29 novembre 2009

Immaginare forme di esistenza più vicine alla realtà





A conclusione del primo post di questo blog (Spazio e tempo, ottobre 2008) scrivevo:

"In conclusione possiamo dire che il modo nuovo in cui la fisica ha elaborato le nozioni di spazio e di tempo, e in connessione con queste anche la nozione di cosa materiale (soprattutto con il concetto di campo), ci obbliga a rivedere i nostri significati del termine “realtà” e apre la nostra mente verso nuovi modi di pensare ciò che esiste, e quindi può fornirci anche categorie nuove per pensare la nostra esperienza. In particolare notiamo che l’evoluzione della fisica sembra mostrare ai filosofi, ma più in generale a tutti noi, che la realtà è spesso irriducibile alle coppie concettuali con cui cerchiamo di rappresentarla: spazio/tempo, passato/futuro, oggetti/eventi, sostanza/relazione, cosa/luogo, pieno/vuoto, corporeo/incorporeo, esistente/inesistente, discreto/continuo, e forse anche altre, sono distinzioni concettuali a cui siamo abituati ma che saremo costretti sempre più a rivedere (a meno che la filosofia, e la cultura in generale, non scelgano, come purtroppo spesso fanno, di ignorare i progressi della conoscenza scientifica)."

Credo sia sempre più vero, col progredire delle conoscenze scientifiche, che abbiamo bisogno di rinnovare il nostro apparato concettuale, ridefinendo concetti vecchi (restringendo il loro campo semantico) e dando vita a concetti nuovi.

Il concetto di sostanza, insieme a quelli di cosa e di oggetto, è forse quello che più lega la nostra mente e la condiziona a pensare in modo vecchio, soprattutto in quanto è su questi concetti che siamo abituati a pensare l'esistenza, l'essere.

Suggerisco un video che ha il pregio di aiutare la nostra immaginazione a superare i limiti del modo "cosale" e statico di pensare l'essere, e azzardo che forse la fisica contemporanea ha più da insegnarci in proposito rispetto a quanto può insegnarci Heidegger con le sue tesi sull'essere come evento... Con questo non voglio assolutamente svalutare il ruolo della filosofia: c'è un gran bisogno che qualcuno (e non può essere che un filosofo) ci dica come tradurre in ontologia le teorie fisiche più avanzate.

http://www.youtube.com/watch?v=0NxyJcawNME

Come suggerisce anche l'immagine scelta per questo post, di un illustre rappresentante della corrente dell'informale, intendo anche sostenere che contributi importanti per aiutare la filosofia in questo arduo compito di ripensare le modalità di esistenza possono venire dal mondo dell'arte.

23 novembre 2009

Cosa vuol dire essere darwinisti? (parte II)



Un autore che può aiutarci a costruire una nozione di "caso" più adeguata ai nostri scopi è sicuramente Georg Henrik von Wright (1916-2003), e in particolare una sua opera dal titolo Causalità e determinismo (1974).
Secondo questo autore quando parliamo di relazioni causali intendiamo riferirci a regolarità necessarie. La necessità causale va distinta dalla necessità logica. von Wright propone la seguente definizione di rapporto causale fra due eventi generici (A e B): A è condizione sufficiente di B se ogni volta che A si verifica anche B si verifica e se in tutte le occasioni in cui A non si verifica B si verificherebbe se A si verificasse. Una connessione causale è quindi in linea di principio descrivibile da una legge generale. Va però osservato che non possiamo in realtà essere certi della necessità causale, perché contiene un elemento controfattuale (B si verificherebbe se A si verificasse) : non possiamo interferire con il passato (non possiamo andare a vedere, nei casi in cui A non è accaduto, cosa sarebbe successo se fosse accaduto). Possiamo però interferire con il futuro e renderlo diverso da quello che altrimenti sarebbe. Vi è secondo von Wright un elemento controfattuale implicito nel concetto di azione. Agire significa interferire con il corso del mondo, cioè rendere vero qualcosa che altrimenti (cioè se non fosse stato per questa interferenza) non sarebbe divenuto vero del mondo a quel dato stadio della sua storia Quando agiamo siamo fermamente convinti (ma anche qui non possiamo esserne certi...) che se non agissimo le cose andrebbero secondo il loro corso "normale", in qualche modo prevedibile e "regolare" (qui immaginiamo di agire in un contesto naturale, privo di agenti umani). Se vogliamo corroborare la nostra ipotesi che la connessione fra l'evento A e l'evento B sia causale e quindi necessaria possiamo provocare artificialmente A e osservare le conseguenze (è in altri termini quello che fanno gli scienziati con i loro "esperimenti scientifici"). Per questo, secondo von Wright, il concetto di causa presuppone quello di azione. Se noi fossimo completamente passivi di fronte alla natura, se non avessimo la nozione della nostra capacità di compiere azioni, non avremmo familiarità con la nozione di controfattualità (l'idea di come sarebbe stato, se...) e non avremmo nemmeno il concetto di necessità che associamo a certe regolarità nel corso degli eventi naturali. Il concetto di necessità, se esteso a tutta la natura, produce l'idea del determinismo: se tutto ciò che accade ha una causa non esistono reali alternative nella storia del mondo. Quindi l'unico modo per pensare una storia del mondo realmente aperta, nella quale le cose sono andate in un certo modo ma avrebbero potuto (realmente, non solo logicamente) andare diversamente è sostenere che alcuni mutamenti accadono senza una causa. Ciò però non significa che non esista un loro antecedente temporale e/o contiguo nello spazio, ma solo che non esiste una connessione necessaria fra i due eventi: l'evento C ha provocato l'evento D, ma solo in quella circostanza. Il verificarsi di D, quindi, è una irregolarità, è contingente (cioè non necessario). La causalità pone delle restrizioni rispetto alle possibilità logiche di sviluppo del mondo (cioè rispetto a tutte le combinazioni possibili dei suoi elementi costitutivi). Il caso, invece, riporta gli sviluppi realmente possibili verso il numero di quelli logicamente possibili, quindi porta verso la grande variabilità, variazione, imprevedibilità. Una visione del mondo nella quale vi è spazio sia per la causalità sia per il caso è una visione che non è né determinista né indeterminista. Un indeterminista infatti riterrebbe che le alternative realmente possibili coincidano le alternative logicamente possibili e quindi non vi siano restrizioni alla "libertà" logica di sviluppo del mondo. Tornando alla questione della distinzione fra mondo fisico e mondo dei viventi si potrebbe allora dire che nel mondo fisico prevalgono relazioni causali fra gli eventi (ma sarebbe d'accordo uno studioso di meccanica quantistica?), mentre nel mondo dei viventi sono prevalenti relazioni casuali. La teoria dell'evoluzione riconosce l'importanza del caso nel mondo dei viventi, cioè riconosce l'importanza di relazioni uniche, irripetibili, irregolari, contingenti, fra gli eventi che riguardano gli esseri viventi e fra i loro componenti microscopici. Questa teoria ci insegna quindi che riconoscere l'esistenza del caso non significa rinunciare alla conoscenza e alla teorizzazione, bensì elaborare concetti adeguati agli oggetti che si studiano. Il problema filosofico sul caso in relazione alla vita e ai fatti dell'umanità è se una forte componente casuale nelle relazioni fra gli eventi introduca una svalorizzazione o no degli eventi stessi. Normalmente siamo portati a pensare che un evento necessario sia più importante di un evento casuale, ma forse proprio qui dobbiamo cominciare a cambiare idea: le vere novità, le vere svolte nella storia del mondo le introduce il caso, non la necessità! Il caso è creativo, la necessità è ripetitiva...

10 novembre 2009

Cosa vuol dire essere darwinisti? (parte I)

Nel suo ultimo libro Perché non possiamo non dirci darwinisti Edoardo Boncinelli propone una brillante sintesi sulla teoria dell'evoluzione incluso il neodarwinismo, con il dichiarato intento di restituire tale teoria alla scienza: non si tratta di una teoria filosofica. E' vero però, e anche Boncinelli sembra d'accordo, che è una teoria nella quale possiamo trovare punti di partenza per una riflessione filosofica sulla vita in generale e sull'uomo in particolare. Vorrei raccogliere alcune riflessioni che ho fatto leggendo il libro. A differenza del mondo fisico, dice Boncinelli, che "ha le sue leggi generali se non universali, i suoi principi particolari e locali e le sue regole applicative" il mondo della vita è diverso. "Qui non ci sono leggi universali e neppure principi particolari, mentre abbondano descrizioni e narrazioni, quasi sempre illustrate: la vita è una collezione di entità uniche, sostanzialmente irripetibili". La biologia è quindi in realtà una scienza storica, dice B.: "molte cose sono andate in una certa maniera, ma potevano anche andare in un'altra". Poco più avanti dice che anche il mondo fisico, secondo la cosmologia più recente, possiede una storia e una sua evoluzione. "Le differenze" (fra i due mondi) "risiedono nell'entità delle diverse scale temporali e nel fatto fondamentale che gli esseri viventi conservano una memoria esplicita degli eventi del passato". In altri termini: gli esseri viventi hanno un genoma, gli esseri inanimati no. Già in queste poche righe i motivi di riflessione sono molti, ma qui per ora vorrei soffermarmi su questo: in che senso possiamo dire che nel mondo della vita molte cose sono andate in una certa maniera ma potevano anche andare in un'altra? Su quali basi empiriche possiamo affermare la contingenza di un certo evento? "Tutto il processo evolutivo trae origine dal fatto che ogni tanto, per caso, nascono individui varianti in popolazioni naturali ma anche in popolazioni artificiali." "l'incostanza, il cambiamento incoercibile e il caotico procedere verso un futuro aperto è la cifra essenziale del biologico e in definitiva del vivente, in netto contrasto con l'assetto quasi regolare del mondo della fisica" Il fatto che le mutazioni genetiche siano casuali che significa? Significa "senza una direzione, una preferenza o una tendenza verso un fine particolare" (pag. 51) "Un fenomeno che avviene in modo casuale non significa che non abbia una causa: come ogni altra cosa ne avrà una o, meglio, più d'una. Solo che noi non la conosciamo (...) perché è impossibile, perché è difficile o semplicemente perché non vale la pena di cercarle. (...) quando la copiatura del DNA compie un errore causando una mutazione ci sarà certamente una causa (...) ma nel complesso non la vogliamo ricostruire perché è irrilevante rispetto al discorso generale. " In conclusione (pag. 53) "in questo contesto 'casuale' significa quindi più propriamente 'privo di una direzione e di una finalità specifica'". Su questa nozione di caso occorre approfondire. Intanto chiediamoci: se "casuale" significa "non finalizzato" non potremmo allora applicare tale definizione anche agli eventi del mondo fisico, cioè agli eventi che Boncinelli considera descrivibili da leggi generali e quindi "regolari"? Il fatto che accada una frana, uno smottamento, era forse finalizzato a qualcosa? Si dirà che però una frana, date le condizioni antecedenti, accade necessariamente, mentre le mutazioni genetiche no: sono accadute, ma avrebbero potuto non accadere. Ma abbiamo anche visto che Boncinelli non nega che anche gli eventi casuali abbiano cause. In che senso, allora, avrebbero potuto non accadere? In altri termini il problema che vorremmo affrontare è il seguente. Nella visione del mondo che Boncinelli propone vi è una differenza rilevante fra due "sfere ontologiche": il mondo fisico e il mondo vivente, l'ambito dei corpi inanimati e l'ambito degli esseri viventi. La differenza consiste a suo dire nel fatto che il primo è un mondo dove gli eventi accadono con regolarità e sono conoscibili tramite leggi generali o principi universali, mentre nel secondo mondo la caratteristica predominante è l'irregolarità, l'irripetibilità, l'imprevedibilità (anche se si possono studiare regolarità che riguardano "sezioni temporali" di questo flusso caotico di eventi). Il mondo dei viventi è il regno del caso, e sempre più spazio al caso viene lasciato nelle teorie neodarwiniste, cioè nelle versioni più aggiornate della teoria dell'evoluzione che tengono conto della genetica. Il problema è che nella definizione del concetto di caso che Boncinelli propone non vi sono elementi sufficienti a spiegare le differenze fra mondo fisico e mondo della vita che in termini generali egli efficacemente descrive. Se il caso non è secondo lui, come abbiamo visto, assenza di causa ma è solo assenza di fine non vedo sostanziali differenze col concetto di necessità. Un evento fisico, che accade regolarmente e secondo necessità, è provocato da una (o più) cause ma non ha un fine. L'idea di un finalismo negli eventi naturali è decaduta con la nascita della scienza moderna. Per spiegare e caratterizzare l'irregolarità di alcuni eventi fondamentali riguardanti la vita non basta dire che non sono diretti a un fine. D'altra parte se è vero che il concetto di caso è irrinunciabile nella teoria dell'evoluzione occorre elaborarne una definizione molto più precisa, anche perché attorno a questo concetto si gioca un discorso molto importante sul senso generale degli esseri viventi, uomo compreso.

29 ottobre 2009

Appunti per un sistema filosofico




Cosa dovrebbe contenere, oggi, un sistema filosofico?

Ho preso questi appunti cercando di rispondere:

Una presentazione dei principali “oggetti” matematici e logici degni di studio per il loro valore teorico e degni di contemplazione per il loro valore intrinseco (ad es. l’infinito)
Un’analisi dei principali concetti filosofici: essere, verità, identità, senso, realtà
Una sintesi delle scienze “strategiche” dal punto di vista di una visione generale della realtà naturale: cosmologia e biologia (teoria dell’evoluzione in particolare).
Una sintesi sull’uomo, sulla natura umana, che comprenda anche un’analisi dell’esperienza da un punto di vista fenomenologico (bisogno, volontà, emozione, percezione, ricordo, immaginazione, pensiero, azione) e una nuova teoria della sessualità.
Una riflessione sul senso della storia dell’umanità che sia connessa a un’interpretazione della contemporaneità.
Una riflessione fondativa sui valori costituzionali come valori-cornice all’interno dei quali possono esistere diversi sistemi valoriali personali o di gruppo (fil. politica)
Una riflessione sul senso di sé (orientamenti per l’esistenza)
Una riflessione sul senso degli altri (etica)
Una riflessione sulle principali forme di produzione culturale (l’arte, la religione, la filosofia, la scienza) e sui loro rapporti. Qui anche un chiarimento sul perché un sistema filosofico, in quanto tale, si pone come alternativo a una visione religiosa...

Il bisogno di una filosofia della sessualità




In un'intervista recente nella quale gli si chiedeva di commentare la bocciatura della legge contro l'omofobia (su Repubblica del 14 ottobre 2009) Gianni Vattimo conclude con queste parole: "In realtà la cultura anti-gay preesiste al cattolicesimo. La Chiesa, invece, potrebbe cambiare molte cose in materia di sesso e aiutarci tutti ad essere più liberi, ma non lo fa. E questa è la sua vera colpa. Non vuole metterci in condizione di mutare la nostra percezione del sesso, lasciando piuttosto che esso resti 'le sale petit secret', 'lo sporco piccolo segreto' di cui parlava Gilles Deleuze. Il sesso resta così uno 'scandalo', uno scandalo aumentato dalla mercificazione che gli è stata imposta dal capitalismo. Alla fine, saremo travolti da questa concezione del sesso." "E cosa bisognerebbe fare, allora?" chiede il giornalista. "Se ne fossimo capaci, dovremmo davvero fare una rivoluzione in campo sessuale. Nel senso che dobbiamo scegliere: o sappiamo darci un modo del tutto nuovo di concepire la sessualità o altrimenti resteremo prigionieri di questo status quo."

Sono pienamente d'accordo sulla necessità di ripensare a fondo i concetti con i quali pensiamo (e comunichiamo) la sessualità in generale, proprio per erodere dal nostro linguaggio e dal nostro pensiero tutte le incrostazioni cuturali e storiche che si portano dietro visioni distorte e confuse e rintracciare anche le evenutali origini "fenomenologiche" di certe associazioni (il sesso come qualcosa di scandaloso, sporco ecc). Ad esempio una cosa banale: il fatto che gli organi sessuali e un'importante zona erogena siano anche i punti dai quali il corpo espelle i propri rifiuti.

Cfr. in questo blog Verso una filosofia della sessualità, ottobre 2008

Segnalo un libro uscito di recente che forse può essere utile in tal senso (ne ho da poco iniziato la lettura e vorrei in futuro presentarne qui una sintesi critica):
Michel Onfray, La cura dei piaceri. Costruzione di un'erotica solare, Milano, Ponte alle Grazie 2009, ed. orig. Flammarion 2008.

14 ottobre 2009

Due animazioni per la Toccata e fuga in re minore

E' forse il pezzo più famoso di Bach.
Vediamo due modi molto diversi di illustrarlo con le immagini animate.

A che scopo? Perché "illustrarlo"? Il dubbio è che le immagini potrebbero distogliere dall'attenzione verso la musica, o potrebbero voler "imporre" un certo senso, mentre l'immaginazione di chi ascolta dovrebbe essere libera e guidata solo dai suoni... Ma le immagini, nel primo dei due video, servono secondo me individuare meglio la "struttura" del pezzo e quindi dovrebbero contribuire a migliorarne la comprensione.
Nel secondo, invece, occorre rendersi conto che si tratta di un accostamento del tutto soggettivo e che non ha nessuna pretesa di aiuto alla comprensione ma è solo un esempio di quali immagini visive possono essere in qualche modo poste in relazione al pezzo.

Il primo appartiene a una modalità che già conoscete bene se avete letto i post precedenti (a partire da quello sulla "tempestosità delle note ribattute"): si tratta di "the Music Animation Machine" di Stephen Malinowski (ha un suo sito facilmente rintracciabile da YouTube), una sorta di "notazione musicale grafica" molto simile in realtà alla notazione tradizionale ma più intuitiva e vivace (anche per l'uso del colore che sottolinea le differenti linee melodiche) e nella quale la partitura scorre e viene "illuminata" man mano che la musica procede.


Per il secondo video (dello stesso autore di alcuni video del post precedente) è forse improprio parlare di "illustrazione" della composizione bachiana, nel senso che in realtà qui credo l'intento non fosse quello di partire dalla musica e cercare di "renderla visibile" attraverso un'animazione, bensì quello di creare innanzitutto un divertimento visivo e trovare poi una "colonna sonora adeguata" (anche perché il brano è tagliato all'inizio e le immagini cominciano a scorrere dopo alcuni secondi e finiscono prima della fine della musica). Di fatto però ho l'impressione che l'autore abbia poi in alcuni punti, e soprattutto verso la fine, cercato di sincronizzare aspetti del video con aspetti della musica. In ogni caso la "grandiosità" e il muoversi maestoso dei suoni in tutta l'ampiezza dello spazio sonoro trovano un corrispondente, secondo me, nelle immagini. Consiglio la visione a schermo intero e in HQ.

Meraviglie del contrappunto






Il contrappunto è una tecnica compositiva che consiste letteralmente nel contrapporre punto a punto, cioè nota a nota, ovvero consiste nell'intrecciare linee melodiche autonome in modo che si incastrino armonicamente. L'effetto per l'ascoltatore è quello di assistere a un evento che si svolge su più livelli, con più dimensioni (tante quante sono le linee melodiche) e ne riceve in genere una sensazione di complessità ordinata o potremmo anche dire di molteplicità non caotica. Siccome questa sensazione corrisponde secondo me a quella che spesso ci trasmette la realtà se cerchiamo di considerarla nel suo insieme, il contrappunto può aiutarci a pensare un futuro sistema filosofico, che pretenda appunto di abbracciare col pensiero tutta la realtà (se non almeno quella di cui abbiamo esperienza...) cercando di mettere ordine al guazzabuglio concettuale che inevitabilmente si genera rispetto a tale pretesa.
Propongo come primo esempio l'ascolto della Fantasia in fa minore di J.L. Krebs per oboe e organo, nella versione trascritta e visualizzata da Stephen Malinowski, notevole per la calma (sottolineata anche dai timbri felpati e vellutati) con la quale il compositore intavola una grande quantità di linee melodiche, ben intrecciate ma anche sufficientemente distinguibili.
Se avete apprezzato siete pronti a godervi anche i successivi brani che vi propongo, tutti del grande J. S. Bach:
il contrappunto I dell'Arte della fuga, in una versione per flauti dolci: http://www.youtube.com/watch?v=-a6KUAONwzM
il preludio e fuga 20 dal I libro del Clavicembalo ben temperato: http://www.youtube.com/watch?v=Qj4lPhfG98o
il terzo movimento del Concerto Brandeburghese n. 4: http://www.youtube.com/watch?v=8cN9GjL4q_o
Naturalmente gli esempi potevano essere molti altri, ma questi mi sembrano particolarmente chiari e godibili e, spero, fonte di ispirazione per i filosofi di passaggio...

2 ottobre 2009

Se fosse umano

Una lince canadese. Se fosse un volto umano, che espressione avrebbe? Mi sembra in equilibrio perfetto tra l'ironico e il serio e non so decidermi.
Comunque, ecco un esempio del bello di natura.

1 ottobre 2009

Tornare al sistema


In Barlumi per una filosofia della musica (2007) Giovanni Piana scrive, nella sezione iniziale del libro,

– Pensare non significa affatto gettare un pensiero qui e un altro là. Un pensiero soltanto non è nemmeno un pensiero. Il pensiero deve essere, in un modo o nell’altro, organico.

– Non è affatto il caso di guardare con sospetto i “sistemi filosofici” del passato proprio perché essi non erano altro che modi, spesso mirabili, di realizzare quell’esigenza sistematica che fa parte del pensiero stesso. D’altra parte, scoprirai prima o poi che ogni sistema, considerato da vicino si frantuma in una infinità di problemi di dettaglio, e che autori che vengono lodati per la libertà intrinseca che sarebbe concessa da uno stile frammentario, nei mille e mille pensieri che propongono, hanno alcuni pochi pensieri fondamentali che formano i centri intorno a cui gravitano tutti gli altri.

In un testo di due anni dopo, Un percorso attraverso i problemi della filosofia della musica, Piana parla del testo precedente, spiega che è “fatto di frammenti, pensieri rapidi, analogie, citazioni di altri autori, talora commentate, talaltra no.” e ribadisce che “nonostante questa scelta di stile, continua piacermi un pensiero fortemente organizzato. In altre parole, ho una certa nostalgia per il “sistema filosofico” – non esito a confessarlo.” (Nel 1991 Piana aveva pubblicato un testo, Filosofia della musica, fortemente organico e sistematico.)


Mi interessa qui sottolineare questa tesi secondo cui il pensiero, e quindi la filosofia, ha intrinsecamente una vocazione sistematica. Mi trovo d’accordo e trovo una analogia con quanto sostiene Franca D’Agostini nei suoi lavori, in particolare in Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza, e cioè l’esigenza che la filosofia torni ad essere teoria generale. Sostiene che: “Le discipline filosofiche sono diventate fiduciose in se stesse, mentre la filosofia generale, o meglio la metafilosofia, continua a mantenersi fedele alle limitazioni di un tempo” (qui intende la tesi postmodernista dell’impossibilità di produrre metateorie globali, che giudica in realtà insostenibile perché auto contraddittoria: è una teoria della fine delle teorie…). La D’Agostini si propone di mettere ordine nella situazione metafilosofica attuale, mostrando convergenze sui metodi e sugli obiettivi generali che tutte le ricerche filosofiche di fatto in qualche modo presuppongono : ci sono di fatto accordi fra chi opera nello stesso settore disciplinare (e il pluralismo casomai è proprio nella proliferazione dei settori specialistici della ricerca filosofica, ma ciò non deve destare preoccupazione così come non la desta il proliferare dei settori di ricerca scientifica). L’indagine sui concetti fondamentali (ciascuno dei quali racchiude uno o più problemi filosofici tradizionali) è il terreno comune su cui i filosofi possono ancora confrontarsi.

Tornando alle affermazioni di Piana credo si possano sviluppare dicendo che il pensiero tende di per sé al sistema in quanto i concetti fondamentali sono collegati di fatto uno all’altro e quindi indagandone uno si finisce per essere portati a indagare quelli ad esso vicini e così via.

Ancora, però, di veri e propri nuovi sistemi filosofici non mi pare ce ne siano… Coraggio filosofi! Bisogna osare! Magari anche solo abbozzare sistemi, disegnarne lo scheletro. Pensare a cosa dovrebbe contenere un sistema filosofico attuale.

Proviamo a fare come Borges, che per vincere la resistenza a scrivere in modo narrativo cominciò a scrivere una recensione a un romanzo immaginario.

Proviamo a scrivere una recensione a un immaginario sistema filosofico attuale, a descriverlo come se esistesse anche se ancora non esiste...

vedi Appunti per un sistema filosofico
cfr.  Qualcosa esiste, ma come?

29 settembre 2009

Gradazioni di senso


Nel Tempo ritrovato, l'ultimo volume della Recherche, il Narratore capisce improvvisamente come può iniziare a scrivere, capisce come può trasformare la sua stessa vita in arte, o meglio capisce come i momenti più significativi e intensi della propria vita possano diventare arte trasformandosi in immagini, in narrazione densa di pensiero. Contemporaneamente Proust sta anche quindi "svelando" il procedimento con cui ha costruito la Recherche.
A questo proposito Elio Franzini, in Arte e mondi possibili. Estetica e interpretazione da Leibniz a Klee, scrive: "(...) solo gli storicisti e i narcisisti credono che tutto il tempo che si è vissuto sia 'vero'
- autentico e sensato - solo perché lo si è vissuto. (...) Proust vuol dire, pur nel dolore che questo comporta, che non tutto ciò che si vive ha un senso: ha un senso ciò che dura, ciò che sa attraversare il tempo, ciò che sa recuperare il tempo.".

Proviamo a riflettere sulla differenza di significato delle seguenti proposizioni:

(1) Tutta la nostra esperienza ha un senso

(2) Non tutta la nostra esperienza ha un senso.

Si potrebbe dire che sono vere entrambe, ma che fra le due avviene uno slittamento del significato del concetto di SENSO. La (1) ha a che fare con il principio di ragione sufficiente: dice che c'è un livello di base nel quale ogni cosa che facciamo, che viviamo, che ci capita, ha uno o più motivi, ragioni (o fini) e ce l'ha anche se questi ci sfuggono o non dipendono da noi.
Ma a questo livello non è possibile distinguere un'esperienza da un'altra, non è possibile fare differenze di valore tra esperienze diverse, quindi non è possibile spiegare, ad esempio, perché scegliamo un'esperienza piuttosto che un'altra.
La (2) intende invece mettere in evidenza proprio le differenze di valore tra le esperienze.

Una mediazione fra la (1) e la (2):

(3) Alcune esperienze hanno più senso di altre.

Il SENSO, quindi, non sarebbe qualcosa che si può semplicemente avere o non avere, ma ammetterebbe gradazioni, sfumature.

Cfr. il post, in ottobre 2008, Ontologia come valorizzazione

28 settembre 2009

Tempestosità delle note ribattute: Scarlatti (ancora!): sonate K141 e K455



Cosa succede se un compositore inserisce nelle linee melodiche dei segmenti nei quali ripete più volte la stessa nota?
L’effetto è simile a quello di un martello… quindi comunica forza, decisione, tenacia...
E se a questo si associa la velocità?
Ascoltate e guardate questa sonata di Scarlatti, la K455, in una versione molto particolare curata da Stephen Malinowski


In un’altra sonata, la K141, la ripetizione di una stessa nota a grande velocità è utilizzata fin dal principio. Tutta la sonata mette in evidenza il carattere percussivo della tastiera, e l’effetto tempestoso è accentuato dall’inserimento di sezioni dove la ripetizione martellante parte dalla regione grave dello strumento per poi spostarsi gradualmente, come in una cavalcata, verso la regione media, con incursioni saltellanti fra l’acuto e il grave. Ve la propongo in una versione recente nella quale Martha Argerich, con l’aria di una vecchia volpe, attacca improvvisamente a suonare, quando ancora gli applausi per il suo ingresso in sala non si sono del tutto spenti, con una velocità sorprendente (che lascia però intravedere abbastanza chiaramente la struttura del pezzo):
Una versione per clavicembalo nella quale è ben evidenziato l’aspetto ritmico (in sestine) è la seguente, di Aline d'Ambricourt: http://www.youtube.com/watch?v=HLuYLN_k4lA. Altra versione per pianoforte, ma più lenta e con sottolineature molto diverse da quella della Argerich, è quella di Gilels http://www.youtube.com/watch?v=sZVwrYDCbCA. Un’ interpretazione molto percussiva, ma per clavicembalo, è quella di Rousset: http://www.youtube.com/watch?v=KdF_S57fyK8. In un altro video possiamo sentire e vedere sulla stessa sonata una Argerich giovane e focosa (ci sono differenze soprattutto nel finale, rispetto alla versione recente che ho proposto poco sopra): http://www.youtube.com/watch?v=PcsRl_LIJHA

18 settembre 2009

Importanza dell'interpretazione: la sonata K 27 di Scarlatti (aggiornamento 26/10/ 2023)


Ho raccolto undici versioni della stessa sonata.
Domanda difficile: la vera sonata, quella che aveva in mente Scarlatti quando l'ha scritta, esiste? Potremo mai ascoltarla?
Le ho ordinate per durata, dalla più breve alla più lunga.
La prima, la più corta, è talmente veloce che finisce per essere confusa e non intellegibile (anche perché il pianista vuole strafare con la velocità e ci infila qualche sbavatura): decisamente non ci siamo! (Anzi, se non conoscete già la sonata in questione vi consiglio di ascoltare prima la versione successiva, quella di Michelangeli, per non rovinarvi l'impressione originaria, che è sempre importante...)
 Jack Gibbons minuti: 2.00
La seconda è una versione celeberrima, di Benedetti Michelangeli (minuti: 2.47):
Per me è la versione "originaria", la prima che ho ascoltato e che mi ha dato l'imprinting. Per molto tempo, per me, esisteva solo quella versione, nel senso che non ne conoscevo altre. E' sempre molto veloce, come vedete è al secondo posto in ordine di durata, ma qui siamo su un livello eccelso per uniformità di timbro e chiarezza.
La versione successiva ( Annarita Santagada: 3.03) ha qualcosa di buono, ma giudicate voi stessi: http://www.youtube.com/watch?v=IBDhSszbqig
Debargue (3.06) fa dei rallentati espressivi che mi piacciono, però a tratti corre un po' troppo, secondo me.
Versione live del grande clavicembalista Scott Ross (3.22): a parte la differenza data dal clavicembalo rispetto al pianoforte, il tempo è qui più lento e quindi tutto è più "meditato", pur mantenendo una buona scorrevolezza. Questa interpretazione marca una differenza sostanziale rispetto a quella di Michelangeli... sembrano quasi due sonate diverse, sono come due "cose" diverse.
(Una versione non live sempre di  Scott Ross dura 4.22: più pulita e di qualità migliore come registrazione, e ancora più "meditata"...)
Segue una versione estremamente interessante, di un giovanissimo pianista, Edoardo Ciccimarra: 3.33. Cosa strana: complessivamente dura qualche secondo di più della versione live di Scott Ross, ma ascoltandola sembra un'esecuzione più veloce. Com'è possibile? Il trucco sta nel fatto che Ciccimarra usa velocità diverse all'interno della stessa esecuzione, usando la velocità (i rallentandi immprovvisi o le impennate) come strumento espressivo. E' una versione molto densa emotivamente e l'espressività non mi pare tradisca la chiarezza, anzi sottolinea meglio la struttura del pezzo. Notevolissimo!!! 
http://www.youtube.com/watch?v=VA0-XpjoUus [purtroppo in seguito il video è stato rimosso e non è più rintracciabile... Perché?? (chiedo a Edoardo)]
Segue una versione per pianoforte piuttosto lenta, meditata, ma con un bel tocco vellutato... le note si sgranano fluidamente e con grande limpidezza: Mark Swartzentruber ( 3.47)
Per curiosità inserisco anche una versione per chitarra, interessante ma imprecisa e "ridotta", di Jennifer Kim. (la durata complessiva non è confrontabile perché l'esecuzione non è completa).
Versione di Murray Perahia (3.51): usa troppo pedale, secondo me, ma la tenuta espressiva c'è.
La versione di Benjamin Åberg (4.16) è un po' sulla scia di Ross, comunque dignitosissima e con abbellimenti (stessa versione, animata da Smalin, per chi ama "vedere"...)
Andrei Andreev (4.46): anche lui fa delle variazioni di velocità con intenti espressivi, a volte rallenta esageratamente, ma è una versione appassionata.
Infine una versione lentissima, esageratamente lenta, dove secondo me con l'intento di dare una versione analitica e intensa si finisce per "sfasciare" l'efficacia emozionale del pezzo (un po' lo stesso difetto, ma per motivi opposti, della prima versione velocissima...): è la versione di Gilels : 4.55 minuti

Chi preferire fra tutti? Confesso che l'interpretazione di Ciccimarra mi ha conquistato... ma sono ben consapevole che non è un'interpretazione che tende all'oggettività (le variazioni di velocità non sono scritte nella partitura...), del resto forse il bello è proprio qui, forse la verità dell'interpretazione sta proprio nel modo di "tradire" il testo per arrivare a ciò che sta "dietro": la struttura, le emozioni, le immagini. Si ripropongono allora le questioni che ho sollevato all'inizio...

P.S. la sonata si trova anche nella colonna sonora (ritorna più volte nel corso del film) di Racconto di Natale del regista Arnaud Desplechin (Un conte de Noël. durata 150 min. – Francia 2008), dove compare in due diverse interpretazioni: una di Marcela Roggeri e una di Scott Ross.

17 settembre 2009

Un volto non "umanizzabile"

Qui, di fronte a quest'immagine, non riesco a dire che espressione abbia questa faccia (come invece posso fare per l'aquilotto di un post precedente): è troppo diversa dall'umano per poter essere interpretata... non è una "faccia"! Posso dire che l'ape "non ha un volto"?
E' una forma di vita già un po' troppo diversa da noi per poterle attribuire uno stato d'animo.
E' sicuramente viva, appartiene alla natura. Allora qualcosa in comune con noi ci deve essere. Cosa abbiamo in comune?

7 settembre 2009

Baricco come filosofo: appunti su "I barbari"

Non so quanta risonanza abbia avuto nell'ambiente filosofico questo testo, uscito per la prima volta a puntate su "la Repubblica" nel 2006, ma certamente merita attenzione da parte dei filosofi (e degli insegnanti, di filosofia ma non solo) per vari motivi, innanzitutto la capacità di pensare il proprio tempo e comunicare questi pensieri in modo accessibile al lettore di media cultura. Baricco stesso è consapevole della valenza filosofica dei suoi ragionamenti: "Lo so" dice a pagina 92 dell'edizione Feltrinelli "che l'ermeneutica novecentesca ha già prefigurato, in maniera molto sofisticata, un paesaggio del genere. Ma adesso che lo vedo diventato operativo in Google, nel gesto quotidiano di miliardi di persone, capisco forse per la prima volta quanto esso, preso sul serio, comporti una reale mutazione collettiva, non un semplice aggiustamento del sentire comune". Non è mia intenzione, qui, riassumere l'articolazione del libro. Non spiegherò quindi cosa c'entra Google, così come tutti gli altri esempi concreti che Baricco fa per sostenere il suo discorso (il vino, il calcio, i libri...). La tesi fondamentale di Baricco è che nel Novecento, a un certo punto, scatta un mutamento epocale nel modo di fare esperienza, nel modo di intendere e dare senso all'esistenza. C'è un prima e c'è un poi, rispetto a questo mutamento epocale: il prima lo chiama "civiltà" e il poi "barbarie", ma avrebbe potuto benissimo usare anche altri termini. Il prima, la "civiltà", di cui si occupa Baricco è l'epoca che parte con l'Umanesimo e si compie col Romanticismo (la modernità). Là regnava l'idea che capire e sapere volessero dire "entrare in profondità in ciò che studiamo, fino a raggiungerne l'essenza". L'essere, il valore, lo si cercava in ciò che era eterno, permanente, perfetto, e fare ciò richiedeva tempi lunghi, fatica, pazienza, tenacia, un percorso selettivo di crescita spirituale. Poi, a un certo punto, succede che ci si rende conto che "la sproporzione fra il livello di profondità da attingere e la quantitità di senso raggiungibile è diventata clamorosamente assurda (...) La mutazione barbara scocca nell'istante di lucidità in cui qualcuno si è accorto di questo: se effettivamente scelgo di dedicare tutto il tempo necessario a scendere fino al cuore della Nona (di Beethoven), è difficile che mi resti del tempo per qualsiasi altra cosa: e, per quanto la Nona sia un giacimento immenso di senso, da sola non ne produce in quantità sufficiente alla sopravvivenza dell'individuo." Si passa così al modo "barbaro" di intendere il valore, il senso, l'essere: superficie invece che profondità, movimento invece che permanenza, slittare velocemente sulla superficie delle cose mirando a una traiettoria che colga il senso nel rapporto fra le cose, negli eventi, nelle sequenze, nelle storie... Meno verità in cambio di più comunicazione. "Viaggi al posto di immersioni, gioco al posto di sofferenza". Per molti, oggi, "il sapere che conta è quello in grado di entrare in sequenza con tutti gli altri saperi". "Abitare più zone possibili con un'attenzione abbastanza bassa è quello che evidentemente loro (i barbari) intendono per esperienza." Certo viene in mente la leggerezza di cui ha tanto parlato Vattimo, l'indebolimento del pensiero che deve secondo lui corrispondere all'indebolimento dell'essere stesso (l'essere come evento di cui ha parlato Heidegger), ma vengono anche in mente la leggerezza e la velocità che Calvino metteva a fuoco come valori del prossimo millennio nelle Lezioni americane. E' cambiata, quindi, l'idea di cosa è importante e di cosa non lo è. Il problema però, dice Baricco, è che noi ci troviamo in un momento nel quale i due modi di intendere il senso e il valore delle cose, quello "vecchio" e quello "nuovo", coesistono: "siamo in bilico tra due visioni del mondo, e tendiamo ad applicarle, simultaneamente, tutt'e due. Da una parte conserviamo ancora tiepido il ricordo di quando il senso delle cose era concesso a chi avesse la purezza e il rigore di risalire il corso del tempo, e di accostarsi al luogo della loro origine. Dall'altra sappiamo ormai bene che esiste solo ciò che incrocia le nostre traiettorie, e spesso esiste solo in quel momento". Emblematico di questa condizione doppia è il binomio scuola (civiltà)/televisione (barbarie), una schizofrenia che gli adolescenti vivono quotidianamente. "E in mezzo, tra televisione e scuola, c'è tutto il campo aperto della cultura e dell'entertainment (...). Tramandare la civiltà o convertirsi alla barbarie?" Baricco propone una sensatissima via di mezzo che potremmo sintetizzare dicendo tramandare barbaricamente la civiltà o convertirsi civilmente alla barbarie. Un nocciolo ideale che può germogliare in molte direzioni sia per quanto riguarda la politica culturale sia il mondo della formazione in generale. Una riflessione critica, a questo punto, posso permettermi di avanzarla. Il mutamento epocale che Baricco descrive, e che pare corrispondere alla heideggeriana "fine dell'epoca metafisica", viene da lui descritto con delle coppie concettuali: profondità/superficie, verticale/orizzontale, gravità/giocosità, eternità/mutamento, essere/divenire, identità/differenza... Queste opposizioni, in fondo, non si sono già presentate più volte nel corso della storia del pensiero? Non corrispondono, in qualche modo, alle coppie Parmenide/Eraclito, Platone/Aristotele, metafisica(razionalismo)/empirismo? Questo non per dire "nulla di nuovo sotto il sole", ma per dire che probabilmente la tradizione filosofica può fornire gli strumenti migliori per pensare questa condizione contemporanea così ben descritta da Baricco. E per dire anche che forse le grandi ricostruzioni nietzscheane e heideggeriane (per non dire severiniane...) della tradizione filosofica (che riducono tutta la storia della filosofia ad un unico denominatore comune) sono semplificazioni eccessive che oscurano la ricchezza e la complessità storica del pensiero occidentale. Altra considerazione è che non a caso la filosofia gode oggi, a quanto si dice, di una ripresa di interesse: si tratta infatti di una disciplina che allena e forma la capacità di collegare, "unificare"-generalizzare, semplificare, tradurre, mostrare la sequenza. In altri termini la filosofia ha una vocazione "barbarica" per il suo cavalcare sull'onda dei saperi senza la pretesa di scendere nella profondità di ciascuno ma cogliendo trame, percorsi, sensi, nessi, tenendo conto contemporaneamente di più punti di vista possibili. Al tempo stesso ha una vocazione "civile" perché aiuta a riportare ciascun sapere al suo fondamento, aiuta a ritrovare la sua origine.

2 agosto 2009

Libertà e necessità nella "natura umana". Gradi di libertà.

Penso che un certo grado di libertà, che esiste in misure diverse, in gradazioni diverse, sia un punto di arrivo, non certo un punto di partenza, una dotazione "naturale" della "natura umana" (come invece nell'idea che l'uomo sia stato "fatto" con una dote speciale, il libero arbitrio, la libertà di scelta del proprio destino o della propria natura): una certa libertà è un obiettivo che possiamo raggiungere, con con fatica e difficoltà. Ma c'è anche, rispetto alla libertà, il problema di come ci poniamo nei confronti degli altri. Da un lato (e qui penso soprattutto a Spinoza) è bene cercare di capire, comprendere il comportamento altrui, perché inserendolo nella trama delle necessità riusciamo a provare compassione, riusciamo a trovare quel sentimento etico indispensabile per evitare la violenza, la sopraffazione, lo sfruttamento… D’altra parte però è anche giusto considerare gli altri come responsabili delle loro azioni, e quindi considerare il loro comportamento come frutto di scelte (almeno in parte) libere, e qui può nascere anche, oltre all’ammirazione o all’approvazione, l’odio, la rabbia, la condanna…

Forse dovremmo cercare di capire in che misura gli altri sono liberi e “rispondere” al loro comportamento di conseguenza, così come non ha senso arrabbiarsi con un bambino che non rispetta alcune regole che ancora non può capire. Il bambino ha un basso grado di libertà, mi verrebbe da dire, e quindi dobbiamo soprattutto comprendere la necessità del suo comportamento, le ragioni per cui agisce in un certo modo, non possiamo considerarlo un soggetto che sceglie consapevolmente, che “padroneggia la sua vita”. Un adulto, invece, almeno in parte sì.

Il problema è entrare nel merito di questi “gradi” di libertà, nel merito di questa mescolanza di libertà e destino, che in ognuno sono impastati in forme e rapporti diversi, e con ciascuno avere la “reazione” appropriata…

Il modo giusto di "rispondere" al comportamento di chi mi sta di fronte presuppone la comprensione del grado di libertà che l'altro ha raggiunto.

6 luglio 2009

Kant e il desiderio di non-genitorialità


La decisione (nel senso di scelta consapevole e motivata, non dovuta a ostacoli fisici, materiali) di non fare figli (pur essendo nella condizione di poterli fare), ad esempio per avere più tempo da dedicare alla vita di coppia o alla propria professione, rispetta la forma morale prescritta dall'imperativo categorico?

Sembrerebbe di no (ricordiamo che l'imperativo categorico, perno dell'etica kantiana, prescrive che la massima che regola il nostro comportamento debba poter essere una massima universale, cioè generalizzabile a tutta l'umanità): se tutti facessero questa scelta, se tutti decidessero di non fare figli si estinguerebbe il genere umano!

Ne consegue, allora, che fare figli è un dovere morale (per chi segue l'etica kantiana)?

22 giugno 2009

uno sguardo intenso...

... sembra anche severo, ma certamente si tratta di un'attribuzione indebita: una lettura umana di una forma di vita non umana.


"Sono emozionato" (etica della comunicazione)


Sentiamo sempre più spesso la frase "Sono emozionato" senza che venga detto di quale emozione si tratta. La parola "emozione" è molto utilizzata in senso generico ma copre una pigrizia nel discernere e dare un nome a ciò che si sta provando. Si tratta di paura? preoccupazione? rabbia? imbarazzo? commozione? gioia? Sforzarsi di nominare, spiegare con precisione, magari con una o più frasi invece che con una sola parola, renderebbe la nostra comunicazione molto più razionale ed efficace. Il problema è che dietro a questa precisione linguistica dovrebbe esserci una capacità di lettura, di comprensione delle proprie emozioni, che spesso manca. Già renderesene conto, però, serebbe un primo passo. Una domanda sottile, sottovoce, dovrebbe sempre accompagnarci: "Cosa sto provando in questo momento?" "Cosa (quale emozione) sento?".