7 settembre 2009
Baricco come filosofo: appunti su "I barbari"
Non so quanta risonanza abbia avuto nell'ambiente filosofico questo testo, uscito per la prima volta a puntate su "la Repubblica" nel 2006, ma certamente merita attenzione da parte dei filosofi (e degli insegnanti, di filosofia ma non solo) per vari motivi, innanzitutto la capacità di pensare il proprio tempo e comunicare questi pensieri in modo accessibile al lettore di media cultura.
Baricco stesso è consapevole della valenza filosofica dei suoi ragionamenti: "Lo so" dice a pagina 92 dell'edizione Feltrinelli "che l'ermeneutica novecentesca ha già prefigurato, in maniera molto sofisticata, un paesaggio del genere. Ma adesso che lo vedo diventato operativo in Google, nel gesto quotidiano di miliardi di persone, capisco forse per la prima volta quanto esso, preso sul serio, comporti una reale mutazione collettiva, non un semplice aggiustamento del sentire comune".
Non è mia intenzione, qui, riassumere l'articolazione del libro. Non spiegherò quindi cosa c'entra Google, così come tutti gli altri esempi concreti che Baricco fa per sostenere il suo discorso (il vino, il calcio, i libri...).
La tesi fondamentale di Baricco è che nel Novecento, a un certo punto, scatta un mutamento epocale nel modo di fare esperienza, nel modo di intendere e dare senso all'esistenza. C'è un prima e c'è un poi, rispetto a questo mutamento epocale: il prima lo chiama "civiltà" e il poi "barbarie", ma avrebbe potuto benissimo usare anche altri termini.
Il prima, la "civiltà", di cui si occupa Baricco è l'epoca che parte con l'Umanesimo e si compie col Romanticismo (la modernità). Là regnava l'idea che capire e sapere volessero dire "entrare in profondità in ciò che studiamo, fino a raggiungerne l'essenza". L'essere, il valore, lo si cercava in ciò che era eterno, permanente, perfetto, e fare ciò richiedeva tempi lunghi, fatica, pazienza, tenacia, un percorso selettivo di crescita spirituale.
Poi, a un certo punto, succede che ci si rende conto che "la sproporzione fra il livello di profondità da attingere e la quantitità di senso raggiungibile è diventata clamorosamente assurda (...) La mutazione barbara scocca nell'istante di lucidità in cui qualcuno si è accorto di questo: se effettivamente scelgo di dedicare tutto il tempo necessario a scendere fino al cuore della Nona (di Beethoven), è difficile che mi resti del tempo per qualsiasi altra cosa: e, per quanto la Nona sia un giacimento immenso di senso, da sola non ne produce in quantità sufficiente alla sopravvivenza dell'individuo."
Si passa così al modo "barbaro" di intendere il valore, il senso, l'essere: superficie invece che profondità, movimento invece che permanenza, slittare velocemente sulla superficie delle cose mirando a una traiettoria che colga il senso nel rapporto fra le cose, negli eventi, nelle sequenze, nelle storie... Meno verità in cambio di più comunicazione. "Viaggi al posto di immersioni, gioco al posto di sofferenza". Per molti, oggi, "il sapere che conta è quello in grado di entrare in sequenza con tutti gli altri saperi". "Abitare più zone possibili con un'attenzione abbastanza bassa è quello che evidentemente loro (i barbari) intendono per esperienza."
Certo viene in mente la leggerezza di cui ha tanto parlato Vattimo, l'indebolimento del pensiero che deve secondo lui corrispondere all'indebolimento dell'essere stesso (l'essere come evento di cui ha parlato Heidegger), ma vengono anche in mente la leggerezza e la velocità che Calvino metteva a fuoco come valori del prossimo millennio nelle Lezioni americane.
E' cambiata, quindi, l'idea di cosa è importante e di cosa non lo è. Il problema però, dice Baricco, è che noi ci troviamo in un momento nel quale i due modi di intendere il senso e il valore delle cose, quello "vecchio" e quello "nuovo", coesistono: "siamo in bilico tra due visioni del mondo, e tendiamo ad applicarle, simultaneamente, tutt'e due. Da una parte conserviamo ancora tiepido il ricordo di quando il senso delle cose era concesso a chi avesse la purezza e il rigore di risalire il corso del tempo, e di accostarsi al luogo della loro origine. Dall'altra sappiamo ormai bene che esiste solo ciò che incrocia le nostre traiettorie, e spesso esiste solo in quel momento". Emblematico di questa condizione doppia è il binomio scuola (civiltà)/televisione (barbarie), una schizofrenia che gli adolescenti vivono quotidianamente. "E in mezzo, tra televisione e scuola, c'è tutto il campo aperto della cultura e dell'entertainment (...). Tramandare la civiltà o convertirsi alla barbarie?" Baricco propone una sensatissima via di mezzo che potremmo sintetizzare dicendo tramandare barbaricamente la civiltà o convertirsi civilmente alla barbarie. Un nocciolo ideale che può germogliare in molte direzioni sia per quanto riguarda la politica culturale sia il mondo della formazione in generale.
Una riflessione critica, a questo punto, posso permettermi di avanzarla.
Il mutamento epocale che Baricco descrive, e che pare corrispondere alla heideggeriana "fine dell'epoca metafisica", viene da lui descritto con delle coppie concettuali: profondità/superficie, verticale/orizzontale, gravità/giocosità, eternità/mutamento, essere/divenire, identità/differenza... Queste opposizioni, in fondo, non si sono già presentate più volte nel corso della storia del pensiero? Non corrispondono, in qualche modo, alle coppie Parmenide/Eraclito, Platone/Aristotele, metafisica(razionalismo)/empirismo? Questo non per dire "nulla di nuovo sotto il sole", ma per dire che probabilmente la tradizione filosofica può fornire gli strumenti migliori per pensare questa condizione contemporanea così ben descritta da Baricco. E per dire anche che forse le grandi ricostruzioni nietzscheane e heideggeriane (per non dire severiniane...) della tradizione filosofica (che riducono tutta la storia della filosofia ad un unico denominatore comune) sono semplificazioni eccessive che oscurano la ricchezza e la complessità storica del pensiero occidentale.
Altra considerazione è che non a caso la filosofia gode oggi, a quanto si dice, di una ripresa di interesse: si tratta infatti di una disciplina che allena e forma la capacità di collegare, "unificare"-generalizzare, semplificare, tradurre, mostrare la sequenza. In altri termini la filosofia ha una vocazione "barbarica" per il suo cavalcare sull'onda dei saperi senza la pretesa di scendere nella profondità di ciascuno ma cogliendo trame, percorsi, sensi, nessi, tenendo conto contemporaneamente di più punti di vista possibili. Al tempo stesso ha una vocazione "civile" perché aiuta a riportare ciascun sapere al suo fondamento, aiuta a ritrovare la sua origine.
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