25 maggio 2010

Ontologia e dissesto nei saperi

L'ontologia può essere il campo nel quale lavorare a un riordinamento/semplificazione/collegamento dei vari pezzi nei quali si è frammentato il sapere, sempre che riesca a non diventare anch'essa disciplina solo specialistica ma si apra a una comunicazione allargata verso il grande pubblico: sogno un'ontologia "alla portata di tutti", costruita utilizzando in maniera raffinata e immaginosa il linguaggio naturale. Il compito sarebbe infatti anche quello di riflettere e almeno in parte ricucire e colmare l'enorme divario ormai esistente fra discipline scientifiche e uso comune del linguaggio naturale. Il problema è che per fare questo occorre calarsi almeno per un certo tratto nelle varie scienze, in modo da farsi un'idea abbastanza precisa del fondamenti e dei "contorni" per poi riuscire a restituire tutto questo in un discorso unitario nel quale le diverse prospettive possano essere messe a confronto. Il filosofo quindi oggi più che mai dovrebbe essere un "dilettante di professione", uno "specialista della non-specializzazione"? Sì, almeno nella fase di ricerca, immersione-scavo nei saperi, ma poi deve sfruttare tutta la specificità della sua tradizione (il grande patrimonio delle opere filosofiche scritte nei secoli) per costruire questa nuova "macroteoria" posta in modo trasversale rispetto alle barriere di incomunicabilità e ignoranza reciproca che affliggono la cultura attuale. Tornare all'ideale "pace filosofica" sognata da Pico della Mirandola? Un ostacolo, che segnala secondo me un nodo tuttora molto difficile da sciogliere, è il rapporto di tutto questo con l'esperienza religiosa... La religione (penso soprattutto ai monoteismi) sembra essere un elemento refrattario all'operazione che qui stiamo prospettando, soprattutto per la sua secolare incapacità di ascoltare la scienza. Ma ancora una volta, per chi sia interessato a questa impresa (marginale rispetto al compito fondamentale proposto in quest'articolo all'ontologia) la filosofia ha da proporre, nella sua tradizione, diverse modalità di "accoglimento" della religione nel discorso più ampio della ragione (pensiamo a Kant, a Hegel, a Pareyson) ...

"Il labirinto dell'essere". Indice di un libro immaginario






1. Il linguaggio naturale: disordine nell'uso di "essere"

2. Filosofia: opzioni teoriche di base sul tema ontologico

3. Filosofia: opzioni teoriche di base sulla possibilità

4. Matematica: gli enti astratti

5. Fisica, chimica, biologia: gli enti naturali

6. L'ente che parla e teorizza: i vissuti, la "natura umana", il "soggetto"

7. Scienze umane e storia: gli enti culturali/sociali

8. Fra ragione e immaginazione: gli oggetti inesistenti, i paradossi, l'impossibile, il nulla

9. Fra teoria e prassi: il senso, i valori, il nichilismo

10: Etica, teoria dell'argomentazione, politica: le azioni

15 maggio 2010

La filosofia come sistematica esplorazione delle possibilità. Cosa può insegnare ai filosofi il gioco degli scacchi.

Ho appena finito di leggere il saggio di Andrea Borghini Che cos'è la possibilità, edito da Carocci nel gennaio 2009. L'autore presenta otto teorie che rispondono al problema "Cosa significa dire che una certa situazione è possibile?": scetticismo, espressivismo, modalismo, realismo modale, ersatzsimo, finzionalismo, agnosticismo, disposizionalismo. Alla fine, nelle Conclusioni, scrive: "Quale soluzione scegliere? Si eviteranno qui sentenze finali. Se è vero che tutto ciò che è è quel che è anche in virtù di ciò che potrebbe essere, ci si augura che siano molte le possibilità teoretiche qui aperte. Al lettore il piacere della scelta". Una predilezione dell'autore traspare ed è per l'ultima teoria, da lui stesso elaborata in precedenti lavori, ma al di là di questo quello che qui mi interessa mettere a fuoco è invece proprio l'impostazione generale del testo, il voler essere una panoramica sulle possibilità teoretiche aperte fin qui rispetto al problema filosofico della possibilità. Mentre lo leggevo provavo la stessa sensazione che ho provato tutte le volte che mi sono messo a studiare, per imparare a giocare meglio a scacchi, la cosiddetta "teoria delle aperture". Ci sono diversi modi di iniziare una partita: inizia il Bianco, e la sua prima mossa è già molto significativa e condiziona il futuro svolgersi della partita. Il Nero a sua volta ha diverse buone risposte possibili rispetto a ciascuna delle prime mosse del Bianco, e così via. Queste ramificazioni delle possibilità sono state studiate dalla teoria scacchistica. In alcuni casi la teoria si spinge a indagare fino alla ventesima mossa, suggerendo le risposte migliori per entrambi e analizzando possibili varianti, in altri casi si ferma molto prima. La maggiore o minore profondità teorica dipende dalla maggiore o minore frequenza con la quale certe possibilità vengono di fatto giocate e sperimentate. Le varie aperture sono state classificate in tre grandi insiemi: "gioco aperto" (il Bianco apre avanzando il pedone di Re di due passi e il Nero risponde specularmente), "gioco semi-aperto" (il Bianco apre come sopra, ma il Nero risponde diversamente), "gioco chiuso" (il Bianco non inizia muovendo il pedone di Re). In effetti le prime due mosse influenzano molto il tipo di gioco che poi segue: per gioco "aperto" si intende una partita basata molto sulle combinazioni tattiche, sui colpi di scena, sugli attacchi violenti, mentre per gioco "chiuso" si intende una partita più statica, basata sulla strategia, sulla forza delle posizioni, su piccoli vantaggi portati pazientemente fino al finale, nel quale si rivelano decisivi. Un'impressione analoga l'ho provata leggendo Analitici e continentali di Franca D'Agostini, ma anche leggendo Parole, oggetti, eventi di Achille Varzi. La filosofia somiglia alla teoria delle aperture negli scacchi quando consiste nel presentare una rassegna di possibilità teoriche mostrando come dalle opzioni iniziali derivino poi una serie di conseguenze, problemi, possibili obiezioni e relative risposte eccetera. Questa è forse la forma nella quale oggi può presentarsi un sistema filosofico: l'esplorazione sistematica di tutte le possibili opzioni iniziali nel campo delle teorie (filosofiche, scientifico-esatte, scientifico-naturali, scientifico-spirituali), nel campo degli atteggiamenti e nel campo della prassi e il mostrare come da queste opzioni iniziali (ovvero dai fondamenti) derivino conseguenze problematiche, epistemologiche, ontologiche, etiche... , sviluppando maggiormente l'analisi laddove le opzioni sono maggiormente frequentate nella realtà perché risultano in qualche senso vantaggiose, produttive, "vincenti".

3 maggio 2010

L'esistenza del possibile: Leibniz, Kant e Ferraris lettore di Kant






Per Leibniz le cose e gli eventi del mondo sono possibilità realizzate. Le possibilità sono infinite. Il mondo è una realizzazione fra gli infiniti mondi possibili. E' possibile ciò che non è contraddittorio. Il mondo è l'unico, fra i mondi possibili, che possiede una caratteristica in più, che manca a tutti gli altri: l'esistenza. Quindi il campo del reale è molto più ristretto del campo del possibile. Ma il campo del possibile, per Leibniz, in qualche modo esiste! Dio ha operato una scelta fra infiniti mondi possibili e ne ha realizzato uno: ciò significa che i mondi possibili hanno (o avevano, prima della scelta divina) una qualche forma di esistenza, altrimenti non si potrebbe parlare di scelta... Possiamo allora distiguere, se restiamo nella filosofia di Leibniz, fra esistenza logica e esistenza reale?

Per Kant l'esistenza non è un predicato reale, cioè una caratteristica che vada inclusa nella definizione di un oggetto: "Il reale non viene a contenere niente più del semplice possibile. Cento talleri reali non contengono assolutamente nulla di più di cento talleri possibili" nel senso che il concetto (il possibile) descrive adeguatamente l'oggetto (il reale) "ma rispetto allo stato delle mie finanze nei cento talleri reali c'è più che nel semplice concetto di essi (cioè nella loro possibilità)."

Secondo Maurizio Ferraris (cfr. Goodbye Kant!, pag. 58) dal punto di vista ontologico, per Kant, esiste solo il reale: con cento talleri possibili non posso comperare nulla, perchè appunto non esistono! "Il possibile, semplicemente, non c'è. Non più di quanto un biglietto alla lotteria equivalga da solo a una vincita reale" dice Ferraris interpretando Kant.

Ho qualche dubbio su questa lettura di Kant: i concetti, per Kant, non esistono? Se esiste solo ciò che occupa un posto nello spazio e nel tempo dove le mettiamo le cose in sé? Forse anche in Kant occorre distinguere tra significati diversi dell'essere.

In ogni caso bisogna stare molto attenti: se si nega l'esistenza del possibile si finisce per negare anche la contingenza del reale: se non ci sono possibilità alternative tutto ciò che accade è necessario (ma allora si dà troppa importanza all'esistente, tutto appare come calcolato fin dal principio, tutto previsto in anticipo... se tutto fosse così importante il mondo dovrebbe anche essere migliore, senza disastri...).

Ultima considerazione (da approfondire): a favore di una concezione non univoca dell'essere c'è la stessa differenza fra possibilità e realtà. Non possono esistere nello stesso senso, altrimenti cosa le distinguerebbe? Quindi l'esistenza del possibile deve essere distinta dall'esistenza del reale.


26 aprile 2010

Ritmo!



Due autori classici che si sono sbizzarriti (con modulazioni spagnoleggianti, cromatismi, virtuosismi...) sul ritmo del fandango:

Domenico Scarlatti


e il suo allievo

Antonio Soler

Per me: piacere allo stato puro!

Fuga dall'ontologia?




Cosa esiste? Cosa potrebbe o avrebbe potuto esistere? Cosa non può o non avrebbe potuto esistere? Cosa significano i verbi “essere” ed “esistere”?
Queste domande costituiscono l’ontologia.
C’è un certo accordo, oggi, nel panorama filosofico, sul fatto che le domande ontologiche sono tornate (già da un po’) a essere interessanti, probabilmente perché le risposte ci aiuterebbero a mettere un po’ di ordine nella (sempre crescente?) caoticità e complessità dei saperi e delle esperienze umane, sia nei rapporti sociali, sia nei rapporti interculturali sia nei rapporti con la natura.
Ma l’ontologia è un campo problematico. E’ molto difficile costruirla, farla progredire, soprattutto se si cerca di costruirne una condivisa, che possa servire da sistema di riferimento comune.
Essendo un campo problematico, chi se ne occupa a fondo tende a spostarsi sulla meta-ontologia, cioè tende a produrre riflessioni su come produrre un’ontologia, su quali possano essere i suoi fondamenti e le sue condizioni.
Ma la meta-ontologia non va confusa con l’ontologia.

I filosofi ripropongono con interesse le domande dell’ontologia, ma danno delle risposte? Abbiamo teorie ontologiche all’altezza dei tempi e condivise (o almeno conosciute nella comunità filosofica)?
In realtà, uno dei problemi ‘meta-ontologici’ principali consiste nel fatto che le scienze, soprattutto quelle naturali, in un certo senso danno già risposta alla domanda ontologica. Alcuni filosofi accettano questo “passaggio di mano”, altri lo rifiutano e ritengono ci sia ancora spazio per un’ontologia filosofica. Altri ancora (per esempio Hilary Putnam, vedi il suo Etica senza ontologia, 2004) pensano che proprio la vicinanza alla scienza renda le domande filosofiche sull’essere in fondo illegittime se non insensate: «fare ontologia» ha scritto Putnam «è come cavalcare un cavallo morto».
Chi accetta che sia la scienza la vera erede dell’ontologia in ogni caso resta col problema di scegliere, o conciliare, le ontologie diverse che corrispondono alle tre “regioni scientifiche”: scienze della natura, scienze esatte e scienze dello spirito. A esistere in senso forte sono gli enti naturali, gli oggetti astratti o gli oggetti culturali-sociali?
Chi rivendica lo spazio e la necessità di un’ontologia filosofica si trova d’altra parte a dover scegliere quale strada imboccare, quale “stile filosofico” adottare: ermeneutico? fenomenologico? analitico?
In fondo, quindi, le difficoltà che incontra chi vuole costruire una ontologia sono le stesse difficoltà di chi vuole costruire una (semplice) filosofia (cioè la necessità di occuparsi dei problemi fondamentali, della ragione, del logos…). Ma è bene rendersene conto, cioè è bene capire che occuparsi di ontologia non significa occuparsi di un settore specifico all’interno di un più vasto campo che è quello della filosofia generale, o meta-filosofia. Occuparsi di ontologia significa confrontarsi con tutta la grande tematica della filosofia generale, vuol dire in sostanza riappropriarsi della nozione ampia di filosofia e riproporla coraggiosamente, al di là del fatto che le scienze sottraggono continuamente terreno e al di là del fatto che la filosofia stessa tende a frantumarsi in settori specialistici di ricerca.
Il ritorno di interesse per l’ontologia si può quindi interpretare come il modo nel quale i filosofi oggi prendono atto del più ampio ritorno di interesse verso la filosofia da parte del pubblico dei non-filosofi, ma l’unico modo che hanno per affrontare e risolvere le questioni che l’ontologia pone è quello di tornare ad essere filosofi a tutto tondo, uscendo dal proprio settore specifico di ricerca filosofica e guardandosi attorno, cercando di confrontarsi con gli altri settori della filosofia e con i punti di vista filosofici più diversi.


Il testo di questo post nasce come rilettura-semplificazione-rielaborazione di un saggio di Franca D’Agostini dal titolo Epistemologia e ontologia: Quine avrebbe potuto risolvere i problemi di Heidegger? Heidegger avrebbe risolto i problemi di Quine? (la versione elettronica è accessibile dai link di questo blog), e viene qui pubblicato con il permesso e l’aiuto dell’autrice, che ringrazio.

20 aprile 2010

I gatti di Dario Turchini
































Il blog diventa in questo caso una sorta di galleria virtuale dove espongo le opere di amici.

Dario Turchini è nato ad Arezzo nel 1945 e vive attualmente fra Milano e Framura. Della sua produzione pittorica seleziono qui una serie dove il tema del gatto viene indagato in varie sfaccettature emotive e finisce per diventare una sorta di alter-ego dove potersi rispecchiare e scoprire i propri lati oscuri, ambigui, beffardi...