22 gennaio 2011

Sui fondamenti dell'ontologia






Riprendo una questione contenuta già nel post precedente, ma lì non messa bene in luce.
Con l'esplosione otto-novecentesca delle conoscenze scientifiche, le scienze, e in particolare le scienze naturali (e soprattutto la fisica) hanno preteso di sottrarre alla filosofia il compito di rispondere alla domanda "Cosa esiste?".
Rispetto a questa pretesa la filosofia ha reagito in vari modi. Un modo che mi sembra ancora valido è il rilevare innanzitutto la situazione complessa in cui si trovano le scienze, divise almeno in tre grandi regioni: le scienze naturali, le scienze esatte e le scienze "umane". (L'ultimo gruppo di scienze, le scienze "dello spirito" o "storico-sociali" in realtà non sono tanto omogenee fra loro, basta pensare alle differenti prospettive in cui si pongono la storia da un lato, con tutto l'insieme delle storie speciali: storia dell'arte, storia economica... e le discipline con taglio teorico come la psicologia, a sua volta divisa in differenti scuole...). Perché solo le scienze della natura devono avere la pretesa di rispondere alla domanda ontologica? La matematica non ha a che fare con "oggetti"? Le scienze "umane" non si confrontano anche loro con "oggetti"? "Oggetti" nel senso di qualcosa di condivisibile, intersoggettivo, su cui possiamo scambiarci opinioni e su cui possiamo formulare teorie perché tutti possono capire di cosa stiamo parlando.
Da qui, credo, provengono le proposte ontologiche di tipo tricotomico, che parlano di "tre mondi", "tre regni" eccetera, accettando quindi di distinguere fra modalità diverse di esistenza.



Il problema che si pone a questo punto è: perché non estendere anche all'arte la possibilità di dare fondamento all'ontologia? Anche nell'arte si dà il fenomeno per cui ci possiamo confrontare su "oggetti", scambiarci opinioni su di essi. Penso ai grandi personaggi della letteratura, ai mondi creati dall'immaginazione ma che si possono condividere, sono intersoggettivi. Si può anche sostenere che questi oggetti non esistono, ma se già abbiamo accettato di distinguere tipi diversi di esistenza possiamo anche accettare di parlare di oggetti non-esistenti, o addirittura distinguere fra tipi di inesistenza (per esempio potrei dire che i numeri non esistono, ma in un senso diverso da quello in cui non esistono i personaggi della letteratura , e in un senso ancora diverso non esistono le cose del passato...).



La filosofia ha già indagato ampiamente queste possibilità, si è ripresa quindi in mano il suo compito ontologico, ed essa stessa ha, da sempre, a che fare con "oggetti", "oggettività": i concetti filosofici, o "superconcetti", che come mi ricorda Franca D'Agostini sono ben più di tre (il loro elenco, ha scritto, è in linea di principio aperto): i tre ricordati nel post precedente sono solo quelli individuati nel Medioevo e sono la lista minima, la più breve possibile.
Quindi filosofia, scienze, arti, hanno tutte, in misure diverse e in modalità diverse, a che fare con "oggettività" e hanno quindi voce in capitolo per aiutare l'ontologia a dare risposta alla sua domanda fondamentale. La filosofia in particolare,  riprendendosi il suo ruolo di disciplina che riesce a mettere in collegamento saperi e prospettive culturali diverse.


E la religione? La religione no, proprio perché le "oggettività" che produce sono  fortemente conflittuali: pensiamo ai contrasti fra teismo e ateismo, fra monoteismo e politesimo, e fra i monoteismi stessi!

19 gennaio 2011

Il 3 in filosofia: trascendentali, tricotomie, triadi, culture, regni, mondi...




Una serie di analogie, coincidenze, affinità, mi sta girando in testa da un po' di tempo e anche se non ho ancora approfondito la questione voglio intanto condividere queste idee, anche per vedere se altre coincidenze, analogie, affinità di questo tipo vengano in mente ai lettori di questo post.

Cominciamo dai trascendentali medievali: ogni cosa, dice Tommaso, in quanto tale è una, vera, buona.

Essere, verità e bene, dice Franca D'Agostini (in The Last Fumes), sono i tre concetti filosofici fondamentali, i tre concetti ineliminabili, inaggirabili.

Quando si tratta di tracciare una sintesi su quali siano i tipi fondamentali di oggetti, i tipi fondamentali di esistenza, o di oggettività, alcuni autori del Novecento o contemporanei sembrano richiamarsi uno all'altro: 
- Ferraris, recentemente, ha proposto un catalogo del mondo distinto in oggetti naturali, oggetti ideali e oggetti sociali
- Popper ha proposto di distinguere tre mondi: quello degli oggetti fisici, quello dei vissuti (psichici) e quello delle oggettività culturali.
- Frege ha distinto eventi fisici, eventi psichici e oggetti logici
- Penrose distingue il mondo matematico (platonico), il mondo fisico e il mondo mentale; solo una piccola parte del mondo matematico è importante per spiegare il mondo fisico, ma tutto il mondo fisico sembra essere governato da leggi matematiche; solo una piccola parte del mondo fisico dà origine ad attività mentali, ma tutte le attività mentali hanno una base fisica; solo una piccola parte dell'attività mentale riguarda il mondo matematico, ma tutto il mondo matematico sembra avere origine dall'attività mentale... (Come si spiega che ciascun mondo sembra includere tutto il mondo seguente in una paradossale circolarità triangolare?)


Queste tricotomie ontologiche possono essere riconsiderate alla luce della tripartizione delle scienze in scienze naturali, scienze esatte, scienze storico-sociali. Ciascun tipo di scienza ha un suo tipo di oggettività di riferimento: enti fisico-chimico-biologici, enti logico-matematici, azioni umane e loro prodotti.

Si può tentare anche una corrispondenza fra la tripartizione delle scienze sopra ricordate e i tre concetti fondamentali della filosofia secondo la D'Agostini: le scienze esatte si occupano, in fondo, di un valore fondamentale: la verità; le scienze naturali cercano incessantemente di cogliere l'essere (ciò che esiste realmente); le scienze storico-sociali, in quanto centrate sulle azioni umane e i loro prodotti, hanno il bene (individuale, collettivo, o inteso come qualità dei prodotti umani) come sfondo valoriale sempre presupposto o esplicitamente indagato.

Nella grande tripartizione del sistema hegeliano troviamo ancora una volta una riproposizione dei tre trascendentali: l'Idea (verità), la Natura (essere), lo Spirito (bene).

La triade di valori della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, solidarietà. Anche qui, in fondo, una analogia: la libertà con l'essere (uno), l'uguaglianza con la verità (corrispondenza fra...), la solidarietà col bene!

Trovate altre analogie o corrispondenze di questo tipo?

Ci sono poi tante triadi nel pensiero filosofico, ma qui usciamo mi pare dalle corrispondenze ontologico-conoscitive-valoriali che mi sembrano da approfondire e entriamo, credo, nell'amore per il numero 3 che il pensiero sembra avere come caratteristica intrinseca: la tripartizione dell'anima in Platone (e la corrispondente tripartizione in classi sociali), la tripartizione delle topiche freudiane, i tre modi di esistenza per Kierkegaard, le tre vie di uscita dalla volontà per Schopenhauer, le tre Critiche kantiane (e le tre corrispondenti domande fondamentali dell'uomo), la Trinità nella teologia cristiana, la legge dei tre stadi di Comte...

Altri 3 in filosofia?









2 gennaio 2011

Ipotesi sul senso della vita umana (e sul senso della cultura...)





Per l'individuo della nostra specie sono fondamentali due cose:
1) coltivare se stesso, prendendo e rielaborando ciò che di meglio gli altri ci trasmettono/ci hanno lasciato.
2) dare il meglio di sé agli altri, trasmettendo/lasciando tracce di sé.

La prima cosa si scinde in due passaggi: a) capire come, in quale modo, in quale campo, ci si esprime meglio/si possono esercitare meglio i propri talenti; b) coltivarsi, realizzare i propri talenti. (Sempre in rapporto con gli altri e l'umanità in generale)

La seconda cosa è legata al fatto che la specie continua ad esistere anche oltre la nostra morte, e questa è una grande consolazione (rispetto al fatto che la nostra esistenza terminerà): miglioriamo quindi la vita della specie (quindi anche dell'ecosistema in cui la specie esiste...)!
Se riusciamo a trasmettere qualcosa di noi agli altri, questo qualcosa, per quanto piccolo, continuerà ad esistere anche se noi non ci saremo più, anche solo nel modo in cui altri agiranno avendo imparato qualcosa da noi (tutto ciò ovviamente si concretizza maggiormente facendo figli ed insegnando loro qualcosa, o producendo qualcosa che entra in rapporto con altri migliorando la loro vita in qualche modo...)

La durata della specie: la grande consolazione dell'uomo (non religioso...)

Sapere con certezza dell'esistenza di altre forme di vita intelligenti oltre la nostra, a cui potersi "agganciare", sarebbe un'altra grande consolazione.