramente, la fedeltà? È la monogamia? È l’avere un partner solo alla volta? Anche qui Paterlini applica la distinzione fra comportamenti e “interiorità”: quello che conta è la fedeltà rispetto all’amore che abbiamo dentro, non il nostro comportamento materiale. In altri termini: se “tradisco” il partner di cui sono innamorato ma la cosa non incide minimamente, per me, sul sentimento che provo per lui, non possiamo parlare di infedeltà. È invece realmente infedele chi si innamora ma poi non è in grado di “tenere” la continuità del sentimento, e, per esempio, cambia continuamente partner (pur stando sempre, rigorosamente, con uno per volta…). Aggiunge anche, ma ammette di stare solo sfiorando una grande e complessa tematica, che a suo parere è possibile amare due persone contemporaneamente (ciò dovrebbe, chiediamo noi, rassicurare o preoccupare i gelosi?…).
Altro tema solo sfiorato, ma molto interessante, è sul ruolo delle fantasie o delle cosiddette “perversioni” (usiamo questo termine in senso freudiano; parlando di questo argomento l’autore non lo usa: il termine compare raramente, nel libro, e con un significato non chiaro. Sembrerebbe usarlo con riferimento solo all’ambito della patologia). La ricchezza della sessualità adulta sta proprio, sostiene Paterlini, nelle contaminazioni con fantasie e fantasmi della sessualità infantile. Purché ciò avvenga consapevolmente, sia un gioco padroneggiato, e non si tratti, invece, di «regressione e malattia».
Vi è infine una tesi su cui l’autore insiste e che collega al tema dell’orientamento sessuale: la vera, grande differenza è tra il fare sesso con/per amore e il farlo senza amore bensì per «amicizia, desiderio, complicità, affetto, gioco, curiosità, sfogo». Il collegamento col discorso sull’orientamento è questo: l’orientamento è vincolante solo sul piano del sesso legato alla passione amorosa, non sul piano del sesso fatto per tutti gli altri motivi sopra elencati. In altri termini: un omosessuale può innamorarsi esclusivamente di una persona dello stesso sesso, mentre può avere rapporti sessuali, senza esserne innamorato, anche con persone di sesso opposto (purchè sia sufficientemente “sciolto”, ovvero «senza troppi blocchi psicologici»). La stessa cosa vale, specularmente, per un eterosessuale. Insomma, l’etichetta etero/omo può essere legittimamente apposta solo andando a vedere, al di là della superficie dei rapporti sessuali “di fatto”, nel profondo del sentimento. Solo l’innamoramento, la passione amorosa, l’Amore, indicano in maniera definitiva l’orientamento.
7. Quando a pagina 19 (citeremo sempre le pagine dell’ultima edizione) definisce i tre concetti base del suo discorso, Paterlini dice che l’identità è stabile mentre i comportamenti sono mutevoli. Sembrerebbe non aver affrontato la questione se l’orientamento sia stabile o mutevole.
Poi però, mentre sta parlando di bisessualità, dice «l’identità come l’orientamento si affermano già nella prima infanzia e non si possono più modificare, fanno parte dello “zoccolo duro” della nostra personalità» (p. 75).
Rispetto all’idea che l’orientamento sia stabile, domando: è quindi impossibile cambiare orientamento a un certo punto nella vita?
Un amico mi racconta che lui ha condotto una vita eterosessuale (con moglie e un figlio), senza dubbi circa il proprio orientamento e con una sessualità vissuta come soddisfacente, e che intorno ai trent’anni, passando un periodo di “transizione” di circa tre anni (un periodo che egli stesso definisce di “crisi esistenziale” e che lo ha portato anche ad iniziare una terapia psicoanalitica), ha “cambiato” orientamento: seguendo un’impulso inizialmente indefinito, ha cominciato ad avere incontri occasionali e in seguito ha avuto storie d’amore con uomini. Oggi si definisce senza dubbi gay. Come considerare un racconto del genere se pensiamo che l’orientamento sia stabile? L’ipotesi potrebbe essere che in tutta la prima fase della sua vita questa persona abbia avuto una totale inconsapevolezza dei suoi “reali desideri”, e si sia comportato seguendo la “norma sociale”. A un certo punto però la verità è emersa dal profondo dell’inconscio e ha dovuto prenderne atto, farci i conti e infine accettarla. Ma è possibile concepire la presenza di un oggetto del desiderio così completamente inconscio? E ancora: a quali desideri corrispondevano i suoi comportamenti sessuali e amorosi fino ai trent’anni? E’ possibile concepire una serie di comportamenti coerenti e continuati per tutta la prima parte di una vita senza che questi comportamenti corrispondano a un desiderio? Notiamo che questo caso è ben diverso da quello di chi, pur cosciente di avere un orientamento omosessuale, decide di rinunciarvi per non subire discriminazioni eccetera. Un’altra ipotesi è che questa persona costituisca un’eccezione, un caso rarissimo che non incide sulla tesi in discussione. Però dal punto di vista del metodo scientifico, un’eccezione non può confermare una regola: un’eccezione (anche una sola) è sufficiente a modificare il nostro modo di considerare quella regola. Non possiamo più parlare, se accettiamo la verità di quell’eccezione, di quella regola come di una regola universale, cioè valida sempre e comunque.
Sempre rispetto a questo argomento, è da rilevare che Paterlini, pur sostenendo in generale la tesi che l’orientamento sia stabile, a un certo punto ammette che possano esistere persone con un orientamento “ballerino” (cfr. p. 76-77), e che queste sentano confusione e legittimamente si interroghino sul proprio orientamento e possano addirittura «scegliere» fra omosessualità e eterosessualità.
8. Nel definire l’oggetto del desiderio (p. 19), come dicevamo sopra (1.), Paterlini tende a non distinguere fra “attrazione fisica” e “innamoramento/amore”. Ma è stata credo esperienza di tutti noi il provare attrazione sessuale per una persona senza esserne innamorati o amarla (perlomeno è un tratto comune del maschile: spesso le donne, sia etero che lesbiche, rivendicano la loro diversità su questo punto e dichiarano di non poter scindere, nella loro esperienza, la sessualità dall’amore…). Ciò non dovrebbe portare a distinguere fra “tipi” o “gradi” di desiderio? Del resto Paterlini stesso, come abbiamo già detto (6.) distingue più avanti (p. 123-124) fra due fondamentali modalità del comportamento sessuale: la presenza o l’assenza della passione amorosa, e anzi usa questa distinzione per chiarire meglio la sua idea dell’orientamento sessuale. L’elenco usato da Paterlini per illustrare il “sesso senza amore” ci lascia per certi versi perplessi: si tratterebbe di un sesso fatto «per amicizia, desiderio, complicità, affetto, gioco, curiosità, sfogo» Per amicizia? Ma l’amicizia non si definisce proprio, fra le altre cose, per l’assenza della sessualità? Per desiderio? Non stiamo proprio cercando di distinguere esperienze all’interno del concetto generale di desiderio? Qui probabilmente Paterlini pensa all’attrazione “fisica”, alla “voglia” puramente sessuale. Affetto? Ecco: non potremmo definire l’affetto come una forma attenuata di amore?
La nostra proposta è: si potrebbe concepire un continuum dove al grado zero mettiamo la “pura attrazione sessuale” e al grado più alto mettiamo l’attrazione amorosa in senso pieno (comprendente anche, ovviamente, l’aspetto erotico), con una serie di gradi intermedi (per esempio il sesso fatto “per affetto”, come dice Paterlini). Un modo per capire se questa idea ha una certa fondatezza è porsi la domanda: ha senso dire «Sono un po’ innamorato.»? Se chiediamo a una persona di spiegarci quali sentimenti provi nei confronti di un’altra e ci venisse risposto “ne sono un po’ innamorato” ci riterremmo soddisfatti? Forse potremmo pensare che si sta innamorando, oppure potremmo pensare che ha le idee confuse. Alcuni potrebbero concludere che in realtà non è innamorato, dato che non è sicuro e usa questa espressione intermedia.
A complicare una eventuale ricerca sulla “tipologia del desiderio” andrebbe anche considerato che può esistere amore senza sesso… Pensiamo ad esempio alle coppie dove non c’è più sesso ma che continuano a stare insieme per anni. Come chiamiamo il sentimento che esiste in questi casi? Oppure pensiamo alle coppie che rimandano la sessualità a dopo il matrimonio… Un altro caso può essere quello di un gay che si “innamora” di una donna, pur senza provare nei suoi confronti attrazione fisica: certo non si tratterà di Amore, ma di qualcosa di simile sì, una sorta di “innamoramento di testa”, fatto di stima, ammirazione, grande confidenza, forte simpatia.
Rispetto all’idea di Paterlini sulla “legge” della complementarietà del desiderio (cfr. 1.) si potrebbe provare a rovesciare tale legge e ipotizzare: si cerca sempre chi ci somiglia, almeno in certi aspetti… se osserviamo i componenti di una coppia, etero o omo, spesso notiamo che hanno molte cose in comune (è molto difficile, per esempio, che si mettano insieme persone che hanno orientamenti politici opposti). Oppure si potrebbe ipotizzare che vi siano relazioni basate principalmente sulla complementarietà e relazioni basate principalmente sulla somiglianza.
9. A proposito della stabilità dell’identità va rilevato che Paterlini, dopo averla affermata come presupposto teorico e come verità empirica (p. 19 e p. 47) parlando del travestitismo dice che si tratta di «persone che non si sentono stabilmente appartenenti al sesso opposto» (p. 56), cioè persone con un’identità di genere confusa o altalenante. Aggiunge però che ne sappiamo ancora troppo poco, e che potrebbe anche trattarsi non di una questione di identità ma di un “comportamento”. Resta il fatto che classifica i travestiti come appartenenti all’area dell’eterosessualità perché «come partner, cercano una donna» (p. 57). Qui c’è qualcosa che non torna. Prendiamo, per semplificare, solo il caso di persone che sono biologicamente uomini. Se transessuali o se effeminati, Paterlini li classifica come etero perché cercano uomini partendo da un sentirsi (più o meno intenso) donne. Se travestiti, li classifica etero perché cercano donne partendo dal loro sentirsi uomini. Ma allora come consideriamo il loro desiderio quando si travestono e assumono la loro identità femminile? Se continuano a cercare donne dovremmo parlare di omosessualità! Insomma, da un lato Paterlini usa il travestitismo come una sorta di anello di congiunzione fra transessualità ed effeminatezza, dall’altro classifica il travestitismo come appartenete all’eterosessualità non per il desiderio provato quando si travestono, ma per il desiderio provato quando sono in abiti maschili.
10. Se transessuali, travestiti ed effeminati non appartengono al mondo gay-lesbico ma costituiscono delle varianti nell’ambito dell’eterosessualità, perché, di fatto, nella società, hanno scelto di porsi a fianco o all’interno del mondo omosessuale e di “lottare” politicamente insieme agli omosessuali? Paterlini sembrerebbe ritenere più efficace, dal punto di vista della lotta contro l’omofobia, una separazione. Esagerando un po’ le cose, potremmo dire che Paterlini, rivendicando la netta distinzione fra questioni di orientamento e questioni di identità, lavora nella direzione della costruzione di un’immagine “pulita”, “purificata”, degli omosessuali (i “veri” gay non sono gli effeminati…) che ritiene (oltre che più vera dal punto di vista scientifico) più forte nella battaglia contro l’omofobia.
11. Il capitolo sull’effeminatezza è corto ma molto intricato, quasi labirintico. All’inizio (p. 58) afferma che l’effeminatezza è un fenomeno che rimane nel campo dell’eterosessualità, da cui deriva la tesi, paradossale ma intrigante, che la “checca” non è un omosessuale. Poi, per avanzare una «dimostrazione empirica» di questa tesi, afferma che «ci sono gay effeminati e gay non effeminati; ci sono eterosessuali effeminati ed eterosessuali non effeminati» quindi l’elemento dell’effeminatezza non può essere usato per distinguere omo da etero. Ma come può parlare di dimostrazione empirica se ciò che deve dimostrare è che non esistono in realtà gay effeminati? Si potrebbe allora interpretare questa dimostrazione come basata sul fatto che il termine “effeminato” viene usato per indicare sia uomini ritenuti gay sia uomini ritenuti etero. Ma anche in questo caso il nesso fra dimostrazione e tesi da dimostrare non ci sembra corretto. Infatti la tesi di Paterlini si potrebbe anche riformulare dicendo che secondo lui è sbagliato applicare il termine “effeminato” a una persona gay. Come può allora richiamare l’uso corrente del termine “effeminato” per sostenere una tesi che vuole andare contro l’uso corrente?
Inoltre, per coerenza, Paterlini dovrebbe anche rifiutare l’applicazione del termine “effeminato” a un uomo etero: infatti un uomo effeminato che andasse cercando le donne dovrebbe in realtà considerarsi un omosessuale! In definitiva, per coerenza Paterlini dovrebbe rifutare completamente l’uso del termine “effeminato” dal momento che qualsiasi applicazione di tale termine risulterebbe scorretta…
Forse proprio considerando questi esiti paradossali, Paterlini poco più avanti riformula la sua tesi in maniera meno drastica: «quando la “dose” di femminilità in un uomo raggiunge il livello della vera effeminatezza, allora forse sì, in questo caso specifico possiamo azzardare che un etero effeminato quando cerca una donna, cerchi sì un rapporto eterosessuale, ma con una “contaminazione” omosessuale; esattamente come un omosessuale effeminato quando cerca un rapporto omosessuale vive contemporaneamente una “contaminazione” eterosessuale».
Certo che riformulata così la sua tesi di partenza perde la sua paradossalità e anche le sue conseguenze “dirompenti” sul piano politico. La conclusione del capitolo sull’effeminatezza è però ancora una volta sorprendente: «Per questo gli effeminati − etero o omo che siano − si possono considerare gli unici veri bisessuali esistenti sulla terra. Forse.». La sorpresa consiste nel fatto che, come già sappiamo, per Paterlini la “vera” bisessualità non esiste!
12. Anche la distinzione fra comportamenti e orientamento sessuale porta, se intesa in senso netto e drastico, a conseguenze secondo noi discutibili.
E’ sicuramente vero che non possiamo dedurre l’orientamento sessuale di qualcuno guardando solo ai suoi comportamenti. I numerosi casi di omosessuali che per “adeguarsi” alla “normalità” rinunciano a realizzare i loro desideri e conducono una vita etero ci insegnano che è possibile reprimersi, che è possibile avere un desiderio anche se non lo si realizza mai o se lo si realizza molto raramente.
Ma questo argomento non regge nel caso di un eterosessuale che ha, più o meno occasionalmente, comportamenti omosessuali: nessuna norma morale o religiosa lo spinge a compierli: perché lo fa? Un’ipotesi potrebbe essere quella dell’esistenza di manifestazioni del desiderio nelle quali il desiderio non ha di per sé oggetto, e si concretizza poi in certe determinate situazioni anche andando ad indirizzarsi su oggetti che “normalmente” non lo orientano. Oppure possiamo pensare a situazioni “forzate”, per esempio le prigioni, nelle quali l’impossibilità di realizzare il desiderio etero può portare a un cambio di rotta del desiderio stesso.
Paterlini, a proposito degli eterosessuali che hanno rapporti occasionali di tipo omosessuale, porta l’esempio di Rocco, il protagonista di Porci con le ali, un eterosessuale che a un certo punto della storia fa l’amore con il suo amico Marcello «per puro piacere, per affetto, curiosità». Come sappiamo, il criterio che consente di distinguere, secondo Paterlini, è la presenza o l’assenza dell’amore. Rocco non è innamorato di Marcello, quindi è e rimane eterosessuale nonostante le avventure con Marcello. Rocco fa del sesso con Marcello per “piacere”, “affetto”, “curiosità”… Ma tutto ciò non si può riassumere nel concetto di “desiderio”? Non possiamo dire che Rocco fa l’amore con Marcello perché in quel momento lo desidera, ne ha voglia? E l’orientamento non consiste nella scelta dell’oggetto del desiderio?
Si dirà: ma Rocco ha la maggior parte delle sue storie con ragazze, quindi è eterosessuale! Sì, ma la situazione di Rocco non si potrebbe descrivere più precisamente usando la scala di Kinsey, o magari una sua versione riveduta e corretta? Kinsey propose nel 1948 una scala a sette gradini che serviva a descrivere le persone rispetto al loro orientamento sessuale:
0 − Eterosessuale esclusivo, mai omosessuale
1 − Eterosessuale prevalente, solo occasionalmente omosessuale
2 − Eterosessuale prevalente, più che occasionalmente omosessuale
3 − Egualmente eterosessuale e omosessuale
4 − Omosessuale prevalente, più che occasionalmente eterosessuale
5 − Omosessuale prevalente, solo occasionalmente eterosessuale.
6 − Omosessuale esclusivo, mai eterosessuale.
Rocco si potrebbe collocare al gradino 1. L’idea interessante, al di là del numero di gradini, è quella di concepire l’orientamento sessuale non in modo dicotomico ma come polarizzazione di un continuum. Probabilmente Paterlini considera questa scala come una scala che misura i comportamenti e non l’orientamento. Ma la nostra obiezione è la seguente: un comportamento sessuale che non sia in alcun modo indotto (né dalla violenza fisica né dalla forza coercitiva delle norme morali-sociali) deve corrispondere a un desiderio. In altri termini: non consideriamo scindibili in maniera netta, così come propone Paterlini, i comportamenti e l’orientamento. Alla continuità fra sesso e amore (come abbiamo proposto sopra − cfr. 8.) potrebbe corrispondere una continuità fra eterosessualità e omosessualità. Si potrebbe inoltre considerare come rarissima o prossima allo zero la situazione 3 nella scala di Kinsey, la famosa bisessualità. Ma si potrebbe anche usare il termine “bisessualità” per comprendere tutte le situazioni dalla 1 alla 5 nella medesima scala. Considerando le cose in questo modo, sarebbero probabilmente più numerosi i bisessuali rispetto agli etero esclusivi e agli omo esclusivi. (Del resto lo stesso Paterlini, parlando delle radici dell’omofobia, non esclude che i maschi etero abbiano tutti delle potenzialità omosessuali: «gli etero sono terrorizzati, peggio ossessionati dalla fantasia di essere penetrati. E nello stesso tempo […] sembra siano confusamente ma irresistibilmente attratti, e ossessionati, dalla voglia non solo di penetrare le donne, ma un altro maschio.». I corsivi sono dell’autore).
Per tornare sulla questione della bisessualità: può un comportamento bisessuale costante (che Paterlini ammette) non corrispondere a un desiderio bisessuale? Ancora una volta il criterio fondamentale è per Paterlini la presenza dell’amore. Scrive: «È possibile […] andare a letto con chiunque, stabilire una buona intesa affettiva, costruire un bellissimo “matrimonio”, magari. Ma un vero innamoramento, un totale appagamento scordateveli.». Chiediamo: cosa dobbiamo intendere con “appagamento” se non la soddisfazione sessuale-affettiva? Proviamo a ribaltare il discorso di Paterlini e diciamo: il vero innamoramento può avvenire solo laddove l’intesa sessuale è profonda. La profonda attrazione sessuale può quindi essere usata come criterio alternativo per valutare l’orientamento. Una spia del proprio desiderio sessuale sono le fantasie sessuali (sempre che la persona sia sufficientemente “emancipata” da permettersele con libertà). Ebbene, come Paterlini ritiene impossibile che qualcuno possa innamorarsi indifferentemente di un uomo o di una donna (la situazione 3 nella scala Kinsey), altri potrebbero ritenere impossibile che si possano avere fantasie sessuali indifferentemente etero o omo. La questione se esista o meno un orientamento sessuale perfettamente in equilibrio tra omosessualità ed eterosessualità è forse, in realtà, poco interessante. Anche ammettendone l’impossibilità (o empirica o teorica o di entrambi i tipi), resta il fatto che posso chiamare “bisessuale” chi ha, poniamo, una componente etero al 51% e omo al 49%. Oppure posso decidere che l’unico significato legittimo è quello 50%-50% e dire: i bisessuali non esistono. Ma perché negarsi una categoria in più, per dare un nome a quelle persone, per quanto poche, che effettivamente oscillano fra comportamenti etero e comportamenti omo?
Paterlini però, su questi ultimi, ha una sua tesi: o si tratta unicamente di comportamenti (ma allora riproponiamo la domanda che abbiamo posto all’inizio del paragrafo precedente) oppure, nel caso si innamorino alternativamente di un uomo o di una donna si tratterebbe di persone con una identità altalenante: cercano un uomo quando si sentono donne e cercano una donna quando si sentono uomini. Si tratterebbe, quindi, in ogni di caso di eterosessualità.
13. Concludiamo con qualche osservazione sullo stile filosofico-argomentativo di Paterlini.
In un punto del libro Paterlini sembra “svelare” la sua filosofia: «non è quello che si vede, quello che si fa che conta, ma il come, il perché, il come ci si arriva. […] raramente ciò che si vede corrisponde alla realtà (e al senso) delle cose. Molto spesso, ciò che si svolge sotto i nostri occhi creduloni e ingenui non è ciò che succede realmente». Possiamo quindi definire Paterlini un anti-fenomenologo? Un anti-wittgensteiniano? Un metafisico? Certamente un realista, ma un realista per il quale le intenzioni contano più dei fatti, e forse più correttamente dovremmo dire che per Paterlini contano i sentimenti più dei comportamenti. Un atteggiamento che su alcune questioni rischia, come abbiamo visto, di creare qualche complicazione eccessiva e qualche contraddizione. Ma fino a un certo punto Paterlini ha sicuramente ragione: i desideri possono restare nascosti, possono non essere visibili… Del resto la vita psichica non si vede, direttamente… D’altra parte si potrebbe anche sostenere che tutto ciò che sappiamo della vita psichica degli altri lo dobbiamo inferire dal loro comportamento, dalle espressioni del loro volto, dalle loro dichiarazioni (ufficiali, private, confidenziali ecc.). Non abbiamo accesso diretto ai desideri altrui, quindi non possiamo che passare, per capirli, attraverso ciò che si vede, si sente ecc. Paterlini presuppone una distinzione forte fra apparenza (ciò che si vede) e realtà (il senso, il perché di quello che si vede. A questa distinzione si può obiettare che se volessimo prescindere completamente dall’apparenza perderemmo con essa anche qualsiasi appiglio per cogliere la realtà…
Un altro passo illuminante circa la filosofia e il metodo di Paterlini è il seguente: «Siamo (…) interessati alle contraddizioni interne al discorso che si fa abitualmente, alle incongruenza macroscopiche del famoso “senso comune”» (p. 103). Qui arriviamo a un punto chiave per capire la forza delle argomentazioni di Paterlini. L’interesse maggiore delle sue tesi sta proprio, secondo noi, nell’effetto “spiazzante” che hanno sulle nostre opinioni più consolidate. Spesso il suo libro riesce a scuoterci proprio sui punti che credevamo più scontati e produce un benefico effetto di “confusione” che predispone un avvicinamento alla verità. C’è in questo senso un’abilità propriamente socratica di Paterlini, applicata a un campo dove a nostro avviso c’è proprio bisogno di questo: mettere in discussione le certezze tradizionali e portare le persone, finalmente, ad assumere un atteggiamento di ricerca e di riflessione. Un esempio? Domande come questa (una nostra riformulazione di quella da lui posta a p. 23): sono più simili fra loro due omosessuali che hanno solo l’omosessualità in comune o due persone che hanno solo l’orientamento sessuale come differenza?
Qui cercheremo innanzitutto di esporne in una ricostruzione sintetica (ben coscienti che questa operazione è già in un certo senso un atto interpretativo) le tesi più importanti e le principali argomentazioni (1−6), e aggiungeremo poi alcune considerazioni critiche e riflessioni suscitate dal testo (7−13).
1. L’impianto concettuale è tutto basato su una distinzione di fondo fra tre livelli di discorso, che sono però anche tre livelli dell’esperienza stessa, della realtà stessa, che vanno tenuti a suo parere ben distinti quando si parla della sessualità: l’oggetto del desiderio (o orientamento sessuale), l’identità di genere, i comportamenti.
Nella sua definizione iniziale di oggetto del desiderio − «chi mi piace, chi desidero, chi amo, di chi mi innamoro» − sembra considerare (ma l’impressione viene confermata poi dallo sviluppo del discorso) più importante l’aspetto amoroso rispetto a quello puramente sessuale: la forma piena del desiderio è quindi, in questa prospettiva, un’esperienza che coinvolge tutta la sfera affettiva.
La tesi di fondo, riguardo l’omosessualità, è che differisca dall’eterosessualità solo nel senso che consiste nella realtà di chi ha come oggetto del desiderio persone del proprio sesso. Non riguarda l’identità di genere, non riguarda le pratiche sessuali né la distinzione fra attivo e passivo.
Va quindi, di pari passo, ridimensionata l’importanza della diversità omosessuale: l’oggetto del desiderio (se sia maschio o femmina) è solo uno fra i mille aspetti della sessualità e dell’amore. Nel corso della storia, dice Paterlini, “a un certo punto” la differenza etero/omo è sembrata l’unica importante, l’unica caratterizzazione rilevante della sessualità, ma questo modo di considerare le cose va cambiato: vi sono molte altre caratteristiche dell’oggetto del desiderio, al di là della sua omogeneità o eterogeneità rispetto al genere del “desiderante”. Per esempio: è più vecchio? Più giovane? Coetaneo? È più magro/muscoloso/grasso? È più bello di corpo o di viso? È più intellettuale o più incolto? Di che colore ha gli occhi e i capelli? E inoltre (passando da come l’oggetto è a come mi rapporto ad esso): me ne innamoro a prima vista o dopo un po’/molto tempo? Eccetera.
Parlando di oggetto del desiderio, Paterlini enuncia a un certo punto una sorta di “legge del desiderio” che per la sua semplicità e per il suo radicarsi nel senso comune potrebbe essere considerata universale, ma sulla cui verità occorrerebbe secondo noi interrogarsi più a fondo: «Si cerca sempre chi ci completi». L’oggetto del desiderio sarebbe quindi sempre complementare al desiderante, ma la complementarietà può individuarsi in molteplici e svariati aspetti oltre a quello della polarità del genere sessuale.
L’intento “politico” che sta dietro a questo suo insistere nel voler ridurre la percezione della diversità omosessuale è la volontà di “smontare” argomentativamente l’atteggiamento omofobico, mostrando innanzitutto come l’omosessuale sia in realtà vicino, simile. Ciò anche al fine di raggiungere una situazione in cui gli eterosessuali prevedano l’esistenza degli omosessuali, che contemplino questa possibilità accanto a tutte le altre che già contemplano nel considerare la varietà dei possibili oggetti del desiderio.
2. L’identità di genere, ovvero il sentirsi uomo o donna, a prescindere dalla propria conformazione anatomica, è, secondo Paterlini, stabile a partire dai tre-quattro anni. I transessuali sono coloro la cui identità di genere non coincide con il loro genere biologico: è un conflitto interiore fra il sentirsi appartenenti, ad esempio, al genere femminile e il ritrovarsi ad avere, invece, un corpo maschile. I transessuali sono, secondo Paterlini, eterosessuali: per esempio se un individuo è biologicamente uomo ma si sente donna, e desidera gli uomini, quello che conta, dal punto di vista dell’oggetto del desiderio, è che si tratta di un desiderio eterosessuale: desidera gli uomini sentendosi donna, e conta più come uno si sente rispetto a quale sia la sua conformazione anatomica.
Esistono anche persone (ma sono rarissime, secondo Paterlini), nelle quali la transessualità si assomma all’omosessualità: es. biologicamente uomo, si sente donna, desidera le donne.
Situazioni più “sfumate”, rispetto alla transessualità, sono quelle del travestitismo e dell’effeminatezza (o della mascolinità nel caso si parli di donne). Si tratta sempre, secondo Paterlini, di questioni di identità di genere, ma presenti in gradazioni e modalità diverse rispetto alla transessualità. Tutte queste realtà, questi modi di essere, appartengono nella maggioranza dei casi, se osservate dall’angolazione dell’oggetto del desiderio, all’eterosessualità.
Parlando di “effeminatezza” viene spontaneo interrogarsi riguardo a cosa sia attribuibile al “maschile” e cosa al “femminile”. Paterlini, a questo proposito, distingue fra due insiemi di caratteristiche: l’insieme comprendente le caratteristiche attribuite ai generi storicamente e culturalmente e l’insieme delle caratteristiche psicobiologiche “originarie”, immutabili. Per esempio, se parliamo di femminilità, caratteristiche storico-culturali sono la dolcezza e il carattere materno (caldo, accuditivo…); caratteristiche psicobiologiche sono (ma qui dobbiamo precisare che Paterlini non fa esempi) la grazia, la seduttività, una maggiore sensibilità e ricettività.
3. I comportamenti sessuali sono appunto ciò che di fatto si pratica a livello sessuale, sia riguardo a quali pratiche specifiche siano preferite sia riguardo al ruolo preferito (attivo o passivo) sia riguardo alla scelta del sesso dei propri partner. I comportamenti, sostiene Paterlini, sono mutevoli.
Occorre anche qui distinguere questo genere di considerazioni da quelle relative all’orientamento sessuale e da quelle relative all’identità di genere: per esempio un uomo che desidera gli uomini può di fatto astenersi dal realizzare questo suo desiderio e avere invece rapporti sessuali e affettivi con donne.
La categoria dei comportamenti serve anche a Paterlini per inquadrare un tema sfuggente quanto profondo e ricco di implicazioni qual è quello della bisessualità. La sua tesi è che la bisessualità, se intesa come orientamento sessuale, non esiste. La bisessualità esiste, ma va intesa solo come comportamento. Per esempio: un sedicente bisessuale può essere in realtà un omosessuale che rinuncia a formare coppia stabile con un uomo e per “salvare le apparenze” si sposa e continua però ad avere rapporti occasionali con uomini.
Perché non si può intendere la bisessualità come orientamento? Perché non si può pensare che per un individuo sia “indifferente” se innamorarsi di un uomo o di una donna: se guardiamo alla capacità di innamorarsi e di amare (e ricordiamo che è proprio questo che contraddistingue l’oggetto del desiderio per Paterlini), deve esserci una differenza: se mi innamoro delle donne non posso innamorarmi anche degli uomini.
Altri casi in cui viene usato impropriamente il termine “bisessualità” possono essere quello di chi si innamora alternativamente di un uomo o di una donna (e qui si tratta di un’oscillazione della propria identità di genere), o quello di chi vive un’oscillazione dell’oggetto del desiderio e si libera dall’incertezza (“sono etero o gay?”) affermando di essere bisessuale.
4. Il rigore di Paterlini sul voler distinguere nettamente il piano dell’orientamento sessuale da quello dell’identità di genere e da quello dei comportamenti risponde almeno a due obiettivi che l’autore persegue.
Uno è quello di “complicare” l’apparato concettuale in modo da renderlo adeguato a cogliere e rispecchiare la complessità della sfera sessuale, complessità che sta emergendo, alle soglie del XXI secolo, in tutta la sua ricchezza e varietà. Anche nella sessualità vissuta e “dichiarata”, come già avvenuto per esempio nella sfera della creatività artistica, si è verificata, e continua ad operare, un’esigenza che è stata propria della cultura novecentesca in generale: quella di superare i limiti della tradizione e di sperimentare tutte le possibilità che gli elementi in gioco offrono. Di fronte a fenomeni nuovi (pensiamo a tutte le possibili combinazioni sommatorie fra le tre variabili orientamento/identità/comportamenti ma anche agli sviluppi e alla diffusione delle cosiddette “perversioni” o alla crescente libertà nello sperimentare forme di sessualità promiscua) occorre moltiplicare i livelli di discorso e chiarire i diversi “assi” su cui si struttura lo “spazio” delle possibilità sessuali.
L’altro obiettivo è quello di costruire un apparato argomentativo in grado di “smontare” l’omofobia minandone gli stessi presupposti: l’uomo etero omofobo odia in realtà la passività perché la associa con la sottomissione. Ritiene che chi si fa penetrare sia un vinto, un essere inferiore (quindi considera inferiori anche le donne!). Associa la virilità con la capacità di penetrare e la femminilità con l’essere penetrati; da questo punto di vista gli omosessuali sono uomini che tradiscono la propria virilità e “si abbassano” al ruolo di femmine. A costui occorre rispondere che ha sbagliato proprio tutto, perché, una volta stabilita la distinzione inziale fra i tre livelli di discorso, ne deriva che i gay non sono effeminati e che spesso preferiscono il ruolo attivo.
5. Un altro modo di “smontare” l’omofobia è quello di demolirne gli argomenti, in primo luogo quello secondo cui l’omosessualità sia “contronatura”. Paterlini presenta con vivacità una serie di contro-argomentazioni, che possiamo sintetizzare in alcuni punti:
a) si scambia il concetto di “natura” con quello di “maggioranza”. È la natura stessa che è fatta di maggioranze e di minoranze.
b) se “contronatura” significa andare contro un destino voluto dal Creatore, allora anche volare in aereo è contronatura, e in generale tutte le invenzioni della tecnica (comprese quelle della medicina…)
c) se “contronatura” allude alla funzione procreativa della sessualità, occorre rispondere che anche i gay possono procreare, e non sempre lo possono gli etero. Inoltre abbiamo ormai capito che l’amore, il sesso, il piacere, sono esperienze che vanno molto al di là di ciò che occorre per procreare, e questa constatazione obbliga a porre, accanto alla domanda “come si diventa omosessuali?”, la domanda “come si diventa eterosessuali?”. Domande a cui, peraltro, finora nessuno è in grado di rispondere con certezza.
6. Dopo aver toccato i temi della masturbazione, della pornografia, della prostituzione e del sesso virtuale (accomunati dalla funzione sostitutiva in presenza di un bisogno sessuale-affettivo insoddisfatto) Paterlini affronta il tema dell’amore in quanto tale. Qui vi è una sua esplicita dichiarazione sui limiti che il pensiero razionale incontra nel descrivere (e quindi anche nello spiegare e nel consigliare) i fenomeni dell’amore: «Non si può “insegnare” l’amore… l’amore e il sesso sono l’indicibile per eccellenza». In questa frase, in verità, si parla anche del sesso, ma di fatto Paterlini, sul sesso, fa abbondante uso della razionalità. Sull’amore invece rimanda essenzialmente all’arte. Se vogliamo aumentare la nostra conoscenza e la nostra saggezza sui fatti dell’amore, Paterilni ci esorta a rivolgerci alla letteratura, e indica anche una serie di autori e di testi.
Nonostante si tratti quindi di un discorso “di frontiera”, al limite del dicibile, Paterlini solleva alcune questioni interessanti e avanza alcune idee.
Che cos’è, veramente, la fedeltà? È la monogamia? È l’avere un partner solo alla volta? Anche qui Paterlini applica la distinzione fra comportamenti e “interiorità”: quello che conta è la fedeltà rispetto all’amore che abbiamo dentro, non il nostro comportamento materiale. In altri termini: se “tradisco” il partner di cui sono innamorato ma la cosa non incide minimamente, per me, sul sentimento che provo per lui, non possiamo parlare di infedeltà. È invece realmente infedele chi si innamora ma poi non è in grado di “tenere” la continuità del sentimento, e, per esempio, cambia continuamente partner (pur stando sempre, rigorosamente, con uno per volta…). Aggiunge anche, ma ammette di stare solo sfiorando una grande e complessa tematica, che a suo parere è possibile amare due persone contemporaneamente (ciò dovrebbe, chiediamo noi, rassicurare o preoccupare i gelosi?…).
Altro tema solo sfiorato, ma molto interessante, è sul ruolo delle fantasie o delle cosiddette “perversioni” (usiamo questo termine in senso freudiano; parlando di questo argomento l’autore non lo usa: il termine compare raramente, nel libro, e con un significato non chiaro. Sembrerebbe usarlo con riferimento solo all’ambito della patologia). La ricchezza della sessualità adulta sta proprio, sostiene Paterlini, nelle contaminazioni con fantasie e fantasmi della sessualità infantile. Purché ciò avvenga consapevolmente, sia un gioco padroneggiato, e non si tratti, invece, di «regressione e malattia».
Vi è infine una tesi su cui l’autore insiste e che collega al tema dell’orientamento sessuale: la vera, grande differenza è tra il fare sesso con/per amore e il farlo senza amore bensì per «amicizia, desiderio, complicità, affetto, gioco, curiosità, sfogo». Il collegamento col discorso sull’orientamento è questo: l’orientamento è vincolante solo sul piano del sesso legato alla passione amorosa, non sul piano del sesso fatto per tutti gli altri motivi sopra elencati. In altri termini: un omosessuale può innamorarsi esclusivamente di una persona dello stesso sesso, mentre può avere rapporti sessuali, senza esserne innamorato, anche con persone di sesso opposto (purchè sia sufficientemente “sciolto”, ovvero «senza troppi blocchi psicologici»). La stessa cosa vale, specularmente, per un eterosessuale. Insomma, l’etichetta etero/omo può essere legittimamente apposta solo andando a vedere, al di là della superficie dei rapporti sessuali “di fatto”, nel profondo del sentimento. Solo l’innamoramento, la passione amorosa, l’Amore, indicano in maniera definitiva l’orientamento.
7. Quando a pagina 19 (citeremo sempre le pagine dell’ultima edizione) definisce i tre concetti base del suo discorso, Paterlini dice che l’identità è stabile mentre i comportamenti sono mutevoli. Sembrerebbe non aver affrontato la questione se l’orientamento sia stabile o mutevole.
Poi però, mentre sta parlando di bisessualità, dice «l’identità come l’orientamento si affermano già nella prima infanzia e non si possono più modificare, fanno parte dello “zoccolo duro” della nostra personalità» (p. 75).
Rispetto all’idea che l’orientamento sia stabile, domando: è quindi impossibile cambiare orientamento a un certo punto nella vita?
Un amico mi racconta che lui ha condotto una vita eterosessuale (con moglie e un figlio), senza dubbi circa il proprio orientamento e con una sessualità vissuta come soddisfacente, e che intorno ai trent’anni, passando un periodo di “transizione” di circa tre anni (un periodo che egli stesso definisce di “crisi esistenziale” e che lo ha portato anche ad iniziare una terapia psicoanalitica), ha “cambiato” orientamento: seguendo un’impulso inizialmente indefinito, ha cominciato ad avere incontri occasionali e in seguito ha avuto storie d’amore con uomini. Oggi si definisce senza dubbi gay. Come considerare un racconto del genere se pensiamo che l’orientamento sia stabile? L’ipotesi potrebbe essere che in tutta la prima fase della sua vita questa persona abbia avuto una totale inconsapevolezza dei suoi “reali desideri”, e si sia comportato seguendo la “norma sociale”. A un certo punto però la verità è emersa dal profondo dell’inconscio e ha dovuto prenderne atto, farci i conti e infine accettarla. Ma è possibile concepire la presenza di un oggetto del desiderio così completamente inconscio? E ancora: a quali desideri corrispondevano i suoi comportamenti sessuali e amorosi fino ai trent’anni? E’ possibile concepire una serie di comportamenti coerenti e continuati per tutta la prima parte di una vita senza che questi comportamenti corrispondano a un desiderio? Notiamo che questo caso è ben diverso da quello di chi, pur cosciente di avere un orientamento omosessuale, decide di rinunciarvi per non subire discriminazioni eccetera. Un’altra ipotesi è che questa persona costituisca un’eccezione, un caso rarissimo che non incide sulla tesi in discussione. Però dal punto di vista del metodo scientifico, un’eccezione non può confermare una regola: un’eccezione (anche una sola) è sufficiente a modificare il nostro modo di considerare quella regola. Non possiamo più parlare, se accettiamo la verità di quell’eccezione, di quella regola come di una regola universale, cioè valida sempre e comunque.
Sempre rispetto a questo argomento, è da rilevare che Paterlini, pur sostenendo in generale la tesi che l’orientamento sia stabile, a un certo punto ammette che possano esistere persone con un orientamento “ballerino” (cfr. p. 76-77), e che queste sentano confusione e legittimamente si interroghino sul proprio orientamento e possano addirittura «scegliere» fra omosessualità e eterosessualità.
8. Nel definire l’oggetto del desiderio (p. 19), come dicevamo sopra (1.), Paterlini tende a non distinguere fra “attrazione fisica” e “innamoramento/amore”. Ma è stata credo esperienza di tutti noi il provare attrazione sessuale per una persona senza esserne innamorati o amarla (perlomeno è un tratto comune del maschile: spesso le donne, sia etero che lesbiche, rivendicano la loro diversità su questo punto e dichiarano di non poter scindere, nella loro esperienza, la sessualità dall’amore…). Ciò non dovrebbe portare a distinguere fra “tipi” o “gradi” di desiderio? Del resto Paterlini stesso, come abbiamo già detto (6.) distingue più avanti (p. 123-124) fra due fondamentali modalità del comportamento sessuale: la presenza o l’assenza della passione amorosa, e anzi usa questa distinzione per chiarire meglio la sua idea dell’orientamento sessuale. L’elenco usato da Paterlini per illustrare il “sesso senza amore” ci lascia per certi versi perplessi: si tratterebbe di un sesso fatto «per amicizia, desiderio, complicità, affetto, gioco, curiosità, sfogo» Per amicizia? Ma l’amicizia non si definisce proprio, fra le altre cose, per l’assenza della sessualità? Per desiderio? Non stiamo proprio cercando di distinguere esperienze all’interno del concetto generale di desiderio? Qui probabilmente Paterlini pensa all’attrazione “fisica”, alla “voglia” puramente sessuale. Affetto? Ecco: non potremmo definire l’affetto come una forma attenuata di amore?
La nostra proposta è: si potrebbe concepire un continuum dove al grado zero mettiamo la “pura attrazione sessuale” e al grado più alto mettiamo l’attrazione amorosa in senso pieno (comprendente anche, ovviamente, l’aspetto erotico), con una serie di gradi intermedi (per esempio il sesso fatto “per affetto”, come dice Paterlini). Un modo per capire se questa idea ha una certa fondatezza è porsi la domanda: ha senso dire «Sono un po’ innamorato.»? Se chiediamo a una persona di spiegarci quali sentimenti provi nei confronti di un’altra e ci venisse risposto “ne sono un po’ innamorato” ci riterremmo soddisfatti? Forse potremmo pensare che si sta innamorando, oppure potremmo pensare che ha le idee confuse. Alcuni potrebbero concludere che in realtà non è innamorato, dato che non è sicuro e usa questa espressione intermedia.
A complicare una eventuale ricerca sulla “tipologia del desiderio” andrebbe anche considerato che può esistere amore senza sesso… Pensiamo ad esempio alle coppie dove non c’è più sesso ma che continuano a stare insieme per anni. Come chiamiamo il sentimento che esiste in questi casi? Oppure pensiamo alle coppie che rimandano la sessualità a dopo il matrimonio… Un altro caso può essere quello di un gay che si “innamora” di una donna, pur senza provare nei suoi confronti attrazione fisica: certo non si tratterà di Amore, ma di qualcosa di simile sì, una sorta di “innamoramento di testa”, fatto di stima, ammirazione, grande confidenza, forte simpatia.
Rispetto all’idea di Paterlini sulla “legge” della complementarietà del desiderio (cfr. 1.) si potrebbe provare a rovesciare tale legge e ipotizzare: si cerca sempre chi ci somiglia, almeno in certi aspetti… se osserviamo i componenti di una coppia, etero o omo, spesso notiamo che hanno molte cose in comune (è molto difficile, per esempio, che si mettano insieme persone che hanno orientamenti politici opposti). Oppure si potrebbe ipotizzare che vi siano relazioni basate principalmente sulla complementarietà e relazioni basate principalmente sulla somiglianza.
9. A proposito della stabilità dell’identità va rilevato che Paterlini, dopo averla affermata come presupposto teorico e come verità empirica (p. 19 e p. 47) parlando del travestitismo dice che si tratta di «persone che non si sentono stabilmente appartenenti al sesso opposto» (p. 56), cioè persone con un’identità di genere confusa o altalenante. Aggiunge però che ne sappiamo ancora troppo poco, e che potrebbe anche trattarsi non di una questione di identità ma di un “comportamento”. Resta il fatto che classifica i travestiti come appartenenti all’area dell’eterosessualità perché «come partner, cercano una donna» (p. 57). Qui c’è qualcosa che non torna. Prendiamo, per semplificare, solo il caso di persone che sono biologicamente uomini. Se transessuali o se effeminati, Paterlini li classifica come etero perché cercano uomini partendo da un sentirsi (più o meno intenso) donne. Se travestiti, li classifica etero perché cercano donne partendo dal loro sentirsi uomini. Ma allora come consideriamo il loro desiderio quando si travestono e assumono la loro identità femminile? Se continuano a cercare donne dovremmo parlare di omosessualità! Insomma, da un lato Paterlini usa il travestitismo come una sorta di anello di congiunzione fra transessualità ed effeminatezza, dall’altro classifica il travestitismo come appartenete all’eterosessualità non per il desiderio provato quando si travestono, ma per il desiderio provato quando sono in abiti maschili.
10. Se transessuali, travestiti ed effeminati non appartengono al mondo gay-lesbico ma costituiscono delle varianti nell’ambito dell’eterosessualità, perché, di fatto, nella società, hanno scelto di porsi a fianco o all’interno del mondo omosessuale e di “lottare” politicamente insieme agli omosessuali? Paterlini sembrerebbe ritenere più efficace, dal punto di vista della lotta contro l’omofobia, una separazione. Esagerando un po’ le cose, potremmo dire che Paterlini, rivendicando la netta distinzione fra questioni di orientamento e questioni di identità, lavora nella direzione della costruzione di un’immagine “pulita”, “purificata”, degli omosessuali (i “veri” gay non sono gli effeminati…) che ritiene (oltre che più vera dal punto di vista scientifico) più forte nella battaglia contro l’omofobia.
11. Il capitolo sull’effeminatezza è corto ma molto intricato, quasi labirintico. All’inizio (p. 58) afferma che l’effeminatezza è un fenomeno che rimane nel campo dell’eterosessualità, da cui deriva la tesi, paradossale ma intrigante, che la “checca” non è un omosessuale. Poi, per avanzare una «dimostrazione empirica» di questa tesi, afferma che «ci sono gay effeminati e gay non effeminati; ci sono eterosessuali effeminati ed eterosessuali non effeminati» quindi l’elemento dell’effeminatezza non può essere usato per distinguere omo da etero. Ma come può parlare di dimostrazione empirica se ciò che deve dimostrare è che non esistono in realtà gay effeminati? Si potrebbe allora interpretare questa dimostrazione come basata sul fatto che il termine “effeminato” viene usato per indicare sia uomini ritenuti gay sia uomini ritenuti etero. Ma anche in questo caso il nesso fra dimostrazione e tesi da dimostrare non ci sembra corretto. Infatti la tesi di Paterlini si potrebbe anche riformulare dicendo che secondo lui è sbagliato applicare il termine “effeminato” a una persona gay. Come può allora richiamare l’uso corrente del termine “effeminato” per sostenere una tesi che vuole andare contro l’uso corrente?
Inoltre, per coerenza, Paterlini dovrebbe anche rifiutare l’applicazione del termine “effeminato” a un uomo etero: infatti un uomo effeminato che andasse cercando le donne dovrebbe in realtà considerarsi un omosessuale! In definitiva, per coerenza Paterlini dovrebbe rifutare completamente l’uso del termine “effeminato” dal momento che qualsiasi applicazione di tale termine risulterebbe scorretta…
Forse proprio considerando questi esiti paradossali, Paterlini poco più avanti riformula la sua tesi in maniera meno drastica: «quando la “dose” di femminilità in un uomo raggiunge il livello della vera effeminatezza, allora forse sì, in questo caso specifico possiamo azzardare che un etero effeminato quando cerca una donna, cerchi sì un rapporto eterosessuale, ma con una “contaminazione” omosessuale; esattamente come un omosessuale effeminato quando cerca un rapporto omosessuale vive contemporaneamente una “contaminazione” eterosessuale».
Certo che riformulata così la sua tesi di partenza perde la sua paradossalità e anche le sue conseguenze “dirompenti” sul piano politico. La conclusione del capitolo sull’effeminatezza è però ancora una volta sorprendente: «Per questo gli effeminati − etero o omo che siano − si possono considerare gli unici veri bisessuali esistenti sulla terra. Forse.». La sorpresa consiste nel fatto che, come già sappiamo, per Paterlini la “vera” bisessualità non esiste!
12. Anche la distinzione fra comportamenti e orientamento sessuale porta, se intesa in senso netto e drastico, a conseguenze secondo noi discutibili.
E’ sicuramente vero che non possiamo dedurre l’orientamento sessuale di qualcuno guardando solo ai suoi comportamenti. I numerosi casi di omosessuali che per “adeguarsi” alla “normalità” rinunciano a realizzare i loro desideri e conducono una vita etero ci insegnano che è possibile reprimersi, che è possibile avere un desiderio anche se non lo si realizza mai o se lo si realizza molto raramente.
Ma questo argomento non regge nel caso di un eterosessuale che ha, più o meno occasionalmente, comportamenti omosessuali: nessuna norma morale o religiosa lo spinge a compierli: perché lo fa? Un’ipotesi potrebbe essere quella dell’esistenza di manifestazioni del desiderio nelle quali il desiderio non ha di per sé oggetto, e si concretizza poi in certe determinate situazioni anche andando ad indirizzarsi su oggetti che “normalmente” non lo orientano. Oppure possiamo pensare a situazioni “forzate”, per esempio le prigioni, nelle quali l’impossibilità di realizzare il desiderio etero può portare a un cambio di rotta del desiderio stesso.
Paterlini, a proposito degli eterosessuali che hanno rapporti occasionali di tipo omosessuale, porta l’esempio di Rocco, il protagonista di Porci con le ali, un eterosessuale che a un certo punto della storia fa l’amore con il suo amico Marcello «per puro piacere, per affetto, curiosità». Come sappiamo, il criterio che consente di distinguere, secondo Paterlini, è la presenza o l’assenza dell’amore. Rocco non è innamorato di Marcello, quindi è e rimane eterosessuale nonostante le avventure con Marcello. Rocco fa del sesso con Marcello per “piacere”, “affetto”, “curiosità”… Ma tutto ciò non si può riassumere nel concetto di “desiderio”? Non possiamo dire che Rocco fa l’amore con Marcello perché in quel momento lo desidera, ne ha voglia? E l’orientamento non consiste nella scelta dell’oggetto del desiderio?
Si dirà: ma Rocco ha la maggior parte delle sue storie con ragazze, quindi è eterosessuale! Sì, ma la situazione di Rocco non si potrebbe descrivere più precisamente usando la scala di Kinsey, o magari una sua versione riveduta e corretta? Kinsey propose nel 1948 una scala a sette gradini che serviva a descrivere le persone rispetto al loro orientamento sessuale:
0 − Eterosessuale esclusivo, mai omosessuale
1 − Eterosessuale prevalente, solo occasionalmente omosessuale
2 − Eterosessuale prevalente, più che occasionalmente omosessuale
3 − Egualmente eterosessuale e omosessuale
4 − Omosessuale prevalente, più che occasionalmente eterosessuale
5 − Omosessuale prevalente, solo occasionalmente eterosessuale.
6 − Omosessuale esclusivo, mai eterosessuale.
Rocco si potrebbe collocare al gradino 1. L’idea interessante, al di là del numero di gradini, è quella di concepire l’orientamento sessuale non in modo dicotomico ma come polarizzazione di un continuum. Probabilmente Paterlini considera questa scala come una scala che misura i comportamenti e non l’orientamento. Ma la nostra obiezione è la seguente: un comportamento sessuale che non sia in alcun modo indotto (né dalla violenza fisica né dalla forza coercitiva delle norme morali-sociali) deve corrispondere a un desiderio. In altri termini: non consideriamo scindibili in maniera netta, così come propone Paterlini, i comportamenti e l’orientamento. Alla continuità fra sesso e amore (come abbiamo proposto sopra − cfr. 8.) potrebbe corrispondere una continuità fra eterosessualità e omosessualità. Si potrebbe inoltre considerare come rarissima o prossima allo zero la situazione 3 nella scala di Kinsey, la famosa bisessualità. Ma si potrebbe anche usare il termine “bisessualità” per comprendere tutte le situazioni dalla 1 alla 5 nella medesima scala. Considerando le cose in questo modo, sarebbero probabilmente più numerosi i bisessuali rispetto agli etero esclusivi e agli omo esclusivi. (Del resto lo stesso Paterlini, parlando delle radici dell’omofobia, non esclude che i maschi etero abbiano tutti delle potenzialità omosessuali: «gli etero sono terrorizzati, peggio ossessionati dalla fantasia di essere penetrati. E nello stesso tempo […] sembra siano confusamente ma irresistibilmente attratti, e ossessionati, dalla voglia non solo di penetrare le donne, ma un altro maschio.». I corsivi sono dell’autore).
Per tornare sulla questione della bisessualità: può un comportamento bisessuale costante (che Paterlini ammette) non corrispondere a un desiderio bisessuale? Ancora una volta il criterio fondamentale è per Paterlini la presenza dell’amore. Scrive: «È possibile […] andare a letto con chiunque, stabilire una buona intesa affettiva, costruire un bellissimo “matrimonio”, magari. Ma un vero innamoramento, un totale appagamento scordateveli.». Chiediamo: cosa dobbiamo intendere con “appagamento” se non la soddisfazione sessuale-affettiva? Proviamo a ribaltare il discorso di Paterlini e diciamo: il vero innamoramento può avvenire solo laddove l’intesa sessuale è profonda. La profonda attrazione sessuale può quindi essere usata come criterio alternativo per valutare l’orientamento. Una spia del proprio desiderio sessuale sono le fantasie sessuali (sempre che la persona sia sufficientemente “emancipata” da permettersele con libertà). Ebbene, come Paterlini ritiene impossibile che qualcuno possa innamorarsi indifferentemente di un uomo o di una donna (la situazione 3 nella scala Kinsey), altri potrebbero ritenere impossibile che si possano avere fantasie sessuali indifferentemente etero o omo. La questione se esista o meno un orientamento sessuale perfettamente in equilibrio tra omosessualità ed eterosessualità è forse, in realtà, poco interessante. Anche ammettendone l’impossibilità (o empirica o teorica o di entrambi i tipi), resta il fatto che posso chiamare “bisessuale” chi ha, poniamo, una componente etero al 51% e omo al 49%. Oppure posso decidere che l’unico significato legittimo è quello 50%-50% e dire: i bisessuali non esistono. Ma perché negarsi una categoria in più, per dare un nome a quelle persone, per quanto poche, che effettivamente oscillano fra comportamenti etero e comportamenti omo?
Paterlini però, su questi ultimi, ha una sua tesi: o si tratta unicamente di comportamenti (ma allora riproponiamo la domanda che abbiamo posto all’inizio del paragrafo precedente) oppure, nel caso si innamorino alternativamente di un uomo o di una donna si tratterebbe di persone con una identità altalenante: cercano un uomo quando si sentono donne e cercano una donna quando si sentono uomini. Si tratterebbe, quindi, in ogni di caso di eterosessualità.
13. Concludiamo con qualche osservazione sullo stile filosofico-argomentativo di Paterlini.
In un punto del libro Paterlini sembra “svelare” la sua filosofia: «non è quello che si vede, quello che si fa che conta, ma il come, il perché, il come ci si arriva. […] raramente ciò che si vede corrisponde alla realtà (e al senso) delle cose. Molto spesso, ciò che si svolge sotto i nostri occhi creduloni e ingenui non è ciò che succede realmente». Possiamo quindi definire Paterlini un anti-fenomenologo? Un anti-wittgensteiniano? Un metafisico? Certamente un realista, ma un realista per il quale le intenzioni contano più dei fatti, e forse più correttamente dovremmo dire che per Paterlini contano i sentimenti più dei comportamenti. Un atteggiamento che su alcune questioni rischia, come abbiamo visto, di creare qualche complicazione eccessiva e qualche contraddizione. Ma fino a un certo punto Paterlini ha sicuramente ragione: i desideri possono restare nascosti, possono non essere visibili… Del resto la vita psichica non si vede, direttamente… D’altra parte si potrebbe anche sostenere che tutto ciò che sappiamo della vita psichica degli altri lo dobbiamo inferire dal loro comportamento, dalle espressioni del loro volto, dalle loro dichiarazioni (ufficiali, private, confidenziali ecc.). Non abbiamo accesso diretto ai desideri altrui, quindi non possiamo che passare, per capirli, attraverso ciò che si vede, si sente ecc. Paterlini presuppone una distinzione forte fra apparenza (ciò che si vede) e realtà (il senso, il perché di quello che si vede. A questa distinzione si può obiettare che se volessimo prescindere completamente dall’apparenza perderemmo con essa anche qualsiasi appiglio per cogliere la realtà…
Un altro passo illuminante circa la filosofia e il metodo di Paterlini è il seguente: «Siamo (…) interessati alle contraddizioni interne al discorso che si fa abitualmente, alle incongruenza macroscopiche del famoso “senso comune”» (p. 103). Qui arriviamo a un punto chiave per capire la forza delle argomentazioni di Paterlini. L’interesse maggiore delle sue tesi sta proprio, secondo noi, nell’effetto “spiazzante” che hanno sulle nostre opinioni più consolidate. Spesso il suo libro riesce a scuoterci proprio sui punti che credevamo più scontati e produce un benefico effetto di “confusione” che predispone un avvicinamento alla verità. C’è in questo senso un’abilità propriamente socratica di Paterlini, applicata a un campo dove a nostro avviso c’è proprio bisogno di questo: mettere in discussione le certezze tradizionali e portare le persone, finalmente, ad assumere un atteggiamento di ricerca e di riflessione. Un esempio? Domande come questa (una nostra riformulazione di quella da lui posta a p. 23): sono più simili fra loro due omosessuali che hanno solo l’omosessualità in comune o due persone che hanno solo l’orientamento sessuale come differenza?
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