22 novembre 2022

Scarlatti, Sonata K 232: invito all'ascolto

 




È da un po' di tempo che ascolto, mentre vado in macchina, le sonate di Domenico Scarlatti, nella versione di Scott Ross.
Ross le ha incise integralmente, dalla prima all'ultima (sono 555 in totale!), e avendo io caricato la sua incisione integrale su una chiavetta che ho inserito nella presa usb dell'auto, piano piano me le sto ascoltando tutte (nell'ordine del catalogo K - dal nome del musicologo e clavicembalista Ralph Kirkpatrick).
Normalmente uno non si mette lì ad ascoltarle tutte, dalla prima all'ultima, ci vorrebbe troppo tempo (ci vorrebbero circa 36 ore... !!!) Ma in questo modo, piano piano... Ora, io amo tantissimo Scarlatti, ma devo ammettere che non sono tutte allo stesso livello; ce ne sono alcune più ordinarie , alcune addirittura possono risultare un po' ripetitive, ma ogni tanto emergono dei pezzi di una bellezza sconcertante.
Ogni tanto, quindi, mentre guido ce n'è qualcuna che mi colpisce particolarmente, ma purtroppo non ho avuto l'accortezza di segnarmi via via il numero di quelle più belle o più strane, o più elettrizzanti (e via dicendo). Una volta voglio provare, per avventura, a fare un'ascolto sistematico e poi stilare un elenco delle mie preferite.

Oggi però ne ho pescata una veramente particolare... la K 232. È complessa pur essendo sostanzialmente un contrappunto a sole due voci, ma queste due voci si contrappuntano in modi singolarissimi, per scale cromatiche ascendenti o discendenti, a volte procedenti in parallelo, a volte in direzioni opposte, e c'è uno sviluppo interno che porta a delle sezioni di grande maestosità, direi quasi solennità, sezioni però sulle quali Scarlatti non vuole soffermarsi troppo, riavvolgendole poi in un ulteriore sviluppo contrappuntistico... non saprei per ora descriverla meglio ma ne raccomando l'ascolto per tutti gli appassionati di musica barocca in genere, ma anche semplicemente per chi vuole trarre piacere dalla fruizione di un oggetto poliedrico, cromatico, dinamico, nel quale la drammaticità si unisce alla giocosità.
Navigando in rete ho poi scoperto anche uno scritto sulle sonate di Scarlatti, che per ora ho solo scorso velocemente ma che mi sembra molto molto intrigante: Carlo Grante, Domenico Scarlatti e la sospensione del tempo.





Per chi volesse capire meglio la struttura di questa sonata, è disponibile anche su YouTube la stessa versione di Scott Ross (secondo me la migliore interpretazione), con lo spartito visualizzatile mentre si ascolta, grazie al meritorio canale creato da Miguel Fontes Meira:







19 novembre 2022

Quanto vale il ricordare, nello studio?

 



Apri la mente a quel ch'io ti paleso 

e fermalvi entro; ché non fa scienza,

sanza lo ritenere, avere inteso.

(Dante, Paradiso, Canto V, vv. 40-42)


È proprio vero che la memorizzazione sia una componente indispensabile nello studio delle discipline scolastiche?

Innanzitutto contestualizziamo la domanda: penso alle scuole superiori, in particolare al liceo scientifico e al liceo classico, perché è il livello di istruzione nel quale lavoro. Mi pongo la domanda come docente che riflette sul metodo di studio, cercando di mettersi nei panni degli studenti (ho avuto anche l’avventura di tenere un “corso sul metodo di studio” – a.s. 2021-2022, presso il Liceo “Salvador Allende” di Milano, rivolto agli studenti che stavano per iniziare il terzo anno). 

Voglio fare una considerazione preliminare, importante per lo sviluppo del discorso, sulla particolare difficoltà che – a mio avviso, ma credo sia abbastanza facilmente condivisibile – gli studenti delle scuole superiori si trovano a dover affrontare, sia rispetto alle scuole elementari e medie, sia rispetto allo studio universitario. Le superiori sono il livello di apprendimento nel quale è richiesto il massimo sforzo di approfondimento nell’ambito di uno studio generale, ancora non specializzato. Tipicamente, uno studente del liceo deve arrivare a capire, saper utilizzare, “tenere sotto controllo” contemporaneamente, discipline estremamente eterogenee fra di loro; uno sforzo che poi, normalmente, non è richiesto a nessun adulto. Quanti adulti sono in grado di sapere (a un discreto livello di approfondimento, certo non paragonabile a chi si specializza poi in una certa disciplina), contemporaneamente, la matematica, la storia, il latino, la chimica, la biologia, la fisica, la letteratura italiana, la storia dell’arte...? Eppure questo accade, tutte le volte che uno studente del liceo arriva con successo in fondo al percorso. Quindi si può, ma richiede uno sforzo veramente speciale. Poi, da adulti, di questo sforzo rimane traccia. (Alcuni dicono: la vera cultura generale è quello che rimane quando ci siamo scordati tutto... è un’estremizzazione, ma c'è qualcosa di vero.) Magari non ricorderemo più nel dettaglio alcuni contenuti o alcune procedure, ma sapremo almeno orientarci, sapremo come ricercare le informazioni che ci servono, come impostare la risoluzione di un problema, sapremo come inquadrare una certa questione.

Torniamo alla domanda di partenza. 

Molto semplicemente potremmo dire: SAI un argomento, un contenuto disciplinare, se sei in grado di richiamarlo alla mente ed “esporlo”, o “usarlo” per risolvere un problema o applicarlo in un contesto diverso da quello in cui l’hai studiato. Se non ricordi nulla di quell’argomento non puoi né parlarne, né tanto meno usarlo, applicarlo.

Quindi la questione sembrerebbe chiusa qui. Qual è il problema?

Il problema è che si può generare l’equivoco che il ricordare sia lo scopo primario dell’apprendere, e si tenti la scorciatoia dell’imparare a memoria senza aver capito: grave errore, piuttosto diffuso negli studenti. Compito del docente dovrebbe essere anche quello di mettere sempre alla prova la comprensione, al di là del sentirsi ripetere i contenuti (ci sono materie in cui questo avviene necessariamente, là dove si pongono problemi, esercizi, traduzioni ecc., ma altre in cui non è così automatico e ci può essere la tentazione, per la fretta, di “scivolare via” sull’aspetto della comprensione).

Ma allora, per evitare l’equivoco, perché non accontentarsi del fatto che abbia “inteso”, che abbia capito?

Perché Dante scrive non fa scienza, sanza lo ritenere... ?

Estremizzando: oggi la rete e gli smartphone, se bene utilizzati, ci consentono di recuperare velocemente informazioni. Perché allora, ci si potrebbe chiedere, nelle scuole superiori dobbiamo fare un grande sforzo per acquisire stabilmente tante conoscenze diverse?

Cesare Cornoldi, Rossana De Beni e Gruppo MT scrivono: «Il gruppo MT, come forse non a tutti noto, è nato nel 1976 dall'idea di uno di noi (Cesare Cornoldi) di poter utilizzare i risultati della ricerca psicologica contemporanea sull’apprendimento per mettere a punto materiali utili al mondo della scuola. La sigla MT vuole ricordare che un apprendimento non è realmente significativo se non è in grado di mantenersi nel tempo (Memoria) e di applicarsi a nuovi contesti (Transfer)» (Imparare a studiare. Strategie, stili cognitivi, metacognizione e atteggiamenti nello studio, Erickson, Trento 2015, pag. 8)

Il mantenersi nel tempo di una solida cultura di base, come quella che si acquisisce nei licei, è in effetti un bagaglio fondamentale nella formazione di un cittadino consapevole, che sappia avere uno sguardo critico sulla realtà che lo circonda e sulla grande massa di comunicazioni e informazioni che gli arrivano quotidianamente.

L’esempio più facile è questo: con una buona cultura di base, che permane nel tempo, dovremmo tutti essere in grado di leggere un editoriale di un quotidiano e capire quello che stiamo leggendo senza dover continuamente andare a consultare Google (rischiando di prendere per vere cose che magari sono mezze vere o addirittura false, e poi, nel migliore dei casi, come nelle scatole cinesi, per capire quello che trovo  devo andare a cercare altre cose che non so ecc. ecc.). Leggo un articolo di un commento a un fatto di attualità: l’articolo fa dei riferimenti storici (magari cita una data senza dire il fatto storico, per esempio il 28 ottobre, o l’8 settembre... oddio, non ricordo, cosa sarà? Magari guardo in Google e scopro che il 28 ottobre è la marcia su Roma, ma se poi non conosco quell’evento storico devo andare a vedere e scopro altre cose che non so... ), o geografici, o scientifici (magari riporta l’argomentazione di un politico che dice «l’energia non si può stoccare» per sostenere che le rinnovabili non sono la soluzione e mi viene il dubbio: avrà ragione?... ) e io sono in grado di inquadrare subito, cogliere il senso del discorso, quindi valutare e farmi un’opinione.

Lo studio al liceo (che sia lo scientifico o il classico) è inoltre l’ultima occasione che abbiamo per familiarizzarci ed entrare nel merito di discipline sia scientifiche sia umanistiche, quindi ci dà quell’apertura mentale indispensabile da conservare quando poi ci specializzeremo in campo o nell’altro. Il motivo dell’importanza di questa apertura mentale sarebbe un discorso lungo, ma semplificando molto, potrei dire: per evitare di diventare uomini che guardano solo ai fatti, senza capire i valori, o che guardano solo ai valori, senza capire i fatti.

Il punto su cui si rischia di equivocare, nel mondo della scuola, è però che il “mantenersi nel tempo” dovrebbe essere frutto di uno studio ben fatto, nel quale capisco il senso di ciò che sto studiando, capisco quindi perché è importante sapere quella cosa, e mi sforzo di comprenderla a fondo. Se questo avviene, lo sforzo di memorizzazione – il “ripetere” a libro chiuso, senza consultare gli appunti, né gli schemi, i riassunti o le mappe concettuali che ci siamo fatti, sforzandosi inoltre di usare parafrasi, “parole proprie”, là dove si può, senza tradire il lessico specifico della disciplina – è legato solo al problema che devo studiare, quasi sempre, in fretta e devo farlo contemporaneamente su più fronti, su più discipline anche molto diverse fra loro. (Attenzione, quando dico “in fretta” non mi riferisco a quegli studenti che pretendono di iniziare a studiare cinquanta pagine il giorno prima dell’interrogazione – operazione destinata al fallimento sicuro –, mi riferisco proprio agli studenti bene organizzati, che comunque, anche studiando tutti i giorni e sforzandosi di “star dietro” alle spiegazioni in classe, hanno un tempo limitato da dedicare a ciascuna “porzione” di disciplina.)

È chiaro che se lo studente avesse tutto il tempo per fare uno studio rilassato, nel quale possa avvenire lo sforzo di comprendere alla perfezione ogni cosa, sia globalmente sia nel dettaglio, e avesse il tempo di poterci anche riflettere sopra con calma, approfondire, facendo entrare quel contenuto nel “giro dei suoi pensieri”, associandolo con altri “pezzi” del suo sapere (o delle sue esperienze) che aveva già acquisito precedentemente, provare a usarlo per capire altre cose e vedere che funziona, o riuscire tramite quel contenuto a rispondere a domande su altro o risolvere problemi... allora quel contenuto si manterrebbe “naturalmente” nel tempo, il ricordare sarebbe un frutto spontaneo.

In ogni caso, anche con la normale fretta scolastica, lo sforzo di comprensione e di rielaborazione-riflessione è essenziale e già di per sé fornisce la base della permanenza nel tempo di quanto appreso.

Naturalmente ci sono anche cose che vanno imparate a memoria in senso puro, in certe fasi di apprendimento e in certo tipo di discipline (per esempio liste di vocaboli, o verbi irregolari se sto imparando una lingua...), allora lì serve la pura ripetizione, o, ancora meglio, l’uso di qualche mnemotecnica... ma questo è un discorso diverso.

In conclusione, quindi, per usare le parole di Dante, lo ritenere, è l’effetto naturale di un avere inteso con la mente aperta e fermandosi – quel “fermalvi entro” è fondamentale!!! – (rielaborando, riflettendo, ponendosi domande e provando infine a “ripetere” senza supporti) su ciò che si è inteso (compreso in sé e nel suo senso rispetto al resto delle cose da sapere e rispetto alla realtà). Oserei quasi formulare questa “legge”: la necessità di uno specifico sforzo di memorizzazione (il famoso ripetere) è inversamente proporzionale allo sforzo di comprensione e rielaborazione.