29 settembre 2020

Cosa ho capito sulla DDI (Didattica Digitale Integrata): riflessioni a priori.

 




(immagine tratta da www.tes.com, TIC e l'autonomia per ELI-IBER by Irene Campari)


Rifletto in vista dell'imminente collegio docenti nel quale dovremo approvare il Piano Scolastico per la Didattica Digitale Integrata (da noi non ancora iniziata, in attesa dell'adeguamento tecnologico dell'istituto, ma ormai vicina).

L’esigenza di riaprire le scuole mantenendo il distanziamento sociale è un’esigenza contingente, legata alla situazione Covid, ma non è più emergenziale (come è stata la DAD, didattica a distanza): c’è stato il tempo di riflettere su come fare, e questa riflessione ha prodotto l’idea della DDI, che concretamente si può declinare in una serie di modelli diversi. Ogni scuola adotta un suo modello di riduzione degli alunni in presenza e di turnazione fra gruppi/classi in presenza e gruppi/classi a distanza.

Nel caso del nostro Istituto (che ha scelto un modello diffuso, ma con varianti - per esempio al liceo Marconi di Milano fanno come noi, ma l’alternanza dei gruppi non è settimanale: loro alternano a giorni, per cui il gruppo A viene in una settimana tre giorni a scuola e nella successiva due giorni, e così il gruppo B nella prima viene due giorni e nella seconda tre…) il problema principale è quello di dover agire contemporaneamente su due livelli: in presenza e a distanza. Le linee guida del ministero dicono che occorre evitare che i contenuti e le metodologie della DDI “siano la mera trasposizione di quanto solitamente viene svolto in presenza”. Cosa significa questo?

Che si sono immaginati uno studente che segua da casa sei ore di lezioni frontali trasmesse in streaming… riprendo le parole di Pietro Alotto (un collega che è anche blogger e ha scritto riflessioni sulla DDI): "La passività dello studente, penosa costante delle tradizionale lezione trasmissiva in aula, diventa mortifera e devastante in termini di attenzione, di concentrazione e di efficacia didattica, ‘a distanza’.”

In altri termini:  se già è difficile per gli studenti in aula tenere la concentrazione su lezioni frontali, per gli studenti a casa, che non sono immersi nella situazione spaziale e non possono spostare lo sguardo sull’intero spazio-classe perché hanno il punto di vista fisso di una videocamera che riprende il docente e la lavagna, diventa molto più pesante trarre profitto da quel tipo di metodologia (che è quella ancora oggi largamente diffusa). Va aggiunto che le classiche varianti della lezione frontale, normalmente costituite dalla lezione aperta, che consente domande da parte degli studenti, con risposte immediate del docente, o la lezione partecipata, dove il docente pone domande agli studenti mentre spiega, sono anche queste difficilmente fruibili dagli studenti a casa, perché sentono male gli interventi dei loro compagni in aula (il microfono del computer è rivolto verso il docente e capta male i suoni che provengono dall’intera aula…).

Da qui, di conseguenza, le affermazioni delle linee guida secondo le quali la didattica in presenza deve adattarsi a quella a distanza, e la DDI va concepita come una metodologia innovativa, con i vari suggerimenti (didattica breve, classe capovolta ecc.) che sono accomunati da un unico criterio fondamentale: un ruolo più attivo dello studente.

In sostanza, l’idea della DDI (che affianca/si alterna alla didattica in presenza (DIP)) è l’occasione per RIPENSARE la didattica tradizionale. Un’occasione che in questo momento è un obbligo contingente, ma che potrebbe diventare punto di partenza per un rinnovamento delle metodologie didattiche con ricadute profonde e durature nel futuro.

Forse siamo di fronte a un passaggio storico irreversibile nella scuola italiana, perché siamo chiamati adesso a uno sforzo di innovazione anche creativa (non è detto che i modelli didattici “avanzati”, “alternativi" già esistenti siano quelli giusti…) che in realtà era “richiesto” già prima della pandemia per ragioni di efficacia didattica e di mutamento dei tempi: le nuove tecnologie  informatiche e di comunicazione, l’esistenza della rete, pongono gli studenti in una richiesta di cambiamento, finora “inespressa” e forse inconsapevole per loro stessi, ma che sta emergendo e forse non è più eludibile.


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