29 agosto 2020

Libero arbitrio: una questione di gradi

 




Si può essere più o meno liberi (nel volere), a seconda delle circostanze e a seconda degli individui. Forse, possiamo dire, anche a seconda delle epoche storiche e delle zone geopolitiche...

So per certo che questa tesi, che vorrei sostenere e sviluppare, non è mia; ma fatico a rintracciare le sue radici storico-filosofiche.

Voglio riportare in questa pagina web, via via che le ritroverò, le tracce di questa tesi nei testi e nel pensiero di autori che ho incontrato.


Alfredo Civita: (da una lettera che mi scrisse, pubblicata in questo blog)

Tutti i nostri comportamenti sono motivati da istanze inconsce? Lo escludo assolutamente, e credo non vi sia neanche bisogno di argomentare questa risposta. Per esempio, se, dopo aver fatto colazione e aver pranzato, vado a cena al ristorante e ordino una cotoletta, l’ordinazione della cotoletta è forse ascrivibile a motivi inconsci? Ma scherziamo: né Freud, né la psicoanalisi attuale e, nel mio piccolo, neanche io, ripudiamo il libero arbitrio, la libertà del volere. Del resto, il trattamento psicoanalitico non avrebbe alcun senso in una prospettiva deterministica. Lo scopo della psicoanalisi è infatti proprio quello di rendere il soggetto più consapevole di se stesso e di conseguenza più libero. La psicoanalisi, e in particolare la psicoanalisi clinica, è incompatibile con il determinismo – sebbene Freud, ossessionato dal fare della psicoanalisi una scienza a pieno titolo, si è più e più volte gingillato con questo ordine di idee. Ma è ben noto che nella vastissima produzione freudiana si può trovare, solo lo si voglia, tutto e il contrario di tutto. E questo soprattutto a livello metapsicologico ed epistemologico.

(corsivo e grassetto miei)

A commento del brano di Civita aggiungo che mi sembra molto importante anche il nesso che istituisce fra grado di consapevolezza e grado di libertà.

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