Che cos’è il soggetto? Cosa sono io? Io, inteso però non come soggetto personale: occorre distinguere fra “io personale” e “io puro”: soltanto un soggetto, un soggetto vuoto di contenuti personali.(1)
(1)Indagando su questo io puro, operiamo un’astrazione anche dal corpo, ma non dobbiamo dimenticarci di questa operazione, altrimenti l’io puro si trasforma in un mitico e misterioso “Soggetto assoluto”.
Il testo di questo post è una sintesi rielaborata tratta da
G. Piana, I problemi della fenomenologia, ed. orig. Mondadori, Milano 1966, oggi reperibile nel sito Archivio Piana in un’edizione curata da Vincenzo Costa ed immessa nel sito nell’aprile 2000. Si veda il capitolo IV: L’esperienza del tempo.
L’io puro non viene indagato in se stesso, ma come il punto in cui ha origine la molteplicità dei sui atti e il punto in cui convergono gli stimoli che il soggetto riceve passivamente o ai quali reagisce. L’io è centro di “irradiazione” (azioni, prese di posizione) e di “convergenza” (affezioni, emozioni, passioni).
Ma in che senso gli atti sono unificati fra loro? In che senso il soggetto è uno? Nella molteplicità dei suoi atti, il soggetto resta identico. Il senso di questa identità esprime il rapporto del soggetto con se stesso, in quanto polo permanente dei suoi atti. Ciò avviene nella riflessione, il rivolgersi a se stesso dell’io. Nell’agire, io sono fuori dal campo dell’attenzione, che è concentrata sull’oggetto. Nella riflessione, io divento tema di me stesso.
Ma questo implica una differenza temporale tra il soggetto che riflette ora e il soggetto tema della sua riflessione, che era riflettente poco fa. Io, ora, mi identifico con il soggetto che era riflettente poco fa. Il soggetto si costituisce riflessivamente, come un’identità riflessiva, ma l’identità non è già data come permanente; il soggetto si mantiene identico in un processo temporale di identificazione.
Emerge così il problema del tempo: in che senso il soggetto è temporale? Che cosa è il tempo?
L’idea “naturale” del tempo si è formata partendo dall’analogia con lo spazio, e si presenta come “un succedersi di punti temporali” disposti secondo una linea che dal passato attraversa il presente e “punta sul futuro”.
Questa teoria naturale viene messa tra parentesi.(2)
(2) Anche le teorie scientifiche vengono, in questo contesto della fenomenologia husserliana, messe fra parentesi. Piana dice esplicitamente che per la ricerca filosofica fenomenologicamente intesa, non può essere normativo il patrimonio scientifico positivo. È possibile un confronto diretto con le teorie scientifiche, che richiederebbe ricerche costitutive specifiche, ma ciò appartiene a un ambito di problemi che non vengono presi in considerazione in questo contesto.
Husserl sviluppa la sua concezione del tempo discutendo teorie filosofiche a lui contemporanee, in particolare quella di Brentano, secondo cui non vi è alcuna esperienza in cui il tempo ci sia dato come tale; il tempo si presenta come durata delle cose o degli eventi, come una loro qualità. Quindi occorre studiare il fenomeno dell’oggetto che dura, dobbiamo analizzare l’esperienza dell’oggetto temporale.
L’esempio migliore di oggetto temporale è quello di un suono, una nota musicale che rompe il silenzio, perdura per un po’, si spegne lasciando tornare il silenzio. Nel silenzio, il suono ascoltato permane ancora nel mio ricordo, poi scompare anche da esso.
In tutta la durata del suono, io ero sempre nell’ora: “ora sento un suono all’inizio”, “ora sento il suono iniziato che dura”, “ora il suono finisce”. “Ora” non è un istante temporale, né percepisco un succedersi di istanti temporali, ricomponendoli poi in un’unità. Nel corso della durata, ho esperienza del suono come un’unico suono, come una totalità che dura, in un presente che permane costantemente presente. All’istante finale (percepito come punto-ora) ho la coscienza di tutta la durata come trascorsa. L’istante iniziale viene ritenuto per tutta la durata del suono. L’ora stesso è durata, è un flusso, un continuum temporale.
Occorre allora distinguere tra il ricordo e la ritenzione. Il ricordo è la rievocazione di un evento completamente trascorso, in cui l’evento si dà in una rappresentazione immaginativa: il passato “non è reale” (non esiste più). La ritenzione è il mantenere nell’attualità della percezione la fase anteriore appena passata: vi è una modificazione, ma all’interno della percezione attuale stessa: non vi è il passaggio dalla realtà del presente all’irrealtà del passato.
Analogamente alla ritenzione, ma proiettata in avanti, invece che indietro, è la protenzione, l’anticipazione in cui si costituisce una dimensione temporale futura: l’impressione originaria anticipa sempre una nuova impressione originaria. Sul tema della protenzione sono illuminanti le sezioni 11-13 del capitolo II, intitolato “Il ricordo”, di un altro libro di Piana: Elementi di una dottrina dell’esperienza. Qui Piana ragiona su un un esperimento mentale:
Supponiamo allora di assistere ad un processo che si svolge nel tempo, ad esempio al movimento di una pallina che scorre sulla superficie di un tavolo. (…) Converrà inoltre assumere che la pallina possa muoversi come le pare – un’assunzione a cui non è necessario dare concretezza dal momento che essa ci serve soltanto per mettere fuori gioco le attese motivate dallo sfondo esperienziale.
Nessun commento:
Posta un commento