21 giugno 2012

L'ultimo libro di Franca D'Agostini: come diventare cittadini-filosofi attraverso lo studio della logica nella sua accezione più ampia



Un video nel quale la mia filosofa preferita spiega le ragioni e le tesi principali del suo ultimo libro: "I mondi comunque possibili. Logica per la filosofia e il ragionamento comune", un manuale di logica che insegna come "pensare in grande", cioè insegna come tutti noi possiamo raffinare e potenziare le nostre capacità di ragionamento e argomentazione per poter essere cittadini consapevoli e responsabili, liberi di sottoporre a critica l'esistente e immaginare mondi possibili migliori di quello attuale.

20 giugno 2012

Il dibattito Vattimo/D'Agostini prosegue su La Stampa

La metafisica è finita
filosofiamo in pace

La Conclusione di Vattimo a un volume di saggi in suo onore. Una "questione di metodo" contro ogni pretesa di dominio

GIANNI VATTIMO
Un problema preliminare, con cui la filosofia contemporanea non può non fare i conti se vuole esercitarsi ancora come filosofia, e non solo come saggistica o come industriosità storiografica sul pensiero del passato, né ridursi a pura disciplina ausiliaria delle scienze positive (come epistemologia, metodologia, logica), è quello posto dalla critica radicale della metafisica. Bisogna sottolineare qui l’aggettivo «radicale», perché solo questo tipo di critica della metafisica costituisce davvero un problema preliminare ineludibile per ogni discorso filosofico consapevole della propria responsabilità. Non sono radicali quelle forme di critica della metafisica che, più o meno esplicitamente, si limitano a considerarla come un punto di vista filosofico fra altri, una scuola o corrente, che per qualche ragione filosoficamente argomentata bisognerebbe oggi abbandonare. […]

La critica della metafisica è radicale, e si presenta come un problema preliminare ineludibile, una vera e propria «questione di metodo», là dove si formula in modo da non colpire solo determinati modi di far filosofia o determinati contenuti, ma la stessa possibilità della filosofia come tale, come discorso caratterizzato da un suo statuto logico e anche, inseparabilmente, sociale. Il maestro di questa critica radicale della metafisica è Nietzsche. Secondo lui, la filosofia si è formata e sviluppata come ricerca di un «mondo vero» che potesse fare da fondamento rassicurante alla incerta mutevolezza del mondo apparente. Questo mondo vero è stato di volta in volta identificato con le idee platoniche, con l’aldilà cristiano, con l’ a priori kantiano, con l’inconoscibile dei positivisti, finché la stessa logica che aveva mosso tutte queste trasformazioni - il bisogno di cercare un mondo vero autenticamente tale, capace di resistere alle critiche, di «fondare» - ha condotto a riconoscere la stessa idea di verità come una favola, una finzione utile in determinate condizioni di esistenza; tali condizioni sono venute meno, e questo fatto si esprime nella scoperta della verità come finzione.

Il problema che Nietzsche vede aprirsi a questo punto, in un mondo dove anche l’atteggiamento smascherante è stato smascherato, è quello del nichilismo: dobbiamo davvero pensare che il destino del pensiero, una volta scoperto il carattere non originario, ma divenuto e «funzionale», della stessa credenza nel valore della verità, o della credenza nel fondamento, sia quello di installarsi senza illusioni, come un «esprit fort», nel mondo della lotta di tutti contro tutti, nel quale i «deboli periscono» e si afferma solo la forza? O non accadrà piuttosto, come Nietzsche ipotizza alla fine del lungo frammento sul Nichilismo europeo (estate 1887), che in questo ambito siano destinati a trionfare piuttosto «i più moderati, quelli che non hanno bisogno di principi di fede estremi, quelli che non solo ammettono, ma anche amano una buona parte di caso e di assurdità»?

Nietzsche non sviluppa molto di più questa allusione ai «più moderati», ma è probabile che, come appare dai suoi appunti degli ultimi anni (gli stessi da cui proviene questo frammento sul nichilismo), l’uomo più moderato sia per lui l’artista, colui che sa sperimentare con una libertà che gli deriva, in definitiva, dall’aver superato anche l’interesse alla sopravvivenza. […]

La questione circa la fine della metafisica, la sua improseguibilità, non è ineludibile solo o principalmente in quanto si riesca a dimostrare che essa costituisce il movente, esplicito o implicito, delle correnti principali della filosofia novecentesca; ma soprattutto perché pone in discussione la stessa possibilità di continuare a filosofare. Ora, questa possibilità non è minacciata tanto dalla scoperta teoretica di altri metodi, altri tipi di discorso, altre fonti di verità ricorrendo alle quali si potrebbe fare a meno di filosofare e di argomentare metafisicamente. Ciò che getta una luce di sospetto sulla filosofia come tale e su ogni discorso che voglia riprenderne su piani e con metodi diversi le procedure di «fondazione», di afferramento di strutture originarie, principi, evidenze prime e cogenti, è la smascherata connessione che queste procedure di fondazione intrattengono con il dominio e la violenza.

Il riferimento a questa connessione, sebbene possa apparire accidentale, è invece quello che, preso sul serio, rende davvero radicale la critica della metafisica; senza di esso, tutto si riduce a sostituire semplicemente alle pretese verità metafisiche altre «verità» che, in mancanza di una dissoluzione critica radicale della stessa nozione di verità, finiscono per riproporsi come istanze di fondazione. È difficile, come pure si sarebbe tentati di fare richiamandosi a Hegel, opporre a una tale «questione di metodo» l’invito a provare a nuotare gettandosi in acqua, cioè a cominciare di fatto a costruire argomentazioni filosofiche cercando se non sia possibile, contro ogni eccesso di sospettosità, individuare alcune certezze sia pure relativamente «ultime» e generalmente condivise. Tuttavia l’invito a gettarsi in acqua, l’invito a filosofare,non può provenire dal nulla; esso si richiama necessariamente all’esistenza di una tradizione, di un linguaggio, di un metodo. Ma le eredità che riceviamo da questa tradizione non sono tutte equivalenti: tra di esse c’è l’annuncio nietzschiano della morte di Dio, la sua «esperienza» più che teoria, della fine della metafisica e, con essa, della filosofia.

Proprio se si vuole accettare la responsabilità che l’eredità della filosofia del passato ci impone, non si può non prendere sul serio anzitutto la questione preliminare di questa «esperienza». Proprio la fedeltà alla filosofia è ciò che impone di non eludere, anzitutto, la questione della sua negazione radicale; questione che, come si è visto, è indistricabilmente connessa a quella della violenza.


Vattimo e Lady Gaga, ma cosa vi ha fatto di male la metafisica?

Dopo l’accusa del filosofo,
la difesa: macché violenza,
è  questa la “scienza che danza” ipotizzata da Nietzsche

FRANCA D'AGOSTINI
Torino
C’è una sola cosa che odio più del denaro, ed è la verità»: così dichiarava Lady Gaga al concerto di Torino, qualche tempo fa. Naturalmente, ci si chiede se sia vero che odia la verità, e se sì, allora dovrebbe odiare quel che ha detto; d’altra parte, se non è vero, forse non odia né la verità né il denaro, o forse li odia ma non nell’ordine indicato... Ma che cosa spinge l’erede di Madonna a prendersela con la verità, una «vecchia gloria» della filosofia, uno dei cosiddetti «trascendentali», unum verum bonum? È interessante capire quel che intende Lady Gaga, perché anche i filosofi - dunque persone che professionalmente si occupano dell’unum verum bonum - a volte condividono il suo punto di vista, con dichiarata e consapevole indifferenza per la classica autocontraddizione che ciò comporta.

È il caso in particolare di Gianni Vattimo, che come si legge nei suoi scritti, e da ultimo nella Conclusione di Una filosofia debole (Garzanti), saggi in suo onore a cura di Santiago Zabala, di cui La Stampa ha anticipato uno stralcio il 23 febbraio, visibilmente odia il concetto di verità, e con esso il concetto di realtà, e più in generale tutto il sistema di pensiero che chiama «metafisica», il quale consisterebbe nel fare frequente uso di questi concetti tipicamente filosofici, e tenerli in gran conto.

A un primo sguardo, queste forme di avversione nei confronti di entità astratte e perciò sostanzialmente inoffensive sono perlomeno enigmatiche: perché prendersela con i concetti di realtà e verità, e non piuttosto con le persone che li usano male, spacciando per vero e reale tutto e solo quel che fa a loro comodo? E perché prendersela con la metafisica, addirittura sostenendo che, come Vattimo scrive, sarebbe all’origine «del dominio e della violenza»? Quando sento queste strane connessioni mi viene sempre in mente il dialogo che cita Hannah Arendt nel saggio sul Totalitarismo: «Gli ebrei sono stati la causa della grande guerra!»; risposta: «Sì, gli ebrei e anche i venditori di biciclette»; «Ma perché i venditori di biciclette?»; «E perché gli ebrei?». Allo stesso modo, quando si sente dire che la metafisica è all’origine della violenza e del dominio, consiglio di aggiungere: «Sì, certo: la metafisica e anche le equazioni di sesto grado»; e naturalmente, quando vi chiedono «perché le equazioni di sesto grado?», conoscete la risposta.

È chiaro che nell’intera vicenda c’è di mezzo un fraintendimento, un disguido terminologico. Vattimo si muove guidato da Nietzsche e Heidegger. Da Nietzsche eredita la visione della «metafisica» come una semplice e un po’ infantile visione della realtà, in base alla quale vi sarebbe uno strato profondo, detto «mondo vero» e uno strato superficiale, illusorio e non vero. È questa una forma di pseudo-platonismo che Nietzsche ricavava da una affrettata lettura di Schopenhauer, ma è difficile che ci sia in giro qualcuno che difende una simile posizione: sia esso scienziato o politico o artista o anche filosofo (forse qualche vescovo cattolico potrebbe avallarla, ma non so...).

Richiamandosi a Heidegger, Vattimo intende poi per «metafisica» ogni forma di dogmatismo o di rigido realismo tecnocratico. Ma questo linguaggio sembra essere una prigione più che un’opportunità. Oggi la parola «metafisica» viene per lo più usata per indicare una indagine filosofica (e perciò critica, e problematica) sui fondamenti della fisica (come le nozioni di causalità, tempo, spazio), o su ciò che è possibile o impossibile, o sui criteri in base a cui distinguiamo l’esistente e l’inesistente. Nessun rapporto con quella teoria del «mondo vero» che a Vattimo non piace. Anzi, a occhio, l’attuale confronto tra metafisici assomiglia molto a quel che Vattimo vorrebbe fosse la filosofia: «Costruire argomentazioni filosofiche cercando se non sia possibile individuare alcune certezze generalmente condivise». In effetti proprio la metafisica - per esempio quella di David Lewis, o quella del nostro Achille Varzi - oggi assomiglia molto alla «scienza che danza con piedi leggeri», ipotizzata da Nietzsche.

Tornando allora a Lady Gaga, ci accorgiamo di un altro e più importante fraintendimento. È verosimile che con «truth» Gaga non intenda ciò che si contrappone al falso, ma ciò che si contrappone al finto artistico: quel gioco di vere finzioni che guida ogni arte, rappresentativa o meno. Ora è chiaro che il nemico qui non è la «verità», ma piuttosto la tendenza repressiva di chi si appella a un presunto (e falso) vero per mettere a tacere le espressioni altrui. Ma se così è - e gli accenni all’arte nel testo di Vattimo fanno pensare che per lui sia proprio così - allora la prima operazione è sbarazzarsi una volta per tutte proprio di quel linguaggio filosofico a cui Vattimo resta ostinatamente fedele. Un linguaggio tutto pieno di impossibilità e limiti: dal «su ciò che non si può dire bisogna tacere» di Wittgenstein (ma ciò che non si può dire lo stabiliva lui) alla «fine della filosofia» (e della metafisica, e di una quantità di altre cose) annunciata da Heidegger, e da molti altri.

5 giugno 2012

La verità è strumento del potere o il potere teme sempre la verità?










Riporto qui di seguito (con minime variazioni e aggiustamenti) passaggi essenziali del dibattito tra Gianni Vattimo e Franca D'Agostini, da me già richiamato in un precedente post. Ritengo molto istruttivo riflettere su queste tesi e argomentazioni contrapposte per mettere a fuoco la situazione attuale della filosofia. Mi pare si possa riassumere il nodo centrale dicendo che Franca D'Agostini ritiene necessario che la filosofia si riappropri del proprio compito di teorizzazione sui fondamenti (teorizzazione non rigida, ampia, mobilizzante, critica, fluidificante... ma pur sempre teoria), mentre Vattimo sembra abbandonare il terreno della teoria e sembra intendere la filosofia più come strumento critico-nichilistico che sostenga e promuova una prassi "rivoluzionaria", secondo una ripresa della polemica marxiana contro la teoria pura.
Nell'illustrazione ho messo Russell prima di Marx perché D'Agostini dichiara a un certo punto il suo ricollegarsi alla difesa della concezione realistica della verità da parte di Russell contro le critiche che venivano mosse a tale concezione agli inizi del Novecento (da punti di vista pragmatisti e coerentisti).



V: Per Heidegger, nel saggio sull'essenza della verità (1930), considerare l'essere come OGGETTO, COSA, DATO, "ciò che sta lì davanti", è una minaccia per l'essere umano; anche la critica al capitalismo si può formulare come rifiuto della concezione dell'essere come OGGETTIVITA': nel mondo in cui l'essere vero è oggettività tutti noi siamo o funzioni dell'oggettività o funzioni dell'economia ecc. La domanda scettica vera non è "qual è la verità?", ma "chi lo dice (che cosa è vero)?" Non c'è mai un enunciato neutro, nel rapporto dell'uomo col mondo, perché l'uomo parla sempre da un punto di vista... Enuncio una proposizione come vera dal punto di vista di un sistema paradigmatico che mi unisce a una comunità... Non è che è vero ciò che conviene a me, ma è vero ciò che è buono per NOI.

D'A: Sì, ma Heidegger in realtà non rinunciava alla verità come adequatio; il vero problema sollevato da Heidegger non riguardava la verità, ma l'essere, la concezione dell'essere. Allora io dico: se noi ampliamo la nostra metafisica, adottiamo una metafisica ampia, molto permissiva, che implica molta POSSIBILITA', se noi apriamo la nostra logica alle logiche non classiche, allora non avremo più problemi nei confronti della verità. Il punto del "Chi lo dice?" riguarda il fatto che se io mi fermo a sostenere che è vero ciò che dice il papa in quanto è il papa o che è vero ciò che dice la scienza in quanto è la scienza io non sto parlando di verità ma sto parlando di POTERE. Chi si lascia ammazzare per la verità (i martiri) o chi ammazza per la verità (i fanatici) ammazza in realtà per qualcosa d'altro, ammazza per il potere. Il più grande nemico della verità è il potere

V: Se volessimo opporre il potere alla verità dovremmo stabilire che c'è un CHI che dice la verità che non è né il papa, né il re, né... ma non sappiamo chi sia!

D'A: Ma a me non piace neanche il NOI, se prende il posto del papa o del re: noi potremmo avere torto marcio, noi potremmo essere la mafia

V: Ci sono una quantità di elementi nel mio argomentare che non hanno niente a che fare con i dati di fatto; assumere il "come stanno le cose" come modello di ogni tipo di verità è un errore che io lego anche all'oggettivazione così come la legge Heidegger, o Marx. La verità dell'interpretazione non è il sostenere : "è così!", ma il raggiungere un accordo attraverso un dialogo. Io dico A, tu dici B e dopo avere variamente argomentato ci accordiamo. Come abbiamo argomentato? Guardando come stanno le cose? Non diciamo sciocchezze: abbiamo argomentato in base ai libri che abbiamo letto, in base alle convenienze sociali dell'epoca, in base alla nostra origine...


D'A: Usiamo i libri, la stipulazione eccetera, sì certo, ma cosa ci dicono i libri?
Ci danno una certa versione della realtà, ci ridescrivono come le cose stanno, o come le cose dovrebbero stare se le cose andassero meglio; come dovrebbe essere fatto il mondo se fosse un mondo più gradevole per noi. Questa è ancora una verità intesa in senso realistico.

V: Ma è una verità che non si basa su fatti ma su desideri, progetti...

D'A: Ma i mondi possibili sono mondi! E i mondi possibili sono costruiti a partire dal nostro mondo. Non posso ragionare in termini di possibilità se non partendo dalla fattualità, cioè da quello che vedo. Come posso ragionare sulla possibilità di una rivoluzione proletaria se non ho già guardato come stanno le cose qui e ho detto "questo è da correggere, questo va cambiato..."?

V: Ma vuoi cambiare qualcosa nella situazione perché ci stai male, non perché vuoi sapere come stanno le cose! Non c'è nessuna visione disinteressata della realtà!"

D'A: Io guardo la realtà così com'è, vedendo che per una seria di circostanze fattuali che interagiscono fra loro non funziona, non mi sta bene...

V: Ma non vanno bene a TE o ai tuoi AMICI, non "NON FUNZIONANO", è questo il punto!

D'A: Non è che la normatività implichi qualcosa di non fattuale: implica un certo LAVORO sulla fattualità e una metafisica ampia, che tenga ampiamente conto della possibilità, della necessità, della contingenza eccetera.
Non dobbiamo lasciare la verità ai dogmatici, rinunciandoci perché "è troppo difficile, ci sono sempre implicazioni di potere eccetera", come fa Rorty, perché se la lasciamo ai dogmatici noi restiamo senza verità e questo è autodistruttivo.
La verità non va lasciata ai dogmatici ma va conservata ai nichilisti e agli scettici: a quelli che MOBILIZZANO la verità, quelli che impediscono che la verità diventi potere e quindi non più verità, perché per definizione il potere non ti dice come le cose stanno, anzi teme la verità: il potere non democratico si serve sistematicamente della menzogna. Riportare la verità agli scettici e ai nichilisti, che mobilizzano l'essere, la logica, il vero. Ma mobilizzare l'essere e la verità non significa che non c'è essere o non c'è verità, anche perché se uno fa finta che non ci sia la verità si trova poi dietro le spalle uno che gli dice "la verità sono io".

V: Ma non accetto l'idea di "metafisica più ampia", perché sembra sempre rimandare alla nozione di filosofia come costruzione di un panorama adeguato, completo, una filosofia descrittiva che non mi interessa

D'A: Ma  io parlo di metafisica permissiva, non di metafisica omnicomprensiva!

V: Ma tu non dovresti parlare di "metafisica"!

D'A: Ma intendo per metafisica semplicemente concezione dell'essere: anche Heidegger faceva metafisica, in questo senso, quando criticava la concezione oggettivante dell'essere.

V: Il punto mi sembra allora che se vogliamo pensare alla verità non in termini di potere dobbiamo pensarla come una forma di anarchismo continuativo che decostruisce piuttosto che costruire: continua decostruzione delle pretese di potere della verità. Questo corrisponde molto bene fra l'altro alla situazione politica della sinistra esistente: se il riformismo prende il potere diventa una schifezza.

D'A: Il potere tende ad appropriarsi degli strumenti della filosofia (i concetti di verità, essere, bene eccetera); per questo la filosofia deve riprenderseli.

V: Ma nessun filosofo ha mai costretto il papa ad ammettere che aveva torto: soltanto quando hanno bombardato il Vaticano è successo; e tu invece con questa storia che bisogna riappropriarsi dei fondamenti costruisci solo dei nuovi libri di filosofia, di cui al papa non importa nulla.

D'A: Ma per credere a quello che tu dici, cioè che tutto sia potere, devo pensare che sia VERO quello che tu dici. Ma perché tu chiedi a noi di credere che le cose stanno così: che è solo questione di potere?

V: A me interessa che voi partecipiate alla mia stessa lotta.

D'A: E se si scopre che la nostra lotta è sbagliata? Si continua lo stesso?

V: Ma "sbagliata" cosa vuol dire, se la condividiamo? E' come se tu dicessi: è bene che il sovrano dia la costituzione, e poi scrivi diversi libri per sostenere questo. Ma fino a che non vengono i contadini con i forconi sotto le finestre del sovrano lui se ne infischia! Tu dirai: ma i contadini avevano letto i libri. Ma io dico: più probabile che i contadini reagissero a una situazione insopportabile.

D'A: "Sbagliata" vuol dire che ci può essere un'evidente falsità, come "gli ebrei sono un pericolo per il popolo tedesco", che in certe circostanze viene creduta da un'intera comunità.