9 agosto 2022

Il paradosso di Harari: la "VERA storia" e la cooperazione globale umana: nuova fondazione o precipizio? (aggiornato il 25 agosto)

 



Nell'universo non esistono dèi, non esistono nazioni né denaro né diritti umani né leggi, e non esiste alcuna giustizia che non sia nell'immaginazione comune degli esseri umani

Y. N. Harari, Sapiens, ed. it,  p. 41


C'è un paradosso fondamentale, nel discorso di Harari, che sostanzialmente corrisponde al paradosso del nichilismo (quindi a tutto il problema delle conseguenze, indagate da Nietzsche, della cosiddetta "morte di Dio"... del passaggio da nichilismo passivo a nichilismo attivo eccetera) e quindi non è una novità assoluta in filosofia, ma nel discorso di Harari emerge in modo particolarmente chiaro e stridente.

Da una parte Harari ci dice (Cap. 2, pag. 35-36), parlando della Rivoluzione cognitiva, che uno dei presupposti delle teorie che spiegano l'origine del linguaggio umano è che Homo sapiens sia innanzitutto un animale sociale: "La cooperazione sociale è la nostra chiave per la sopravvivenza e la riproduzione. Agli individui, uomini o donne che siano, non basta sapere dove ci sono i leoni o i bisonti. Molto più importante per loro è sapere, riguardo al proprio gruppo, chi odia chi, chi dorme con chi, chi è onesto e chi è un imbroglione. [...] Di solito, infatti il gossip s'incentra sulle malefatte. Il vero quarto potere sono le malelingue e i cronisti, che tengono informata la società e così la proteggono dagli imbroglioni e dai parassiti". 

Dall'altra parte, Harari ci rivela che questa capacità cooperativa si fonda sulla credenza condivisa nell'esistenza di cose che in realtà non esistono affatto! "Tuttavia la caratteristica davvero unica del nostro linguaggio non è la capacità di trasmettere informazioni su uomini e leoni. È piuttosto la capacità di trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto. Per quanto ne sappiamo, solo i Sapiens sono in grado di parlare di intere categorie di cose che non hanno mai visto, toccato o odorato. Leggende, miti, dei e religioni comparvero per la prima volta con la Rivoluzione cognitiva. [...] Tale capacità di parlare di fantasie inventate è il tratto più esclusivo del linguaggio sapiens. [...] Il punto è che la finzione ci ha consentito non solo di immaginare le cose, ma di farlo collettivamente. Possiamo intessere miti condivisi come quelli della storia biblica della creazione, quelli su Tempo del Sogno elaborati dagli aborigeni australiani e quelli nazionalisti degli stati moderni. Questi miti conferiscono ai Sapiens la capacità senza precedenti di cooperare in maniera flessibile e in comunità formate da moltissimi individui [...] I Sapiens sono in grado di cooperare in modi estremamente flessibili con un numero indefinito di estranei".

Ora, la questione è questa: l'umanità, la specie Sapiens, ha sempre più bisogno, di fronte soprattutto al micidiale problema del surriscaldamento planetario, di una forma di cooperazione finora inedita: una cooperazione di specie, su scala globale. Ma NON sembriamo possedere le immagini (le storie condivise, le credenze condivise) giuste a supportare questa forma di cooperazione. Quali potrebbero essere le immagini giuste, le storie giuste, condivisibili da tutta l'umanità, per arrivare alla cooperazione globale?

Harari, con il suo libro e poi la trilogia, non va, in fondo, in direzione contraria? Svelando l'inesistenza dei miti di condivisione (religioni, nazionalismi, ma addirittura diritti umani) non sottrae definitivamente la possibilità di costruire un nuovo mito condiviso che fondi la cooperazione globale? 

Harari sembra puntare tutto, in realtà, sulla proposta della VERA storia dell'umanità. Dire in modo aperto, e sulla base di una visione scientifica (e, direi, ontologicamente fisicalista, ovvero che ritiene che le cose realmente esistenti siano unicamente le cose di cui parla la fisica)[1], che gli oggetti delle grandi credenze condivise IN REALTÀ NON ESISTONO, creare questa consapevolezza condivisa, può fare, credo pensi Harari, da base per un "nuovo mito" che possa unire la specie in cooperazioni su scala globale. Questo "nuovo mito", la VERA STORIA, sarebbe però in sostanza l'assenza di miti, sarebbe LA VERITÀ (certamente la verità scientifica, quindi sempre rivedibile e migliorabile, quindi non assoluta, definitiva e incontrovertibile, ma sempre aperta alla revisione critica...)

Se la capacità di credere collettivamente è sempre stata basata sulla finzione, come si può pensare che adesso sia la verità scientifico-filosofica a fare da base? 

Il "paradosso di Harari" consiste quindi in questo nodo, tipico della situazione contemporanea dell'umanità: da una parte la necessità di fondare un discorso che abbia la capacità di coinvolgere globalmente alla cooperazione, e la consapevolezza che finora le cooperazioni (per grandi gruppi culturali, per nazioni) si sono basate su finzioni. Dall'altra la decisione di distruggere definitivamente ogni mito, ogni credenza basata su finzioni e proporre un discorso vero, il risultato delle conoscenze scientifiche attuali, divulgato in modo eccellente con una STORIA, come possibile nuova base per una cooperazione ancora maggiore di quelle tradizionali, su scale globale. 

Non c'è il rischio che questa operazione di svelamento sia controproducente? Perché in fondo anche i valori su cui si basano le società liberal-democratiche (libertà, uguaglianza) sono COSE CHE NON ESISTONO (se è valido il presupposto fisicalista...). Quindi perché dovremmo crederci, se non esistono?

Forse la scommessa di Harari (e prima di lui di tanti altri, risalendo almeno fino a Spinoza, ma senza passare da Schopenhauer!) è che guardando le cose in faccia, per quello che sono veramente, realmente, scatti una passione, un amore, un sentimento di gratitudine per il fatto stesso che le cose naturali esistano e noi viventi, noi umani, esistiamo, e di conseguenza la voglia di preservare le meraviglie della natura e di noi stessi. L'immensità e complessità dell'universo (fonte inesauribile di desiderio di conoscenza), ma soprattutto lo straordinario equilibrio di condizioni che ha consentito lo svilupparsi della vita sul pianeta Terra, la straordinaria condizione dell'essere vivi, quindi di avere una coscienza, e in particolare una mente in grado di pensare e immaginare, sono cose reali che dovrebbero, se ben comprese, suscitare un sentimento e quindi generare valori e credenze condivise, questa volta da tutti gli esseri umani.

Resta però aperta un'altra possibilità, ovvero che raccontare la verità generi sconforto, dolore, sofferenza, perché la verità può essere anche molto dolorosa e difficile da accettare. La storia vera è fatta anche di sopraffazione, di sfruttamento, di guerre, e la vita è anche violenza, malattia, dolore (qui Schopenhauer docet, almeno nelle descrizioni minuziose degli "orrori" della natura)... E lo sconfinato e immenso universo potrebbe anche provocare un sentimento di annullamento, di vuoto, di totale e irrimediabile mancanza di senso.

Aggiungo infine che il progetto di Harari mi sembra andare sostanzialmente nella direzione giusta, ma richiederebbe secondo me una ontologia più permissiva, ovvero: ci sono diversi modi di esistere, diversi tipi di "oggettività" (esistono oggetti fisici, oggetti biologici, ma esistono anche valori...). La direzione giusta è quella di diffondere una visione scientifica del mondo e dell'uomo, che possa fare da fondamento condiviso su scala globale da tutti gli esseri umani. Anche qui, però, nella visione scientifica occorrerebbe integrare non solo fisica, chimica e biologia, ma anche psicologia, scienze umane in generale e filosofia. Il problema però è che nelle scienze umane, per non dire nella filosofia, non c'è una visione unitaria, condivisa... sono discipline nelle quali sembra inevitabile il pluralismo dei punti di vista. Rimando, per un approfondimento di questa prospettiva, a un mio vecchio progetto di "sistema": Progetto PICO. Per un sistema filosofico 2.0


[1] Forse sarebbe più corretto dire che il presupposto ontologico di Harari è una forma di naturalismo, a p. 46 infatti leggiamo: "Provate solo a immaginare quanto sarebbe stato difficile creare stati, chiese o sistemi giuridici se avessimo potuto parlare soltanto delle cose che esistono veramente, come i fiumi, gli alberi e i leoni". Pe naturalismo, grosso modo, si intende la concezione filosofica che ritiene esistenti le cose di cui parlano le scienze naturali. Per un approfondimento del concetto di naturalismo rimando a Il migliore dei naturalismi possibili, di Mario De Caro e Alberto Voltolini


Questo post si inserisce in un progetto lanciato in un precedente post.

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