5 ottobre 2019

Un paradosso sul giudizio etico







Nel contesto delle teorie etiche, generalmente, uno dei presupposti è che sia necessario formulare giudizi etici sul comportamento – sulle azioni – delle persone o di noi stessi. Al di là dei contesti teorici o più generalmente filosofici, noi di fatto, spesso, facciamo questo: giudichiamo le azioni degli altri o di noi stessi. Apprezziamo, esaltiamo, incoraggiamo, promuoviamo, lodiamo azioni che ci appaiono buone o viceversa detestiamo, denigriamo, scoraggiamo, condanniamo, rifiutiamo azioni che ci appaiono cattive-ingiuste-orribili.
      Da un lato sembra quindi che l'attività del giudicare ed esprimere i nostri giudizi sia essenziale nell'atteggiamento etico, morale. Una teoria etica, generalmente, serve proprio a dare fondamento a questa attività del giudicare.
      Dall'altro lato, però, è anche vero che nelle relazioni umane, nei rapporti interpersonali, esprimere giudizi sulle azioni degli altri spesso costituisce un ostacolo, un impedimento, alla relazione stessa. Questo accade, indubbiamente, nei casi in cui il giudizio morale sia negativo. Giudicare negativamente un'azione ed esprimere questo giudizio ha più o meno lo stesso effetto che avrebbe dare uno schiaffo all'altra persona. Significa colpirla, certo non fisicamente, ma nella psiche. Ciò è ancora più evidente se l'oggetto del giudizio non è l'azione di una persona ma la persona stessa. Giudicare negativamente un'intera persona equivale a creare un distacco, una cesura nella relazione. Sembrerebbe invece l'opposto nel caso in cui i giudizi siano positivi, ma sarebbe assurdo pensare a un'etica che ammetta solo giudizi positivi, quindi il problema resta.
     Più sottile è cogliere l'effetto ostacolante nei casi in cui giudichiamo negativamente le nostre stesse azioni o noi stessi in generale. Si tratterebbe di un ostacolo nel nostro rapporto con noi stessi. L'importanza dell'autostima è ormai un luogo comune della psicologia, e si potrebbe obiettare indicando l'importanza dell'autocritica, se questa non diventa, appunto, paralizzante.... Lasciamo però da parte il labirinto della riflessività del soggetto, e concentriamoci sull'aspetto delle relazioni interpersonali. Certamente qualcuno dirà che sarebbe assurdo limitarsi a lodare o apprezzare in contesti educativi, formativi. Qui però stiamo parlando, idealmente, della relazione fra adulti, adulti già formati, già educati.
     Qual è allora il paradosso che vogliamo mettere a fuoco? Il paradosso consiste nel constatare che l'atteggiamento giudicante sembra indispensabile e inevitabile in una prospettiva di riflessione morale, ma nei contesti pratici delle relazioni interpersonali è consigliabile evitarlo. La questione è che nella prospettiva di una vita buona, nell'orientamento verso il vivere bene, le relazioni interpersonali sono fondamentali. Addirittura si potrebbe dire che le questioni etiche si pongono proprio nel contesto delle relazioni interpersonali.
     Un modo per uscire dal paradosso potrebbe sembrare quello del formulare giudizi senza esprimerli. L'effetto ostacolante dei giudizi negativi si produce in effetti quando il giudizio viene comunicato all'altra persona. Sappiamo anche, però, che una volta che un giudizio sia interiormente presente, è molto difficile che non traspaia all'esterno, e spesso può essere addirittura peggio giudicare senza esprimere, perché l'altro viene condannato senza appello; può accadere che avverta un improvviso raffreddamento nella relazione, senza conoscerne il motivo.
     Come uscirne? Forse considerando riflessioni etiche che si basano proprio sull'evitamento del giudizio etico, come l'etica di Spinoza, nella quale si nega il libero arbitrio.