1 agosto 2022

Un progetto di studio: Harari tra scienza e filosofia

 


Questo post ha il valore di una testimonianza su un progetto di studio (o potrei anche più pomposamente dire: un "progetto di ricerca" – sul quale peraltro ignoro se sia già presente in altre menti, se sia già stato perseguito o se sia in atto da parte di altri, e invito pertanto l'eventuale lettore informato a comunicarmelo scrivendo al mio indirizzo di posta elettronica napoleoni1964@gmail.com) che ha un carattere aperto: invito l'eventuale lettore interessato a condividerlo, e quindi a collaborare, a scrivermi e comunico qui che ho anche intenzione di renderne partecipi (volenti o nolenti) i miei studenti delle future quarte – la 4B e la 4D – del liceo scientifico dove insegno (ai quali ho assegnato il primo libro della trilogia di Harari come lettura estiva).

L'idea è quella di leggere (o rileggere) la trilogia di Harari come un'opera che si colloca decisamente sullo sfumato confine tra scienza (in questo caso la scienza storica, con tutti i suoi addentellati scientifici – dalla teoria dell'evoluzione all'antropologia, dalla psicologia all'economia –) e filosofia. Più chiaramente espresso: dall'idea preliminare che mi sono fatto da una prima lettura (peraltro parziale) della trilogia, ritengo che Yuval Noah Harari sia di fatto un filosofo, molto più di quanto lui stesso ammetta, e che come filosofo abbia anche espresso, in questi tre libri, delle idee degne di essere considerate molto seriamente dai cosiddetti "filosofi di professione".

Solo un esempio, tratto dalle prime pagine di Sapiens.

Scrive Harari (nel primo capitolo di Sapiens, intitolato "Un animale di nessuna importanza"):

«Fino a tempi molto recenti, la posizione di Homo nella catena alimentare è rimasta stabilmente su un punto mediano. Per milioni di anni gli umani hanno cacciato piccole creature raccolto quel che potevano, essendo intanto oggetto dell'attenzione di predatori più grandi. Fu solo 400.000 anni fa che alcune specie umane cominciarono a cacciare in pianta stabile selvaggina di grande taglia, e solo 100.000 anni fa – con la nascita di Homo sapiens – l'uomo si insediò in cima alla catena alimentare. Quel salto spettacolare dalla posizione mediana al vertice ebbe enormi conseguenze. Altri animali, come i leoni e gli squali, avevano guadagnato quella posizione molto gradualmente, impiegandoci milioni di anni. [...] Gli umani, invece, raggiunsero la vetta così in fretta che l'ecosistema non ebbe il tempo di equilibrare le cose. Per giunta, neppure gli stessi umani riuscirono ad adattarsi. I principali predatori del pianeta sono in gran parte creature maestose. Il fatto di aver dominato per milioni di anni ha infuso loro un'assoluta sicurezza. Al contrario, il Sapiens somiglia al dittatore di una repubblica delle banane. Essendo noi stati, fino a poco tempo fa, tra le schiappe della savana, siamo pieni di paure e di ansie circa la posizione che occupiamo, il che ci rende doppiamente crudeli e pericolosi. Molte calamità storiche, dalle guerre mortali alle catastrofi ecologiche, sono la conseguenza di questo salto oltremodo veloce.».

Nel paragrafo successivo Harari passa a descrivere l'addomesticamento del fuoco come tappa importante verso il raggiungimento della cima della catena alimentare. Ma il tema viene ripreso, in altri luoghi della trilogia. Il tema filosofico che a me qui sembra emergere è quello del classico problema .sull'origine del male. Perché il male? Perché il male esiste? (problema che presuppone di avere già dato una risposta positiva alla domanda se il male esista oggettivamente o sia solo una percezione soggettiva, una valutazione soggettiva... in ogni caso i due esempi che fa Harari sono molto evidenti al riguardo: le guerre e le catastrofi ecologiche provocate dall'uomo). La questione che mi pongo allora è la seguente.

Harari sta qui consapevolmente formulando una ipotesi teorica attendibile sull'origine del male? È, nel caso, la sua ipotesi teorica un'alternativa reale rispetto a un'altra teoria (sempre scientifico-filosofica, guarda caso!) importante (secondo Civita importante e ancora da considerare perché non ve ne sono in circolazione molte altre a disposizione e altrimenti il problema rimane insoluto... Civita lo scrive nel libro L'inconscio) sull'origine del male, ovvero la teoria di Freud sulla pulsione di morte?

Si tratterebbe di vedere se questa idea di Harari si possa elaborare meglio (o se ci siano altri luoghi nella produzione di Harari dove lui stesso lo abbia già fatto – qui confesso la mia ignoranza, uno dei motivi che mi ha anche spinto a uno studio sistematico della trilogia): in noi ci sarebbero delle paure e delle ansie ataviche legate al fatto che siamo diventati dominatori del mondo vivente in modo "troppo veloce" e tenderemmo a reagire a queste insicurezze di fondo con l'aggressività verso le altre specie, verso l'ambiente e verso i nostri stessi simili.

Oltre a questo esempio, se ne possono trovare molti altri nel corso della lettura, ma al di là di singoli esempi su singole tematiche – e almeno un'altro voglio citare di sfuggita, ovvero che molte delle cose che noi umani riteniamo importanti in realtà non esistano e siano solo il frutto di finzioni condivise – è tutta la trilogia che è intrisa di filosofia, nella misura in cui racconta una storia dell'umanità che è proprio una storia, dotata di un forte senso unitario, con una previsione sul futuro e un monito sul presente.


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