23 novembre 2009

Cosa vuol dire essere darwinisti? (parte II)



Un autore che può aiutarci a costruire una nozione di "caso" più adeguata ai nostri scopi è sicuramente Georg Henrik von Wright (1916-2003), e in particolare una sua opera dal titolo Causalità e determinismo (1974).
Secondo questo autore quando parliamo di relazioni causali intendiamo riferirci a regolarità necessarie. La necessità causale va distinta dalla necessità logica. von Wright propone la seguente definizione di rapporto causale fra due eventi generici (A e B): A è condizione sufficiente di B se ogni volta che A si verifica anche B si verifica e se in tutte le occasioni in cui A non si verifica B si verificherebbe se A si verificasse. Una connessione causale è quindi in linea di principio descrivibile da una legge generale. Va però osservato che non possiamo in realtà essere certi della necessità causale, perché contiene un elemento controfattuale (B si verificherebbe se A si verificasse) : non possiamo interferire con il passato (non possiamo andare a vedere, nei casi in cui A non è accaduto, cosa sarebbe successo se fosse accaduto). Possiamo però interferire con il futuro e renderlo diverso da quello che altrimenti sarebbe. Vi è secondo von Wright un elemento controfattuale implicito nel concetto di azione. Agire significa interferire con il corso del mondo, cioè rendere vero qualcosa che altrimenti (cioè se non fosse stato per questa interferenza) non sarebbe divenuto vero del mondo a quel dato stadio della sua storia Quando agiamo siamo fermamente convinti (ma anche qui non possiamo esserne certi...) che se non agissimo le cose andrebbero secondo il loro corso "normale", in qualche modo prevedibile e "regolare" (qui immaginiamo di agire in un contesto naturale, privo di agenti umani). Se vogliamo corroborare la nostra ipotesi che la connessione fra l'evento A e l'evento B sia causale e quindi necessaria possiamo provocare artificialmente A e osservare le conseguenze (è in altri termini quello che fanno gli scienziati con i loro "esperimenti scientifici"). Per questo, secondo von Wright, il concetto di causa presuppone quello di azione. Se noi fossimo completamente passivi di fronte alla natura, se non avessimo la nozione della nostra capacità di compiere azioni, non avremmo familiarità con la nozione di controfattualità (l'idea di come sarebbe stato, se...) e non avremmo nemmeno il concetto di necessità che associamo a certe regolarità nel corso degli eventi naturali. Il concetto di necessità, se esteso a tutta la natura, produce l'idea del determinismo: se tutto ciò che accade ha una causa non esistono reali alternative nella storia del mondo. Quindi l'unico modo per pensare una storia del mondo realmente aperta, nella quale le cose sono andate in un certo modo ma avrebbero potuto (realmente, non solo logicamente) andare diversamente è sostenere che alcuni mutamenti accadono senza una causa. Ciò però non significa che non esista un loro antecedente temporale e/o contiguo nello spazio, ma solo che non esiste una connessione necessaria fra i due eventi: l'evento C ha provocato l'evento D, ma solo in quella circostanza. Il verificarsi di D, quindi, è una irregolarità, è contingente (cioè non necessario). La causalità pone delle restrizioni rispetto alle possibilità logiche di sviluppo del mondo (cioè rispetto a tutte le combinazioni possibili dei suoi elementi costitutivi). Il caso, invece, riporta gli sviluppi realmente possibili verso il numero di quelli logicamente possibili, quindi porta verso la grande variabilità, variazione, imprevedibilità. Una visione del mondo nella quale vi è spazio sia per la causalità sia per il caso è una visione che non è né determinista né indeterminista. Un indeterminista infatti riterrebbe che le alternative realmente possibili coincidano le alternative logicamente possibili e quindi non vi siano restrizioni alla "libertà" logica di sviluppo del mondo. Tornando alla questione della distinzione fra mondo fisico e mondo dei viventi si potrebbe allora dire che nel mondo fisico prevalgono relazioni causali fra gli eventi (ma sarebbe d'accordo uno studioso di meccanica quantistica?), mentre nel mondo dei viventi sono prevalenti relazioni casuali. La teoria dell'evoluzione riconosce l'importanza del caso nel mondo dei viventi, cioè riconosce l'importanza di relazioni uniche, irripetibili, irregolari, contingenti, fra gli eventi che riguardano gli esseri viventi e fra i loro componenti microscopici. Questa teoria ci insegna quindi che riconoscere l'esistenza del caso non significa rinunciare alla conoscenza e alla teorizzazione, bensì elaborare concetti adeguati agli oggetti che si studiano. Il problema filosofico sul caso in relazione alla vita e ai fatti dell'umanità è se una forte componente casuale nelle relazioni fra gli eventi introduca una svalorizzazione o no degli eventi stessi. Normalmente siamo portati a pensare che un evento necessario sia più importante di un evento casuale, ma forse proprio qui dobbiamo cominciare a cambiare idea: le vere novità, le vere svolte nella storia del mondo le introduce il caso, non la necessità! Il caso è creativo, la necessità è ripetitiva...

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