Penso che un certo grado di libertà, che esiste in misure diverse, in gradazioni diverse, sia un punto di arrivo, non certo un punto di partenza, una dotazione "naturale" della "natura umana" (come invece nell'idea che l'uomo sia stato "fatto" con una dote speciale, il libero arbitrio, la libertà di scelta del proprio destino o della propria natura): una certa libertà è un obiettivo che possiamo raggiungere, con con fatica e difficoltà.
Ma c'è anche, rispetto alla libertà, il problema di come ci poniamo nei confronti degli altri.
Da un lato (e qui penso soprattutto a Spinoza) è bene cercare di capire, comprendere il comportamento altrui, perché inserendolo nella trama delle necessità riusciamo a provare compassione, riusciamo a trovare quel sentimento etico indispensabile per evitare la violenza, la sopraffazione, lo sfruttamento… D’altra parte però è anche giusto considerare gli altri come responsabili delle loro azioni, e quindi considerare il loro comportamento come frutto di scelte (almeno in parte) libere, e qui può nascere anche, oltre all’ammirazione o all’approvazione, l’odio, la rabbia, la condanna…
Forse dovremmo cercare di capire in che misura gli altri sono liberi e “rispondere” al loro comportamento di conseguenza, così come non ha senso arrabbiarsi con un bambino che non rispetta alcune regole che ancora non può capire. Il bambino ha un basso grado di libertà, mi verrebbe da dire, e quindi dobbiamo soprattutto comprendere la necessità del suo comportamento, le ragioni per cui agisce in un certo modo, non possiamo considerarlo un soggetto che sceglie consapevolmente, che “padroneggia la sua vita”. Un adulto, invece, almeno in parte sì.
Il problema è entrare nel merito di questi “gradi” di libertà, nel merito di questa mescolanza di libertà e destino, che in ognuno sono impastati in forme e rapporti diversi, e con ciascuno avere la “reazione” appropriata…
Il modo giusto di "rispondere" al comportamento di chi mi sta di fronte presuppone la comprensione del grado di libertà che l'altro ha raggiunto.
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