12 settembre 2011

Inconscio e libertà. Risposta di Alfredo Civita





Caro Giulio,

Provo a rispondere ai due ardui quesiti che hai sollevato nella lettera. Nel replicare al primo quesito adotterò il terzo livello, rispondo in quanto me stesso, Alfredo Civita. Il terzo livello tuttavia s’intreccerà fatalmente con gli altri due.
Tutti i nostri comportamenti sono motivati da istanze inconsce? Lo escludo assolutamente, e credo non vi sia neanche bisogno di argomentare questa risposta. Per esempio, se, dopo aver fatto colazione e aver pranzato, vado a cena al ristorante e ordino una cotoletta, l’ordinazione della cotoletta è forse ascrivibile a motivi inconsci? Ma scherziamo: né Freud, né la psicoanalisi attuale e, nel mio piccolo, neanche io, ripudiamo il libero arbitrio, la liberta del volere. Del resto, il trattamento psicoanalitico non avrebbe alcun senso in una prospettiva deterministica. Lo scopo della psicoanalisi è infatti proprio quello di rendere il soggetto più consapevole di se stesso e di conseguenza più libero. La psicoanalisi, e in particolare la psicoanalisi clinica, è incompatibile con il determinismo – sebbene Freud, ossessionato dal fare della psicoanalisi una scienza a pieno titolo, si è più e più volte gingillato con questo ordine di idee. Ma è ben noto che nella vastissima produzione freudiana si può trovare, solo lo si voglia, tutto e il contrario di tutto. E questo soprattutto a livello metapsicologico ed epistemologico.
Freud, al pari di Binswanger, considerava la malattia psichica come una coartazione della libertà. La cura doveva restituire al paziente la libertà, insieme a un’altra cosa assai più scomoda: la comune e universale infelicità del vivere. In luogo della sofferenza nevrotica, la psicoanalisi porta la sofferenza normale, la mancanza, le ansie e il senso di vuoto che immancabilmente segnano l’esistenza di ogni essere umano, per quanto psichicamente sano possa essere.
Freud afferma che i fenomeni psichici influenzati dall’inconscio appartengono a quattro tipologie, come ricordi anche tu, Giulio, nella lettera: atti mancati, motti di spirito, sintomi e sogni. Qui devo sdoppiare il mio ruolo di filosofo da quello di clinico a indirizzo psicoanalitico. Da filosofo non posso che essere d’accordo con Jaspers laddove afferma che Freud voleva,  e aggiungerei doveva, trovare dovunque un senso. Un evento privo di senso, nel mondo umano, gli era intollerabile.
Da clinico devo invece concordare con Freud in questo senso: quando un paziente compie in seduta o fuori un atto mancato, oppure quando mi racconta un sogno, l’atto mancato e ancor più il sogno mi offrono un materiale inestimabile per far procedere l’analisi, per conseguire una conoscenza condivisa della sua personalità. Vi sono pazienti che non portano sogni, oppure li portano e li lasciano lì in attesa di una mia magica e decisiva interpretazione. Questa tipologia di pazienti non è adatta per il trattamento analitico propriamente detto. Occorre modificare la tecnica. Ma se il paziente racconta il sogno e poi, senza paura, lavora con la mente per afferrarne il significato, allora questa è in tutto e per tutto psicoanalisi – con ottime prospettive non già di guarigione, perché non se ne parla, ma di essere finalmente nelle condizioni di fare a meno dei suoi sintomi.
Con ciò spero di aver risposto in qualche modo alla prima domanda; passo ora alla seconda: le pulsioni sono inconsce? La risposta canonica di Freud sostiene che le pulsioni non sono né consce né inconsce; le pulsioni non sono contenuti psichici, si trovano sul confine tra il biologico e lo psichico; quando tuttavia la pulsione viene attivata dalla corrispondente fonte somatica, per esempio la regione della sessualità in rapporto alla pulsione sessuale, la pulsione, così attivata, investe con tutta la sua potenza una rappresentazione, la quale si trasforma in un moto pulsionale di desiderio. Questo, essendo inconscio, non viene percepito dalla coscienza, ma esercita su di essa una pressione dalla quale non si può sfuggire. Per essere accettata dalla coscienza – Freud pensa soprattutto a desideri sessuali incestuosi – il moto pulsionale di desiderio deve trasfigurarsi, mascherarsi così da farsi accettare dalla coscienza. Il desiderio resta comunque quello originario, nonostante il mascheramento. Alla tua domanda, se questo ragionamento, metta in dubbio la libertà del volere, rispondo che sono d’accordo. Ma Freud, che pure ha contribuito profondamente a modificare il suo tempo, a quel tempo vittoriano pur sempre apparteneva:  che una persona potesse essere consapevole di un desiderio incestuoso oppure omosessuale, era, credo, un pensiero per lui difficile da digerire.
Concludo con una breve riflessione personale sulle pulsioni. La comunità psicoanalitica è andata gradualmente rinnegando l’idea stessa di pulsione. In parte sono d’accordo, perché, da un punto di vista neurobiologico, il concetto di pulsione è oggi insostenibile. Ma come ho scritto anche nel mio libro, la domanda che sorge è: se le pulsioni non esistono, se non esiste in particolare la pulsione di morte, cosa ci resta per rendere ragione e di molte patologie individuali e della distruttività del genere umano?

Alfredo Civita

(con questa lettera Civita rispondeva a una mia lettera, scaturita dalla lettura del suo libro L'inconscio)

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