14 settembre 2015

Haendel, dal Dixit Dominus , "De Torrente In Via Bibet", per due soprani, coro e orchestra



Solo da ascoltare:
uno dei brani che più mi ha colpito in giovinezza; così intensamente ricco di dissonanze magistralmente incastonate in un tessuto ritmico e melodico soave e fluido.
Per riconciliarsi con l'umanità


Elin Manahan Thomas & Grace Davidson
℗ 2009 The Sixteen Productions Ltd
The Sixteen are a United Kingdom-based choir and period instrument orchestra; founded by Harry Christophers, it started as an unnamed group of sixteen friends in 1977, giving their first billed concert in 1979. The group performs early English polyphony, works of the Renaissance, Baroque and early Classical music, and a diversity of 20th-century music.The Sixteen are "The Voices of Classic FM", TV media partner with Sky Arts and associate artists of the Southbank Centre in London and Bridgewater Hall in Manchester. The group promotes an annual series at the Queen Elizabeth Hall as well as the Choral Pilgrimage, a tour of Britain's finest cathedrals: bringing music back to the buildings for which it was written. The Sixteen featured in the BBC Four television series Sacred Music, presented by actor Simon Russell Beale. A second series was broadcast on BBC Four in 2010.

Wikipedia sul Dixit Dominus di Haendel

12 settembre 2015

Appunti per un approccio fenomenologico alle questioni metafisiche. Husserl dissolve il tema dei limiti dell'esperienza?






Secondo Husserl la realtà è accessibile in quanto nei dati fenomenologici ho tutto quello che mi serve per distinguere tra oggetti reali e oggetti prodotti dall’attività fantastica:
non ha senso parlare di qualcosa che sta al di là di ciò che io vedo e di conseguenza non ha senso neppure indicare nella conoscenza del fenomeno un limite imposto alla conoscenza in generale. Affinché io possa affermare la realtà di questo oggetto che ho di fronte non ho bisogno di ritenere che vi sia, dietro le sue manifestazioni, un nucleo sostanziale che costituisca in qualche modo la loro struttura oggettiva di supporto. Questo oggetto mi si dà come «reale», mentre l’immagine del centauro mi si dà come prodotto della mia attività fantastica. Ma per accertare questa differenza non ho bisogno di nessun controllo che vada al di là dei dati fenomenologici. Le distinzioni tra il vero e il falso, tra il reale e l’irreale, cadono sempre all’interno della sfera fenomenologica
(Giovanni Piana, I problemi della fenomenologia; corsivi miei) 
Ma la distinzione tra reale e immaginario non è comunque una distinzione soggettiva? Non potremmo sbagliarci? Sì, ma
questo carattere soggettivo non ottiene il suo senso dalla contrapposizione con una oggettività già data. Posso dire che il dato fenomenologico vale come reale anzitutto per me: ma in ciò non è ancora implicito il fatto che questa validità sia una validità solo per me o anche per tutti. È su questo terreno che si pone in modo legittimo la questione della distinzione tra oggettivo e soggettivo in senso comune. 
Molto importante il constatare che non si dà mai a noi una oggettività già data: tutte le formazioni di senso, comprese le conoscenze scientifiche, oggettive, partono dall’esperienza e si costruiscono nell’esperienza.
    La distinzione fra soggettivo e oggettivo corrisponde alla distinzione fra "valido solo per me" e "valido per tutti".
    Da notare che “per tutti” è diverso da “per noi" (per rispondere alle critiche di D'Agostini alla fondazione “comunitaria” della verità nella discussione con Vattimo)
Validità = validità per qualcuno
Il momento essenziale della proposta husserliana è invece quello di riportare la questione dell’oggettività del sapere alla sua validità intersoggettiva. Perché ciò possa essere pienamente chiaro è necessario ridurre l’essere stesso all’apparire, considerando ogni distinzione tra realtà e parvenza come fondata ancora una volta nell’apparire. Non diremo dunque che dell’essere in sè non c’è scienza, perché siamo racchiusi nel limite del fenomeno; diremo invece che anche dell’essere in sè c’è scienza perché anche l’essere in sè è una nozione fondata nel fenomeno. 


Ora mi chiedo: come si applica tutto ciò a un problema di conoscenza metafisico come quello del libero arbitrio, nel quale abbiamo tesi e tesi opposte che si basano su affermazioni su ciò che sarebbe stato possibile, o su ciò che necessariamente doveva verificarsi? Il controfattuale (e anche la nozione di necessità lo richiede) è riscontrabile nei dati fenomenologici?

nell’atteggiamento fenomenologico il problema si capovolge: non vi è una cosa in sè e un soggetto che per caso la guarda e non può non coglierla se non attraverso prospettive. Vi è anzitutto un soggetto che opera costantemente una sintesi delle prospettive fino al momento in cui la cosa – il fermacarte – si presenta come cosa in sé. Nell’atteggiamento fenomenologico la correlazione tra l’atto soggettivo e il dato a cui questo atto si rivolge precede e spiega la separazione tra la cosa ed i modi di manifestarsi della cosa, gli atti soggettivi della percezione spiegano l’apparire della realtà indipendente della cosa e non viceversa. (...) dal punto di vista complessivo non vi è dubbio che Husserl riprenda e sviluppi la critica che già Stumpf aveva rivolto a Kant, e cioè che i motivi che presiedono all’organizzazione del materiale fenomenico non vanno cercati nelle strutture soggettive, ma nelle configurazioni interne al materiale fenomenico stesso. (VC)>
 (aggiunta di Vincenzo Costa al testo di Piana) 
Occorre quindi chiedersi: il materiale fenomenico coinvolto nei contesti in cui si discute su libertà o necessità di una scelta umana esibisce configurazioni interne che ci autorizzano a sostenere una ipotesi (libertà) piuttosto che l'altra (necessità)?

10 settembre 2015

Per un elenco (quasi) completo dei problemi filosofici






Al di là delle "scuole" filosofiche, al di là delle correnti, dei movimenti, delle impostazioni, delle prese di posizione e degli atteggiamenti (analitico, fenomenologico, marxista/neomarxista, neohegeliano, neokantiano, neopositivista, esistenzialista, psicoanalitico...) la sostanza delle teorie filosofiche si misura sulla capacità di affrontare alcuni particolari problemi.
       Insiemi di problemi filosofici fra loro collegati costituiscono le varie discipline filosofiche, settori di studio ormai molto specializzati (logica, ontologia (e metaontologia), metafisica, epistemologia o teoria della conoscenza, filosofia della scienza, filosofia dell'arte (o estetica), etica normativa, metaetica, etica applicata, teoria politica, filosofia dell'azione, filosofia del diritto...
       Teorie che riescano ad affrontare ed elaborare (per non dire risolvere, perché in filosofia soluzioni definitive sono molto difficili e forse, alcuni dicono, addirittura impossibili...) tutti i principali problemi filosofici si dicono in genere sistemi filosofici. Oggi ci sarebbe un grande bisogno di sistemi filosofici, ma ce ne sono pochissimi in circolazione, e a quanto ne so sono un po' datati (l'ultimo vero sistema è probabilmente quello di Hegel (1770-1831). Ce ne sarebbe bisogno perché c'è una grande confusione nell'ambito della cultura umana in generale, una enorme massa di conoscenze che si presentano però in modo estremamente frammentato e iper-specializzato, con la conseguente difficoltà ad orientarsi e connessi fenomeni di para-conoscenze (teorie del complotto globale, ad esempio) e derive fondamentaliste. In fondo i fondamentalismi religiosi si potrebbero interpretare come una scorciatoia per arrivare ad una visione generale delle cose semplice, comprensibile e con immediate risposte anche pratiche, sul cosa fare e come vivere. Le soluzioni offerte dai fondamentalismi sono false e oltremodo pericolose per TUTTI (anche per i fondamentalisti stessi, quindi), ma il bisogno a cui rispondono è autentico - ammesso che la spiegazione del loro esistere sia riducibile a questo, ma in realtà il fenomeno è sicuramente più complesso, con radici economiche e quant'altro.
       Si tratta di un bisogno di fare ordine nel sistema dei saperi, di ridurre la ridondanza, di semplificare i linguaggi e pervenire ad una sorta di "macroteoria" o sistema.
In un libro del 2005 D'Agostini scriveva (mi scuso se la citazione non è precisa):
La crisi delle grandi idealità, ratificata dalla fine del bipolarismo mondiale, ha determinato una pragmatizzazione del discorso politico, che di recente mostra però i suoi limiti: gli effetti della globalizzazione impongono di nutrirsi di pensiero etico-critico e non più solo di interessi pratici contestuali.
La crescente importanza degli organismi sovranazionali impone la formulazione di principi a un tempo sovracontestuali e attenti alle differenze locali, autorevoli e dialogici.
Questo lavoro (richiesto sia dalla situazione attuale dei saperi, sia dalla situazione attuale della politica globale) può essere svolto bene da coloro che sono provvisti, grazie alla loro formazione filosofica, di una combinazione di tecnica argomentativa e sensibilità culturale. Per questo la filosofia gode oggi di una nuova fortuna culturale, ma ci sono dubbi:
− sopravvive la diffidenza (dal secondo Ottocento) verso una disciplina pre-scientifica…
− la filosofia divulgata e mediatica spesso dà un’immagine vecchia e inadeguata della filosofia
− la filosofia contemporanea è attraversata da controversie metafilosofiche:
1) f. = parte della scienza/genere letterario
2) filosofi = professori di f./intellettuali impegnati pubblicamente
3) idea che la funzione filosofica sia oggi assolta da altre pratiche scientifico-letterarie
4) f. come passione che coinvolge l’anima intera/malattia mentale/guida-terapia
5) filosofo come scienziato cognitivo che lavora senza dati empirici
6) non esiste più “la filosofia” ma solo ricerche specialistiche
Tutto ciò porta secondo me alla necessità di cui parlavo all'inizio, ovvero alla ripresa del progetto di costruire un sistema filosofico puntando sulla sostanza dei problemi filosofici e cercando di affrontarli nella loro interconnessione.

Ma quali sono i problemi filosofici?
Senza addentrarsi nelle complesse questioni metafilosofiche che rileva e pone D'Agostini, vorrei qui tentare un semplice elenco, che sia però il più possibile completo (perché completo dovrebbe essere un sistema, almeno nella sua aspirazione).
Ovviamente non ho la pretesa di esaurire con le mie povere forze il compito, e chiamo quindi in causa i volonterosi lettori con competenze filosofiche perché mi aiutino a completare l'elenco.
Intanto però comincio. Considero l'elenco seguente un elenco aperto e in fase di elaborazione.
Sarebbe meglio intitolarlo Appunti per un elenco completo...

In ordine casuale (da riordinare in seguito):

- libero arbitrio: l’uomo è realmente libero di scegliere?

- qual è stata, se c'è stata, l’origine del cosmo?

- perché vi è qualcosa, e non piuttosto il nulla? Il mondo ha un senso?

- esistono costituenti ultimi della materia? Che cos'è il tempo e cosa lo spazio?

- che cos'è la vita?

- in che misura possiamo essere certi delle nostre conoscenze sulla realtà?

- esistono limiti alla conoscibilità del reale?

- la matematica si scopre o si inventa?

- come raggiungere la felicità?

- come è giusto vivere?

- il male esiste? Se sì, perché?

- esiste una “natura umana”? Se sì, qual è? Che cos'è la mente umana?

- che cosa esiste realmente? Vi sono “gradi” di esistenza a seconda del “tipo” di cose? Alcune cose sono più reali di altre?

...  ...

8 settembre 2015

La mia lettura di "Realismo? Una questione non controversa" di Franca D'Agostini (Bollati Boringhieri 2013)





 Propongo, a scopo soprattutto didattico (per i miei studenti), un percorso di lettura all'interno del libro di Franca D'Agostini, offrendo sia parti riassunte, sia un'ampia scelta di brani dal testo originale. Di seguito l'elenco dei capitoli presi in considerazione (riconoscibili dalla numerazione) con il nuovo titolo da me scelto per indicare la mia personale prospettiva di lettura. Questo indice rimanda, attraverso il link incorporato in ciascuna voce, al relativo post.

Tutta l'operazione non è stata autorizzata dall'autrice del libro, quindi me assumo interamente la responsabilità. La lettura di questi post non può essere sostitutiva di una lettura diretta del testo, per tutti coloro che intendono impadronirsi della visione complessa, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista teorico, che Franca D'Agostini ha costruito scrivendo il libro.
A parziale copertura delle mancanze della mia lettura ho incluso, alla fine di ogni post, i relativi Sommari che l'autrice stessa ha redatto e che ha pubblicato nel blog Filosofia pubblica.

1. "Non ci sono fatti, solo interpretazioni": cosa voleva dire Nietzsche? Su alcuni aspetti della frattura Analitici vs Continentali
2. Analitici e Continentali: quali problemi si pongono le due tradizioni? Modi diversi (neopositivisti e neokantiani) di essere contro la metafisica
3. Il "Nuovo Realismo" e l'antidoto: normalizzare la filosofia
4. Breve storia della ragione nell'Ottocento e nel Novecento: democratizzazione, nichilismo, totalitarismi, "crisi della ragione", postmodernismo, trivialismo, ritorno alla filosofia
5. Alla radice della divaricazione fra Analitici e Continentali: Kant incompreso
6., 8., 10., 11., Conclusioni. Sulla rinascita della metafisica

6 settembre 2015

Sul rapporto tra mente e corpo






La mente deve amare il corpo!

Allora si potrebbe aggiungere: "Anche il corpo dovrebbe amare la mente!".
Ma può un corpo amare?

Altri direbbero che corpo e mente sono in realtà la stessa cosa, considerata da due punti di vista diversi.
E se sono la stessa cosa ci si potrebbe chiedere se il problema del loro rapporto sia in realtà un falso problema.
Ma un problema sussiste. Infatti gli antichi spesso consideravano il corpo come prigione dell'anima. Più tardi, a cominciare da Platone, invece che parlare di conflitto fra corpo e anima si è parlato di conflitto dell'anima con se stessa, di conflitto fra parti dell'anima.

Allora il mio pensiero iniziale si potrebbe riformulare così: la mente dovrebbe amare se stessa in quanto corpo. ~ Esperienze più "distanti" dal corpo (pensieri) dovrebbero amare esperienze più "vicine" al corpo (bisogni, pulsioni). ~ Il proprio io pensante dovrebbe amare il proprio io bisognoso e desiderante.

Ma può l'io pensante amare?
Si tratterebbe di ciò che Spinoza chiama "amore intellettuale"?
Forse il mio pensiero iniziale andrebbe ancora riformulato:
L'io amoroso dovrebbe riconciliare l'io pensante e l'io bisognoso.

L'io pensante non dovrebbe sentirsi prigioniero del corpo (l'io bisognoso).
Ma forse c'è uno squilibrio strutturale: la mente sa che senza corpo non potrebbe esistere, il corpo invece sa che potrebbe essere anche solo corpo.
Il corpo sa che potrebbe essere corpo vivente ma non pensante. O, addirittura, potrebbe essere corpo non vivente.
La mente, come testimoniano le varie dottrine sulla reincarnazione o sull'immortalità, può inorgoglirsi e tendere a rifiutare la propria dipendenza dal corpo: "io posso esistere anche senza corpo!" . Ma al di là di queste credenze, speranze, fedi, la mente sente la propria dipendenza dal corpo.
La mente sente che il corpo viene prima, che ha priorità sia pratica sia ontologica.

La mente vive male la propria dipendenza  dal corpo: se il corpo è affamato non si può pensare! 
I bisogni del corpo possono invadere l'intero campo dell'esperienza e impedire il pensiero.
Se il corpo si ammala, se prova dolore, tutto il pensiero viene convogliato su questi problemi e sembra quasi impossibile pensare liberamente.

La mente sogna di poter pensare infinitamente: solo così potrebbe forse risolvere alcuni problemi (metafisici!) in cui si imbatte.
La mente sogna di non dipendere dal corpo, sogna di poter avere un'esistenza autonoma e un tempo infinito davanti a sé.

Se la mente si inorgoglisce, se il suo sogno di autonomia diventa esigenza, o pretesa di un diritto, la mente può iniziare a disprezzare il corpo.
Quanta svalutazione del corpo c'è stata, nella nostra cultura! 
Di questa svalutazione fa parte anche la condanna del piacere sessuale.
Altra cosa, diversa dalla condanna, è l'invito alla misura e all'equilibrio.

Un conto è la dipendenza ontologica della mente dal corpo (questa va solo accettata, anzi amata).
Un conto è la dipendenza psicologica: è rispetto a questa che ha senso l'invito alla misura e alla moderazione nella soddisfazione dei bisogni del corpo. 
La temperanza si ha quando la mente si prende cura, amorosamente, dei bisogni del corpo.
Questo è il vero presupposto di una liberazione del pensiero, non il disprezzo e la condanna del corpo.


2 settembre 2015

I piani dell'esperienza. Per un elenco completo


L'idea nasce dallo studio del libro di Giovanni Piana Elementi di una dottrina dell'esperienza. In questo libro, (che per me è stato estremamente formativo e che ha influenzato un gruppo di giovani allievi di Piana, oggi professori universitari: Vincenzo Costa, Elio Franzini, Paolo Spinicci, Alfredo Civita, Carlo Serra, Paola Basso) i "campi" o "piani" dell'esperienza che vengono indagati (secondo una impostazione filosofica che Piana stesso presenta sia nella Premessa, sia nell'articolo L'idea di uno strutturalismo fenomenologico) sono:
I. la percezione
II. il ricordo
III. l'immaginazione
IV: il pensiero.
Quali altri capitoli il libro avrebbe dovuto comprendere, se l'obiettivo fosse stato quello di una ricognizione completa dei vissuti con caratteristiche strutturali proprie?




    1. Bisogno (< corpo )

        2. Desiderio/volontà/intenzione

            3. Immaginazione

                4. Pensiero

                    5. Ricordo

                        6. Emozione

                            7. Percezione

                                8. Azione (> mondo circostante)


L'ordine va dalla maggiore vicinanza alla soggettività (1) verso la maggiore vicinanza all'oggettività (8).

1 settembre 2015

"Frammenti epistemologici" di Giovanni Piana


Si tratta di un libro pubblicato da Giovanni Piana quest'anno (2015) sia in versione a stampa (Lulu.com) sia in versione on line, scaricabile gratuitamente (come tutte le sue opere contenute nell'Archivio) seguendo il seguente link:

Pur avendone letto solo alcune parti, ho voluto subito presentarlo nel mio blog per condividere il senso di enorme ricchezza tematica, profondità e allo stesso tempo libertà, acutezza e lucidità che la lettura di queste pagine provoca al lettore.
Per dare un'idea, propongo qui sotto l'Indice e, di seguito, un estratto dalla parte terza.

Nota introduttiva

I. Sullo spazio
Pratiche della spazialità
Lo spazio e le cose
La figura e l’estensione
Lo spazio e l’aperto
Idealizzazioni
Spazio geometrico e spazio del mondo
Lobacevsky
Ordo rerum
Cose, relazioni, luoghi 
Geometria e analysis situs
Spazio assoluto
Generalizzazione 

II. Immaginare e raffigurare lo spazio  
Una piramide nel deserto
Immaginare e raffigurare lo spazio
Il simbolismo degli aspetti

III. Sui quattro bellissimi corpi
Geometria e mito
La maternità dello spazio
Il grande animale
Le quattro materie primigenie
Schema dell’interpretazione platonica
Il problema della triangolazione
La riduzione al triangolo “platonico”
La bellezza del triangolo platonico
Il triangolo platonico e il triangolo equilatero
Le trasformazioni reciproche
Il cubo, ovvero la terra
Fuoco aria acqua. Il pesante e il leggero
Ragionamenti bastardi
Il dodecaedro ovvero della totalità 


IV. Sul numero e su altri argomenti
Incommensurabilità e numeri irrazionali
Convenzioni ed evidenze
Ordine e concatenazione
Simbolismi 
Logica e linguaggio corrente
Numero e tempo
Rigore
Teoria e storia 

V. Intuizione e costruzione
Intuizione
Costruzione 
Intuizione ed evidenza
Intuitività dell’oggetto e comprensibilità della regola per la sua costruzione 

VI. L’aritmetica prima dell’aritmetica 
La fortuna e la sfortuna della Filosofia dell’aritmetica
I compiti di una filosofia dell’aritmetica secondo Husserl
Il numero come concetto aperto
Il luogo del problema 
Numero e molteplicità
Rappresentazione diretta e rappresentazione simbolica del numero
Problematica dei numeri immaginari
Lo zero e l’uno
Le operazioni pre-aritmetiche
L’invenzione dell’aritmetica
Il metodo logico dell’aritmetica
Aritmetica e arte del calcolo
Il problema della computabilità 

VII. L’aritmetica senza l’astrazione 
Il grande pensiero di Frege
Il numero si enuncia di un concetto
Numeri e astrazione
Equinumerosità e corrispondenza biunivoca
Numero e relazione
Definizione per astrazione?
Il metodo definitorio di Frege non ha a che vedere con l’astrazione

Una conferma tratta da Russell 

VIII. Sull’idea di “Fisica ingenua” in Paolo Bozzi 

IX.  È giusto parlare di “Intelligenza artificiale” 

X.  Appendici
Esempi di impiego di procedure realizzate con il programma Mathematica

Avvertenza
  1. Procedure formali per la successione dei numeri naturali
  2. Procedure per realizzare un linguaggio L-systems
  3. Procedure di calcolo per il “triangolo di Sarngadeva”
  4. Procedure per la realizzazioni di “flussi sonori” 

Il dodecaedro ovvero della totalità 

– Vi è un solido regolare di cui non abbiamo affatto parlato, se non di sfuggita all’inizio e proprio per metterlo da parte: il dodecaedro.

– In realtà alcune cose meritano proprio di essere dette. Come abbiamo notato all’inizio le materie primigenie sono quattro; i solidi regolari sono invece cinque. Uno di essi doveva restare escluso oppure avere una posizione a parte. Per di più il dodecaedro rappresenta a sua volta un caso speciale ed unico tra i solidi regolari. Le sue dodici facce sono pentagoni regolari. Naturalmente si possono effettuare triangolazioni in un pentagono, ma è impossibile realizzare una triangolazione in triangoli equilateri e conseguentemente in triangoli rettangoli scaleni del tipo previsto da Platone. Tuttavia il dodecaedro ci riserva qualche sorpresa. 

– La prima sorpresa, che forse non è del tutto pertinente allo sviluppo del nostro tema principale, è il fatto che tracciando le diagonali del pentagono, nel suo interno otteniamo ciò che è stato chiamato pentagono stellato (detto anche pentalfa, pentagramma o triplon trigonon). 
  



Ma all’interno della figura si ripresenta nuovamente il pentagono, e dunque tracciando le sue diagonali otterremo un nuovo pentagono stellato con all’interno di esso un nuovo pentagono, sic ad infinitum. La regola di costruzione – di cui ho trattato abbastanza a lungo altrove (Piana, 1999) – è in effetti una regola ricorsiva. Questo è un aspetto di grande interesse della figura che non era certo ignoto ai pitagorici, i cui “numeri figurati” hanno carattere ricorsivo. Ed è inutile dire che anche questo aspetto contribuì alla pregnanza simbolica della figura. 

– Ma la seconda sorpresa, questa strettamente pertinente alla nostra discussione, è che vi è una modalità di suddivisione del pentagono che ci riporta al triangolo platonico: mentre nel caso del triangolo equilatero ottenevamo i sei triangoli platonici tracciando le altezze che coincidono in questo caso con le mediane, nel caso del dodecaedro possiamo ottenere i triangoli platonici usando sia le cinque mediane che congiungono un vertice con il punto medio dei lati opposti sia le cinque diagonali che con- giungono vertici non consecutivi. La figura che ne risulta è la seguente:  







In realtà si tratta di 30 triangoli platonici – ed essendo dodici le facce si giunge quindi a 360 triangoli (Boyer, 1995, p. 103). Un numero che converrà ricordare. 

– Il dodecaedro non solo era noto ai primi pitagorici come poliedro regolare, insieme al cubo ed al tetraedro, ma aveva anche per essi, proprio per la ricchezza di relazioni che esibiva, un particolare valore simbolico al punto da diventare emblema della setta. E naturalmente non lo avevano trovato per strada. Si è costretti talvolta a difendere la speculazione filosofica da una malintesa empiria più di quanto sarebbe necessario persino a lume di buon senso. Così vi è chi attribuisce la conoscenza del dodecaedro da parte pitagorica all’esistenza di miniere di pirite in Sicilia «un minerale di zolfo che cristallizzandosi assume la forma del pentagono dodecaedro, che è un poliedro non regolare, ma con struttura del tutto analoga a quella del dodecaedro. Nel pentagono dodecaedro ciascuna delle dodici facce è un pentagono con quattro lati eguali tra loro e uno di diversa lunghezza. A parte questa leggera irregolarità il cristallo di pirite costituisce un ottimo modello in natura di un dodecaedro. L’osservazione di questa forma di cristallizzazione potrebbe aver suggerito ai matematici della scuola di Pitagora l’idea di costruire un solido analogo, ma con tutte le caratteristiche della regolarità» (Gario, 1979). Anche Rivaud dà credito all’origine “empirica” e casuale del dodecaedro rammentando che non sono rare le pietre in forma di dodecaedro e che ciò spiegherebbe addirittura come mai questa forma era nota ai pitagorici, insieme al cubo ed al tetraedro, mentre l’ottaedro e l’icosaedro sarebbero una più tarda scoperta di Teeteto (Rivaud, 1985, p. 82). 

– Fu così che, durante una passeggiata, in un caldo pomeriggio d’estate, un filosofo pitagorico vide sul sentiero polveroso un dodecaedro... 

– Lasciando al loro destino queste favole, e occupandoci invece di favole cariche di filosofia, ritorniamo a Platone. Che cosa egli dice del dodecaedro? Egli dice semplicemente: «Restava una quinta combinazione e il dio se ne giovò per decorare l’universo» [55c]. 

– Sembra a tutta prima un brillantissimo escamotage: non sapendo come adattare questo solido “in più” all’interno della teoria, ecco che lo poniamo come una sorta di ghirlanda dell’universo! Molti commenti si accontentano di questa spiegazione. Ma in realtà le cose non stanno esattamente così – o meglio: se si tratta di un escamotage, esso è tuttavia ancora in grado di dirci qualcosa e di completare e di confermare il quadro teorico. Ciò su cui deve cadere l’accento infatti non è tanto l’idea dell’ornamento, ma il riferimento all’universo, cioè alla totalità stessa. In effetti il testo greco dice to pan, parla proprio del tutto, tradurre “l’universo” è tendenzialmente fuorviante. Distoglie l’attenzione dall’idea di trovare nel solido atipico un’immagine per la totalità. Mentre per ogni elemento viene individuato un singolo solido che viene pensato come suddiviso, il solido eccedente è portato a simbolizzare la totalità del mondo come totalità – rendendo conto così anche della ricchezza di significato che la tradizione pitagorica (a cui Platone si sente spesso vicino) dava al pentagono e al dodecaedro stesso. 

– Del resto vi è una discussione intorno alla traduzione del verbo greco  ζωγραφεῖν che qui abbiamo reso con decorare, traduzione che è particolarmente frequente e che non si può dire erronea. Come osserva Kotrc, in un notevole saggio interamente dedicato al dodecaedro nel Timeo: «the basic meaning of ζωγραφεῖν is to paint from life (Republic, 598 B); an extension of this meaning is to adorn (as with paint» (1981, p. 213). Ma lo stesso autore mostra in modo convincente con diverse citazioni interne ai testi platonici che lo stesso verbo può significare “delineare, tracciare i confini”, e che questa traduzione sarebbe più appropriata. 

– In effetti con essa ci approssimiamo ancor più alla spiegazione che questa relazione in ogni caso richiede. Ancora una volta geometria e mito confluiscono insieme. Come i poligoni regolari possono essere inscritti in un cerchio, ed anzi da questa possibilità deriva un metodo per la loro costruzione, così i poliedri regolari possono essere inscritti in una sfera. Ora, come spiega Taylor, nel suo dettagliatissimo commento al Timeo «dei cinque solidi inscritti in una e medesima sfera, il dodecaedro ha il massimo volume e arriva quasi a coincidere con la sfera, oltre al fatto di esserle simile nella forma» (Taylor, 1928, pp. 377– 378). Altrove lo stesso Taylor rammenta che, secondo una concezione di origine pitagorica, «ai fini della descrizione astronomica si ri- partiva la sfera celeste dividendola in dodici regioni pentagonali, proprio come una palla di cuoio si fa cucendo insieme dodici pezzi pentagonali di cuoio» (Taylor, 1968, p. 708). 

– Infine: non vi è forse in quei 360 triangoli rettangoli scaleni un riferimento aritmetico che si ci riporta alla geometria della circonferenza e della sfera come immagini della totalità? È infatti estremamente seducente pensare che in questo numero di 360 sia in qualche modo implicata la nozione di grado come misura degli archi – misura in realtà antichissima che risale ai babilonesi e che è nota anche in Grecia (intorno al 200 a.C.). Con idee come queste andiamo ancora una volta indiscutibilmente al di fuori della lettera del testo platonico. Non invece, a quanto sembra, dal suo spirito