Ho appena finito di leggere il saggio di Andrea Borghini Che cos'è la possibilità, edito da Carocci nel gennaio 2009. L'autore presenta otto teorie che rispondono al problema "Cosa significa dire che una certa situazione è possibile?": scetticismo, espressivismo, modalismo, realismo modale, ersatzsimo, finzionalismo, agnosticismo, disposizionalismo. Alla fine, nelle Conclusioni, scrive: "Quale soluzione scegliere? Si eviteranno qui sentenze finali. Se è vero che tutto ciò che è è quel che è anche in virtù di ciò che potrebbe essere, ci si augura che siano molte le possibilità teoretiche qui aperte. Al lettore il piacere della scelta".
Una predilezione dell'autore traspare ed è per l'ultima teoria, da lui stesso elaborata in precedenti lavori, ma al di là di questo quello che qui mi interessa mettere a fuoco è invece proprio l'impostazione generale del testo, il voler essere una panoramica sulle possibilità teoretiche aperte fin qui rispetto al problema filosofico della possibilità.
Mentre lo leggevo provavo la stessa sensazione che ho provato tutte le volte che mi sono messo a studiare, per imparare a giocare meglio a scacchi, la cosiddetta "teoria delle aperture". Ci sono diversi modi di iniziare una partita: inizia il Bianco, e la sua prima mossa è già molto significativa e condiziona il futuro svolgersi della partita. Il Nero a sua volta ha diverse buone risposte possibili rispetto a ciascuna delle prime mosse del Bianco, e così via. Queste ramificazioni delle possibilità sono state studiate dalla teoria scacchistica. In alcuni casi la teoria si spinge a indagare fino alla ventesima mossa, suggerendo le risposte migliori per entrambi e analizzando possibili varianti, in altri casi si ferma molto prima. La maggiore o minore profondità teorica dipende dalla maggiore o minore frequenza con la quale certe possibilità vengono di fatto giocate e sperimentate. Le varie aperture sono state classificate in tre grandi insiemi: "gioco aperto" (il Bianco apre avanzando il pedone di Re di due passi e il Nero risponde specularmente), "gioco semi-aperto" (il Bianco apre come sopra, ma il Nero risponde diversamente), "gioco chiuso" (il Bianco non inizia muovendo il pedone di Re). In effetti le prime due mosse influenzano molto il tipo di gioco che poi segue: per gioco "aperto" si intende una partita basata molto sulle combinazioni tattiche, sui colpi di scena, sugli attacchi violenti, mentre per gioco "chiuso" si intende una partita più statica, basata sulla strategia, sulla forza delle posizioni, su piccoli vantaggi portati pazientemente fino al finale, nel quale si rivelano decisivi.
Un'impressione analoga l'ho provata leggendo Analitici e continentali di Franca D'Agostini, ma anche leggendo Parole, oggetti, eventi di Achille Varzi. La filosofia somiglia alla teoria delle aperture negli scacchi quando consiste nel presentare una rassegna di possibilità teoriche mostrando come dalle opzioni iniziali derivino poi una serie di conseguenze, problemi, possibili obiezioni e relative risposte eccetera.
Questa è forse la forma nella quale oggi può presentarsi un sistema filosofico: l'esplorazione sistematica di tutte le possibili opzioni iniziali nel campo delle teorie (filosofiche, scientifico-esatte, scientifico-naturali, scientifico-spirituali), nel campo degli atteggiamenti e nel campo della prassi e il mostrare come da queste opzioni iniziali (ovvero dai fondamenti) derivino conseguenze problematiche, epistemologiche, ontologiche, etiche... , sviluppando maggiormente l'analisi laddove le opzioni sono maggiormente frequentate nella realtà perché risultano in qualche senso vantaggiose, produttive, "vincenti".
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