10 novembre 2009

Cosa vuol dire essere darwinisti? (parte I)

Nel suo ultimo libro Perché non possiamo non dirci darwinisti Edoardo Boncinelli propone una brillante sintesi sulla teoria dell'evoluzione incluso il neodarwinismo, con il dichiarato intento di restituire tale teoria alla scienza: non si tratta di una teoria filosofica. E' vero però, e anche Boncinelli sembra d'accordo, che è una teoria nella quale possiamo trovare punti di partenza per una riflessione filosofica sulla vita in generale e sull'uomo in particolare. Vorrei raccogliere alcune riflessioni che ho fatto leggendo il libro. A differenza del mondo fisico, dice Boncinelli, che "ha le sue leggi generali se non universali, i suoi principi particolari e locali e le sue regole applicative" il mondo della vita è diverso. "Qui non ci sono leggi universali e neppure principi particolari, mentre abbondano descrizioni e narrazioni, quasi sempre illustrate: la vita è una collezione di entità uniche, sostanzialmente irripetibili". La biologia è quindi in realtà una scienza storica, dice B.: "molte cose sono andate in una certa maniera, ma potevano anche andare in un'altra". Poco più avanti dice che anche il mondo fisico, secondo la cosmologia più recente, possiede una storia e una sua evoluzione. "Le differenze" (fra i due mondi) "risiedono nell'entità delle diverse scale temporali e nel fatto fondamentale che gli esseri viventi conservano una memoria esplicita degli eventi del passato". In altri termini: gli esseri viventi hanno un genoma, gli esseri inanimati no. Già in queste poche righe i motivi di riflessione sono molti, ma qui per ora vorrei soffermarmi su questo: in che senso possiamo dire che nel mondo della vita molte cose sono andate in una certa maniera ma potevano anche andare in un'altra? Su quali basi empiriche possiamo affermare la contingenza di un certo evento? "Tutto il processo evolutivo trae origine dal fatto che ogni tanto, per caso, nascono individui varianti in popolazioni naturali ma anche in popolazioni artificiali." "l'incostanza, il cambiamento incoercibile e il caotico procedere verso un futuro aperto è la cifra essenziale del biologico e in definitiva del vivente, in netto contrasto con l'assetto quasi regolare del mondo della fisica" Il fatto che le mutazioni genetiche siano casuali che significa? Significa "senza una direzione, una preferenza o una tendenza verso un fine particolare" (pag. 51) "Un fenomeno che avviene in modo casuale non significa che non abbia una causa: come ogni altra cosa ne avrà una o, meglio, più d'una. Solo che noi non la conosciamo (...) perché è impossibile, perché è difficile o semplicemente perché non vale la pena di cercarle. (...) quando la copiatura del DNA compie un errore causando una mutazione ci sarà certamente una causa (...) ma nel complesso non la vogliamo ricostruire perché è irrilevante rispetto al discorso generale. " In conclusione (pag. 53) "in questo contesto 'casuale' significa quindi più propriamente 'privo di una direzione e di una finalità specifica'". Su questa nozione di caso occorre approfondire. Intanto chiediamoci: se "casuale" significa "non finalizzato" non potremmo allora applicare tale definizione anche agli eventi del mondo fisico, cioè agli eventi che Boncinelli considera descrivibili da leggi generali e quindi "regolari"? Il fatto che accada una frana, uno smottamento, era forse finalizzato a qualcosa? Si dirà che però una frana, date le condizioni antecedenti, accade necessariamente, mentre le mutazioni genetiche no: sono accadute, ma avrebbero potuto non accadere. Ma abbiamo anche visto che Boncinelli non nega che anche gli eventi casuali abbiano cause. In che senso, allora, avrebbero potuto non accadere? In altri termini il problema che vorremmo affrontare è il seguente. Nella visione del mondo che Boncinelli propone vi è una differenza rilevante fra due "sfere ontologiche": il mondo fisico e il mondo vivente, l'ambito dei corpi inanimati e l'ambito degli esseri viventi. La differenza consiste a suo dire nel fatto che il primo è un mondo dove gli eventi accadono con regolarità e sono conoscibili tramite leggi generali o principi universali, mentre nel secondo mondo la caratteristica predominante è l'irregolarità, l'irripetibilità, l'imprevedibilità (anche se si possono studiare regolarità che riguardano "sezioni temporali" di questo flusso caotico di eventi). Il mondo dei viventi è il regno del caso, e sempre più spazio al caso viene lasciato nelle teorie neodarwiniste, cioè nelle versioni più aggiornate della teoria dell'evoluzione che tengono conto della genetica. Il problema è che nella definizione del concetto di caso che Boncinelli propone non vi sono elementi sufficienti a spiegare le differenze fra mondo fisico e mondo della vita che in termini generali egli efficacemente descrive. Se il caso non è secondo lui, come abbiamo visto, assenza di causa ma è solo assenza di fine non vedo sostanziali differenze col concetto di necessità. Un evento fisico, che accade regolarmente e secondo necessità, è provocato da una (o più) cause ma non ha un fine. L'idea di un finalismo negli eventi naturali è decaduta con la nascita della scienza moderna. Per spiegare e caratterizzare l'irregolarità di alcuni eventi fondamentali riguardanti la vita non basta dire che non sono diretti a un fine. D'altra parte se è vero che il concetto di caso è irrinunciabile nella teoria dell'evoluzione occorre elaborarne una definizione molto più precisa, anche perché attorno a questo concetto si gioca un discorso molto importante sul senso generale degli esseri viventi, uomo compreso.

Nessun commento: