11 novembre 2023

Giovanni Piana sull' "inconsistenza filosofica dell'opposizione tra pessimismo e ottimismo"

 



La lettura del bell'articolo di Piercarlo Necchi

Sopra un recentissimo episodio nel Pessimismusstreit. L''Excursus sul pessimismo' di Massimo Cacciari in "Metafisica concreta" (Adelphi, 2023)

mi ha risvegliato la curiosità di andare a vedere cosa dice Giovanni Piana a proposito del pessimismo di Schopenhauer nei suoi Commenti a Schopenhauer, in particolare nel quinto di questi.

Rispetto all'articolo di Necchi, faccio riferimento solo a due cose:

1) alla equivalenza, secondo Cacciari, della domanda metafisica fondamentale (Perché vi è qualcosa e non piuttosto il nulla?) con la domanda "perché l’essente è mortale e non piuttosto immortale?” (pp. 19-20 di Metafisica concreta) e

2) al fatto che Schopenhauer, con il suo pessimismo, avrebbe impedito a Nietzsche di "tornare a Spinoza" come avrebbe voluto.

Rispetto alla prima questione, sulla scorta di Piana, ricordo che proprio lo stesso Schopenhauer ci propone un'immagine della natura nella quale al centro vi è il vivente. Il mondo viene visto come vita, come forza cieca che produce l'infinità del processo di costante autoproduzione della vita. In questa prospettiva la morte "dissipa l'illusione che separa la coscienza individuale dall'universale" - scrive Piana. La morte appartiene interamente al mondo delle apparenze, fa tornare nel mondo dei sogni quello che è sempre stato un sogno: la MIA vita non è che la manifestazione DELLA vita. La natura è quindi in realtà immortale. I cadaveri equivalgono a escrementi, materia espulsa provvisoriamente dal grande processo della vita ma destinata a ritornarci. Per Piana, in Schopenhauer la tragicità della morte va superata verso un naturalismo che mantiene ferma l'idea della perennità della vita. La vita non va concepita come emergenza tra due nulla: ciascuno di noi è TUTTA la natura, quindi condividiamo la sua vita perenne.

Arrivando alla famosa questione del pessimismo di Schopenhauer, la tesi di Piana è la seguente: il pessimismo, in realtà, non è il centro del pensiero di Schopenhauer (più precisamente: "il 'pessimismo' non è, per così dire, scritto dappertutto nella filosofia di S. e non è sempre una conseguenza logica di ogni sua presa di posizione. Ciò rende il suo pensiero ricco di tensioni interne che contribuiscono al suo interesse.") e, soprattutto, l'opposizione ottimismo/pessimismo è filosoficamente "assai poco produttiva". Sono consapevole che questa posizione sembrerà scandalosa a Piercarlo, ma spero che voglia provare a entrare in questo discorso e magari, incuriosito dalla mia sintesi, che voglia leggersi i commenti di Piana a Schopenhauer.

Occorre partire dal §56 del Mondo Ogni vivere è per essenza un patire.

Il nesso tra vita e dolore NON sta nei dolori fisici o morali che possono capitarci, riguarda piuttosto l'essenza stessa della Volontà. Già nei gradi inferiori dell'oggettivazione della Volontà vi sono tensioni, conflitti, azioni e reazioni, attrazioni e repulsioni; la Volontà è SFORZO, TENSIONE verso una realizzazione che si supera in una nuova tensione. La Volontà è STREBEN (tendere + pena della tensione) che appare tanto più nei fenomeni della vita organica: sforzo senza tregua, senza scopo, senza appagamento ultimo, senza riposo. E nella vita animale diventa BEGIERDE, desiderio, tensione verso l'appagamento, che riemerge dopo l'appagamento. Il dolore consiste nel desiderio perennemente inappagato, perché ogni tensione sorge da una mancanza ed è quindi sofferenza.

È da notare che dire questo è cosa diversa dal lamentarsi per i mali del mondo, e anche se S. scrive pagine di lamento, queste pagine sono da considerarsi "una sorta di concessione letteraria". Ma perché?

Perché ad ogni tentativo di enumerare i mali può essere contrapposto un tentativo di enumerare i beni, e chi vince? Vince chi ha più perseveranza? L'enumerazione dei mali e dei beni si risolve in un puro discorso retorico.

Ma anche seguendo la via della pura deduzione da principi sembra che non si riesca a superare l'inconsistenza filosofica dell'opposizione tra pessimismo e ottimismo. Si deduce il pessimismo (nel caso di Schopenhauer come abbiamo visto, da un'interpretazione dell'essenza della volontà) oppure si deduce l'ottimismo (da altri princìpi, come in Leibniz, dall'infinità dei mondi possibili e dalla bontà di Dio) ma entrambe le posizioni vengono sostenute comunque vadano le cose in realtà (o meglio in apparenza, secondo S.). Per gli uomini comuni, la realtà è quella che concretamente sperimentano, con i diversi casi, nel bene e nel male, che si avvicendano in essa. 

Da un lato, quindi è inconcludente l'elencazione empirica (e io qui aggiungerei anche che nell'esperienza concreta il desiderio sessuale sembra sfuggire all'interpretazione di Schopenhauer, perché è a tutti noto che la tensione sessuale, l'eccitazione, non è sofferenza, bensì il contrario... tant'è che molti cercano di prolungare il cosiddetto "piacere preliminare"...), ma è inconcludente anche la via che deduce da princìpi, perché possiamo sostenere sia il pessimismo, sia l'ottimismo (partendo da princìpi diversi) all'insegna del tanto peggio per la realtà.


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