28 settembre 2024

Due conseguenze di una fantasia

 






Un giorno, molti anni fa, ho immaginato che in futuro si potesse inventare una macchina in grado di misurare il grado di libertà delle nostre scelte.

Da questa fantasia ho sviluppato due cose:

1) un racconto fantascientifico (o "fantafilosofico", se vogliamo provare a usare questo termine)

La macchina del libero arbitrio (parte I e parte II)

2) un saggio breve, in veste accademica, con note e bibliografia, destinato a un pubblico più ristretto ma scritto, spero, con un linguaggio sufficientemente chiaro per poter essere letto anche dai "non specialisti":

Sulla coesistenza consistente di necessità e contingenza. Saggio sul libero arbitrio

10 agosto 2024

Librerie riordinate, sfrondate, pulite!

 


Due giornate di solitudine nel caldo agosto milanese: l'occasione giusta per mettere finalmente mano a un lavoro che attendeva da mesi, ovvero eliminare i libri inutili (riducendo in alcuni casi le scandalose e ingestibili TRE file nello stesso scaffale ad un massimo di DUE!), aspirare TUTTA la polvere accumulata e approfittarne per riordinare. Ne sono scaturiti alcuni accostamenti anche singolari, che voglio testimoniare con alcuni video. Accostamenti che dovrebbero preludere a nuove letture o riletture secondo percorsi di pensiero che via via prefiguravo. Resta, di base, il raggruppamento per autori o per argomenti, ma è in quelli per argomenti che a volte si può restare sorpresi. Ad esempio c'è uno scaffale che inizia con la classica antologia Metafisica a cura di Achille Varzi, a cui seguono Marmodoro-Mayr, Breve introduzione alla metafisica, Filosofia contemporanea a cura di T. Andina (e qui pensavo al par. 1.1 scritto da Andrea Borghini, su "I principi"), Francesco Berto, L'esistenza non è logica seguito dalla stampata ripiegata di un saggio breve di Berto intitolato Metafisica da nulla), Aldo Masullo, Metafisica, Sebastiano Maffettone, Il valore della vita, Ronald Dworkin, Religione senza Dio, Paolo Flores D'Arcais, L'individuo libertario, Orlando Franceschelli, Nel tempo dei mali comuni. Per una pedagogia della sofferenza, la Storia dell'ontologia a cura di Ferraris, Ontologia di Ferraris (ma l'omonimo libro di Varzi, che ritengo superiore a quello di Ferraris, non l'ho inserito solo per averlo nello scaffale dedicato a D'Agostini e Varzi...), Andrea Borghini, Che cos'è la possibilità, cui segue dello stesso autore, con Elena Casetta, Filosofia della biologia, Organismo e libertà di Jonas, Il principio responsabilità dello stesso Jonas, La vita meravigliosa di Gould, seguito da due testi di Telmo Pievani: La vita inaspettata e Imperfezione.

È abbastanza evidente che nel comporre questo scaffale avevo in mente quella mia idea sul compito della filosofia  (nel link vedi soprattutto l'ultimo paragrafo), che ho provato a esprimere in modo forse troppo dettagliato in un progetto di sistema... E dei libri di questo scaffale alcuni li ho già letti per intero ma voglio rileggerli, altri li ho letti in parte e solo in parte li utilizzerei, altri letti in parte li voglio finire... uno solo non ho ancora mai iniziato, anche perché l'ho acquistato di recente: quello di Franceschelli.

Chi abbia la pazienza e la curiosità di guardare questi video vedrà quindi non solo il frutto della mia fatica agostana, ma potrà sbirciare anche le mie radici e i miei progetti di studio.

Sempre che io riesca a studiare nei prossimi anni! Arrivati ai sessanta si comincia anche a fare i conti con i limiti di tempo che la vita ci impone. Credo che arrivato ai settanta (sempre che ci arrivi sano e salvo) farò uno sfrondamento ancora più drastico delle mie librerie (che si estendono poi nelle cantine di altre due case...), qui testimoniate solo in parte: a settant'anni ti resta ancora poco da leggere. Chissà se riuscirò mai a scriverlo, un vero libro di filosofia, di filosofia vera. A occhio e croce, conoscendomi, direi di no. Ma di progetti di scrittura ne farò ancora, e forse questi progetti stessi, presi nell'insieme, faranno vedere in controluce, in filigrana, il libro che avrei voluto scrivere. Forse non serve scrivere "il libro" della propria vita, della propria vita pensata, cioè della propria filosofia... forse basta sognarlo e saper descrivere questo sogno; e forse chi ascolterà questa descrizione, questo racconto, saprà intendere cosa avevo in mente.

Recentemente ho trovato, nel libro che si vede disteso accanto alla lampada, quello che sto leggendo, un passaggio che mi ha incoraggiato:

"E dunque pur senza possedere alcuna padronanza sull'intero scibile – come dice Holmes in questo brano tratto da I cinque semi d'arancia, cosa impossibile per chiunque – ciò che farò ora per voi è di riassumere in poche parole la struttura del cervello umano. Proprio perché, come diceva Holmes, per risolvere i problemi, o per capire una situazione, è essenziale entrare in possesso di tutte le informazioni necessarie."

L'ultimo corsivo è mio, e riguarda il motivo per cui questo passaggio mi ha incoraggiato.

Per risolvere un problema (nel mio caso: un'idea di sistema che sembrerebbe presupporre una conoscenza sterminata, quindi impossibile per chiunque), occorre entrare in possesso di tutte le informazioni strettamente necessarie a risolvere quel problema. Ho capito insomma che forse mi sarebbe sufficiente conoscere un limitato numero di informazioni, di punti di vista, di visioni delle cose, se riesco a mettere a fuoco i nodi essenziali da sciogliere, che non sono sicuramente infiniti. Se mi concentro solo su quei nodi essenziali che mi girano in testa da anni, che fra l'altro sono tutti collegati fra di loro, se riesco a definire e restringere quei problemi alla loro natura più elementare, forse allora poi per scioglierli mi basta raccogliere un numero accessibile di fatti, di teorie, di pensieri, di conoscenze scientifiche, di esperienze artistiche...

Vedremo. Chi vivrà vedrà.

Mi scuso per la qualità bassa della risoluzione, soprattuto nel primo video che è il più lungo: ho dovuto abbassarla altrimenti il file sarebbe stato troppo pesante per gli standard di Google Blogger.

Il libro che risulta sicuramente illeggibile (perché la costola è ricoperta di scotch), che si trova tra Interpretazione del Tractatus di Wittgenstein e La notte dei lampi è Elementi di una dottrina dell'esperienza, di Giovanni Piana: un testo che ho letto e riletto talmente tante volte che l'ho quasi distrutto fisicamente (anche perché ogni volta le sottolineature aumentavano, per quanto a matita...!)

Ah!, ultima cosa: ci sono poi i tanti libri che ho anche comprato e in parte letto in versione digitale... racchiusi nel mio iPad... magari un'altra volta mostro a chi legge anche quelli.












4 agosto 2024

Il brano di musica che amo di più: Vivaldi, Concerto op. 3 n.10 in SI minore RV 580

 




In realtà questo Concerto di Vivaldi io l'ho conosciuto innanzitutto attraverso la trascrizione di Bach per quattro clavicembali e orchestra (BWV 1065), che ho amato intensamente in una versione per quattro pianoforti e orchestra (e non ricordo più di quale complesso fosse l'interpretazione). Recentemente scopro in YouTube una versione di Vivaldi trascritta per organo che mi ha riacceso l'antica passione, e che presenterò in chiusura.

Da qui l'idea di costruire in questo post, con l'ausilio di audio-video di YouTube (finché non verranno tolti...) un INVITO ALL'ASCOLTO presentando alcune versioni-chiave, cercando anche di far emergere, attraverso sia le diverse interpretazioni sia le diverse versioni trascritte, lo spirito del brano, l'essenza, o addirittura oserei dire la cosa in sé che esiste al di là delle molteplici incarnazioni sensibili che di fatto ha avuto nel corso della storia, e che è stata nella mente di Vivaldi originariamente e di Bach poi.

Partirei da una interpretazione dell'originale vivaldiano dei Musici registrata nel 1962, che ho trovato in YouTube nell'interessante canale di Margo Beloved. Qui vi invito a concentrarvi sul semplice ascolto (il video presenta un'immagine fissa), magari chiudendo gli occhi.

Vi segnalo che il concerto si compone di quattro principali movimenti: Allegro, Largo, Larghetto, Allegro, e vi suggerisco di prestare particolare attenzione al Larghetto, la terza "parte", che è una sorta di continuum di arpeggi con una struttura melodico-ritmica identica che si ripete numerose volte variando però l'armonia ogni tre ripetizioni, quindi ogni battuta (sono battute da 3 quarti). Si crea un'atmosfera di sospensione, quasi il tempo scorresse molto più lentamente,  o quasi che il tempo si fermasse e si potesse entrare in una dimensione diversa, nella quale si assiste al variare cangiante di un'unico essere sospeso nell'aria... fino a una fermata che si afferma solennemente e prelude all'Allegro conclusivo.

Questo Larghetto è anche la parte dove a mio avviso divergono maggiormente le diverse interpretazioni e le diverse "versioni" trascritte. Per questo ve lo segnalo, ma anche perché è la parte che mi piace di più, pur essendo il Concerto nel suo insieme che mi esalta ogni volta che lo ascolto. Quindi occhio a quella parte anche in tutte le versioni successive che vi propongo.



Vediamo adesso invece una versione che aiuta a capire sia la struttura del brano sia i dettagli melodici e ritmici, semplicemente perché presenta la partitura mentre il brano si sviluppa. Lo traggo dal canale YouTube "Vivaldi's Sheet Music", molto utile per questo servizio di mostrare le partiture sincronizzate all'ascolto. L'esecuzione è quella dei Solisti Italiani.





Passiamo adesso una versione del Giardino Armonico, anzi a due versioni live del Giardino Armonico, reperibili in YouTube (finché non verranno tolte...!) in cui rimane costante la direzione di Antonini ma i singoli musicisti non coincidono, se non in parte. A commento dell'interpretazione del Giardino Armonico (al di là di questa doppia versione live) dico solo che rispetto alle due più tradizionali (ma ottime) dei Musici e dei Solisti Italiani, questo gruppo si caratterizza per la particolare intensità emotiva che tende a raggiungere, marcando molto le dinamiche, le differenze di colore... unica pecca forse, mi permetto di dire, è la velocità a volte eccessiva. Qui, in ogni caso abbiamo la possibilità di assistere a esecuzioni dal vivo, per cui è molto utile osservare i movimenti del direttore d'orchestra e la partecipazione corporea dei musicisti, che aiuta a cogliere lo spirito del brano.





Dobbiamo adesso passare alla trascrizione di Bach. Bach arricchisce il testo vivaldiano, sia di contrappunti ulteriori, sia con cromatismi, con un effetto complessivo – direi – di potenziamento, ma mantenendo la sostanza (quella cosa in sé di cui parlavo all'inizio). Meraviglioso. Lo ascoltiamo innanzitutto nell'interpretazione "classica" di Gustav Leonhardt (rigorosissima ed estremamente omogenea nella scansione ritmica), che ho trovato in YouTube in una registrazione da vinile di grande qualità tecnica.




Altra magistrale interpretazione, più "scattante", è quella di Trevor Pinnok, che in YouTube troviamo spezzata nei tre movimenti.












Inserisco adesso una interpretazione più recente della Netherlands Bach Society: prima nel video di YouTube che offre, grazie al canale Classical - The World of Music, la partitura bachiana in scorrimento sincronizzato all'ascolto (così i più esperti possono apprezzare meglio i dettagli tecnici e comprendere meglio la struttura del testo), poi nel video della stessa Netherlands Bach Society che offre invece la versione live.







Del testo bachiano esistono poi interpretazioni che utilizzano quattro pianoforti invece che quattro clavicembali (oltre naturalmente all'orchestra). Quella che mi sembra ottima è diretta dal pianista francese David Fray (l'ho acquistata e sentita più volte...). In YouTube è però disponibile solo il terzo movimento. Lo inserisco per darvi un'idea, anche se non potete fare il confronto del famoso Larghetto (che è incorporato nel secondo movimento del concerto di Bach).



Non può mancare allora una versione integrale del concerto di Bach/Vivaldi con quattro pianoforti. In YouTube è reperibile una registrazione del 2002, grazie al canale di Pedro Taam, con i solisti Argerich, Kissin, Levine, Pletnev. Eccola qua.




Infine chiudo con quel brano che, vi dicevo all'inizio, mi ha sorpreso e ha risvegliato la mia antica passione per questa "cosa" di Vivaldi/Bach. Qui si tratta di una trascrizione direttamente da Vivaldi ma per organo solo, scritta dall'organista e compositore svizzero Guy Bovet ed eseguita magistralmente dal giovanissimo organista Jan Liebermann. Complimenti davvero a entrambi!!!




POST SCRIPTUM

Ho trovato anche una versione del Concerto di Bach eseguita dal Giardino Armonico con due clavicembali e due fortepiani... molto interessante!!!




1 aprile 2024

Ripensare Dio. Pensiero tragico e cristianesimo agonico nella filosofia di Luigi Pareyson

 


L’occasione di questa raccolta di citazioni è la preparazione a un’intervento nell’ambito della cogestione dell’Istituto di Istruzione Superiore “Allende-Custodi”, nell’anno scolastico 2023-2024. Tema dell’attività: Dio altrimenti detto, in collaborazione col prof. Marco Bracchi, dottore in teologia, che affronterà il tema parlando di Jean-Luc Marion (seguirà poi una discussione e un dibattito aperto con gli studenti).

La presentazione del pensiero di Pareyson verrà svolta oralmente in sede di cogestione. Questa raccolta di citazioni ha lo scopo di fornire un primo momento di approfondimento per chi volesse, in seguito all’attività, capire meglio leggendo qualcosa direttamente dal testo dell’autore.


Qui mi limito a dire alcune cose essenziali, che possono servire a inquadrare la raccolta. 

Luigi Pareyson (1918-91) è stato filosofo di grande spessore, che ha discusso e sviluppato l’esistenzialismo, ha reinterpretato l’idealismo classico, ha elaborato un’estetica e ha proposto una particolare forma di ermeneutica, declinata – nell’opera da cui traggo le citazioni – come interpretazione filosofica dell’esperienza religiosa.

     L’interesse che riveste questo sviluppo della sua filosofia risiede nella sua volontà di ripensare l’idea di Dio alla luce del problema del male e della sofferenza, ma senza ripercorrere le strade già battute della teodicea tradizionale. Pareyson ci propone una riflessione profonda che mantiene fermi alcuni caposaldi della fede cristiana, ma ne reinterpreta i fondamenti e si pone come alternativa sia al nichilismo, sia all’ateismo, sia al cristianesimo tradizionale, cercando di porsi in confronto con la sensibilità contemporanea, cogliendone gli aspetti più drammatici e difficili.

     La libertà viene posta come categoria fondamentale, cuore pulsante della realtà (non fondamento statico). La libertà come inizio assoluto e come scelta. La libertà è in Dio, che origina se stesso sconfiggendo il nulla e il male, sia nell’uomo, che sceglie il male (nel peccato originale) e costringe Dio a intervenire per riparare il danno attraverso la sofferenza, che ha il potere di vincere il male, risvegliato dalla scelta dell’uomo. Il male però non è stato inventato dall’uomo, era rimasto come possibilità nel confronto iniziale di Dio col nulla, che è confronto di Dio con la sua stessa libertà e con il nulla. Il male era rimasto in Dio come possibilità non realizzata, e l’uomo scegliendolo l’ha reso realtà, incuneando nell’eternità del bene scelto da Dio un tempo storico nel quale Dio deve intervenire.

        Il tema della salvezza non è stato qui ricostruito (se non per brevissimi cenni). 

    Pareyson riesce quindi a rovesciare completamente il dibattito tradizionale per il quale la presenza del male nel mondo porrebbe una questione teorica di giustificazione dell’operato divino, ritenendo che il riconoscere la presenza del male sia in realtà anche riconoscere l’esistenza di Dio, interpretato come scelta originaria del bene che crea, orienta e dà senso al mondo e alla vita. Senso del mondo e della vita che sono però fortemente condizionati dalla caduta umana, le cui conseguenze continuiamo a vivere nel nostro presente, carico di male e di sofferenza.

    Alla base del rifiuto di Pareyson verso le soluzioni tradizionali del problema del male, in ambito religioso e teologico, vi è la sua convinzione che tutti gli argomenti tendano sostanzialmente a negare la realtà del male, realtà che invece Pareyson (come anche Freud, quando ha teorizzato la pulsione di morte) intende accettare in pieno.

     


Milano, 1 aprile 2024



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PERCORSO DI CITAZIONI

da

L. Pareyson, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Einaudi, 1995/200




p. 10: “l’uomo è un rapporto[...]un rapporto con l’essere,[...]rapporto con altro.[...]Quindi la situazione[...]è un’apertura all’essere.”


p. 10-11: “L’essere è irrelativo, cioè inoggettivabile, non si riduce, non si risolve nel rapporto [...] L’uomo è in rapporto in quanto egli è, costitutivamente, questo rapporto.”


p. 11: “Come irrelativo, l’essere si sottrae al rapporto, è irriducibile, eppure è presente nel rapporto nel senso che lo istituisce. Non si può offrire se non all’interno di quel rapporto ontologico che l’uomo è. E’ termine irrelativo di un rapporto, presente nel rapporto come irriducibile e inconfigurabile.”


p. 11. “Insomma, l’essere è in rapporto con l’uomo solo in quanto l’uomo è in rapporto con l’essere. L’essere si dà all’uomo solo all’interno di quel rapporto con l’essere che l’uomo è.[...]Qui abbiamo una inseparablità di esistenza e trascendenza[...] è coincidenza di autorelazione ed eterorelazione.”


p. 21: “non c’è libertà senza l’essere ch’essa può affermare o rinnegare e così via; non c’è l’essere senza libertà ma nel senso che l’essere è un appello alla libertà […] anche in quanto l’essere stesso è un appello alla libertà in quanto la reclama e la suscita - non solo, ma anche in quanto l’essere stesso è libertà. E qui si apre un vertiginoso spiraglio sul fondo abissale della libertà, della sua inesauribilità.[...]I due termini si identificano, si convertono: al culmine della scala della libertà l’essere stesso è libertà e la libertà stessa è essere; non in confusione, non in mescolanza, ma in una chiara convertibilità.[...]L’essere liberamente si concede all’atto che lo afferma potendolo rifiutare, e all’atto che lo rinnega potendolo accogliere. L’essere è libertà in quanto è un libero appello alla scelta. Nella scelta è in questione la libertà stessa, potendo essa stessa o confermarsi o distruggersi, ed è in questione l’essere stesso, in quanto la libertà può affermarlo o tradirlo. Le due cose sono tutt’uno, cioè l’essere è un libero appello alla scelta nel senso che nella scelta è in questione la libertà stessa ed è in questione l’essere stesso: le due cose sono tutt’uno”


p. 22: “ Abbiamo questo nuovo principio: solo la libertà precede e può precedere la libertà…. e solo la libertà segue la libertà: sia come antecedente sia come susseguente la libertà non tollera e non implica che la libertà. Solo la libertà campeggia e domina la scena dell’universo. L’universo, se si vada al suo cuore, alla sua estensione… l’intera vicenda, l’intera realtà non è che un solo atto di libertà.[...]tutto si riassume in questo: libertà pura.”


p. 22: “la libertà[...]è il cuore stesso del reale.[...]l’essere, inteso come libertà, non è un essere metafisico, causa, sostanza, principio, fondamento, ecc. no, perché la libertà è un non-fondamento”


p.22-23: “Ora, giunti a questo punto, ogni ulteriore approfondimento è possibile solo facendo ricorso all’esperienza religiosa, non per trarne dei contenuti, ma per trarne dei sensi, dei significati.[...]riflessione filosofica intesa come ermeneutica del mito… riflessione sull’esperienza religiosa, perché l’esperienza religiosa (la coscienza religiosa) fa parte insieme con l’arte, con il pensiero originario, con la praticità intesa come costume o altro che sia, di quell’inizio di interpretazione della realtà, di interpretazione della verità che noi siamo, e che è il mito.”


p. 26: “solo la riflessione filosofica può mostrare quale senso possono avere le idee religiose, e che continueranno a restare tali, sia per il credente sia per il non credente: cioè per tutti. Il compito dell’ermenenutica del mito è di chiarire il senso e di universalizzare il mito. Per esempio - poniamo - l’idea di Dio: rispetto all’idea di Dio non ha il compito di definire l’essenza di Dio né tantomeno il compito di dimostrare l’esistenza di Dio. Ha il compito semmai, di fronte a un’idea come quella di Dio, di vedere che cosa significa credere in Dio o negare Dio, credere in Dio sia per il credente sia per il non credente”


p. 28: “Si tratta di prospettare la libertà nei suoi due significati fondamentali: [...]la libertà come inizio, come inizio assoluto[...]e la libertà come scelta; …nella sua duplicità, ambiguità di positività e negatività”


p. 28: “ la libertà è illimitata, arbitraria, assoluta, sovrana, questo potere immane, grande e terribile, che si vede tanto in Dio, come potere di originare se stesso, anzitutto, e di creare il mondo, quanto di contenere in sé la possibilità del male, tanto nell’uomo, come potere di obbedire a Dio o di contestare Dio, di metterlo in questione e quindi di sconvolgere il mondo, e quindi potere di onni- e autodistruzione, di scegliere l’inferno (cioè di far essere l’inferno, che ovviamente non è né un luogo né una pena, ma uno stato e una scelta).”

“Nella libertà non c’è un più o un meno: essa è o non è: essa è sempre arbitraria, assoluta, tanto nella sua originarietà quanto nella sua derivatezza. “


p. 29: “ Certo, in Dio è un’illimitatezza positiva, un’infinità; nell’uomo è una specie di illimitatezza negativa, cioè che è senza legge razionale, senza legge immanente e costitutiva.[...]Dio è autore non solo dei propri atti, ma anche della propria libertà, mentre invece l’uomo è autore dei propri atti, ma non autore della propria libertà, e in questo senso Dio è irresponsabile, mentre invece l’uomo è responsabile. Dio è irresponsabile in quanto atto puro, pur non essendo capriccio; e l’uomo è responsabile in quanto ha questo limite iniziale, ed è responsabile anche di ciò che per avventura non sia fatto liberamente.


p. 30-32: “ un atto della libertà [umana] …piomba inatteso, coglie di sorpresa, coglie impreparati, …nulla di ciò che lo precede basta a spiegarlo[...]non tollera né il concetto di causalità né il concetto di possibilità: non è l’effetto di una causa, e nemmeno è la realizzazione che ha prima di sé qualcosa di possibile:[...]È assolutamente indeducibile.[...]È preceduto da un intervallo minimo e brevissimo, quasi impercettibile, eppure abissale, profondo, decisivo. Sembra soltanto un intervallo, ma è un abisso.[...]In realtà, ciò che lo precede è il nulla: il nulla della libertà. La possibilità come preannuncio, presagio, anticipo, prefigurazione, antecedente, non esiste, è illusoria, è un nulla, è evanescente. Non è che il futuribile del prima, cioè un puro lemure, un puro fantasma. La libertà comincia dal nulla: il nulla della libertà. È un puro inizio nel vuoto di tutto. L’atto della libertà (un evento, un fatto della libertà) è un atto di scelta a cui nulla preesiste. 

[...]

Il carattere della libertà è appunto questo: di non essere preceduta che dal nulla. La libertà non è preceduta che dalla libertà stessa.[...]La libertà è postulata dalla libertà stessa: è un atto di libertà quello che afferma la libertà. L’atto che afferma la libertà è già esso stesso un atto di libertàNon c’è dimostrazione o deduzione della libertà: appunto perciò tanto meno ce n’è una definizione[...]È inspiegabile, indimostrabile, incomprensibile. Non se ne ha un’”esperienza”, o meglio: esperienza ne è l’atto stesso di libertà, la si esperisce esercitandola in atto.[...]La libertà non si prova che con la libertà, non si dimostra che con la libertà, non si esperisce che con la libertà: e questo non è un circolo vizioso, ma è l’atto stesso (“virtuoso”) della libertà. La libertà nasce da se stessa, afferma se stessa, realizza se stessa. È una creazione di sé attraverso di sé, è un’auto-creazione, un’auto-posizione.[...]La libertà è la scelta della libertà. Non esiste l’essere libero “in potenza”: liberi lo si è solo in atto.”


p.33: “ Le cosiddette «conseguenze incalcolabili» della libertà risiedono precisamente nell’irrevocabilità del prodotto della libertà. Non si possono prevedere: cominciata dal nulla, la serie iniziata dalla libertà continua con effetto a valanga.


p. 34: “ con la libertà comincia il tempo[...]c’è un nesso fra la libertà e il tempo.

[in nota: ms prosegue:][...]Un atto di libertà è inizio di storia[...]Il tempo già di per se stesso è ambiguo[...]Ma in questo suo nesso con la libertà è ulteriormente ambiguo: 1) tempo discontinuo, aperto ai cominciamenti, , pieno di buchi = fessure per inizio, tempo sussultorio, a singhiozzo, propizio ai salti e soprassalti   2) serie, successione, sviluppo di ogni inizio


p. 34: “ A maggior ragione puro inizio è la libertà divina, di cui - come dicevo - a ragione quella umana è considerata come immagine.”


p. 35: “Dio non è che libertà, e assolutamente liberi e arbitrari sono tutti i suoi atti, ma precisamente il suo atto iniziale di autoposizione.”


p. 35: “ non è che Dio sia libero in quanto non segue che la propria «natura», secondo il concetto spinoziano di libera necessitas. In Dio esistenza ed essenza fanno tutt’uno e sono un solo e medesimo atto di libertà in esercizio.”


p. 36: “Dio, per definizione, non presuppone un altro essere: presuppone un abisso, presuppone il baratro della ragione di cui parlava Kant, il quale figura Dio come quello che sul limite dell’eternità dice: «Da me provengono tutte le cose, ma io, io, da dove provengo?»

Dietro a Dio c’è il vuoto, il non essere, il nulla? Sarebbe questa la risposta? Un modo di evitare questa risposta è di concepire Dio come essere necessario, e l’intera storia della filosofia è percorsa da questo concetto, che Kant ha messo così bene in crisi. Ma è ovvio che l’idea di Dio come essere necessario non è degna di lui, perché Dio come essere necessario non potrebbe essere concepito se non come una realtà inerte, cieca, che è lì ed è quello che è: non è degna del «Dio vivente» dell’esperienza religiosa e della Bibbia.[...]Nel «baratro della ragione» non c’è la necessità di Dio: ma questo vuol dire che c’è soltanto il vuoto, il non essere, il nulla? No. in quel punto c’è l’abissalità stessa di Dio e del nulla, insieme.

Mi si perdoneranno certe espressioni, perché siamo al limite del dicibile.”


p. 37: “La libertà di Dio pone l’esistenza di Dio[...]l’abissalità divina, il nulla della libertà come inizio, pone l’esistenza di Dio, cioè il frutto di questa libertà, che diventa quindi un fatto storico. Il primo fatto storico in assoluto è l’esistenza di Dio, che perciò è indeducibile - che perciò è iniziale.

In quel punto in cui Dio è anteriore a se stesso c’è anche l’abissalità del nulla. Prego di considerare una cosa, che quando parlo di Dio vorrei ci si spogliasse un poco di tutto quanto di solito si intende con questa parola, perché altrimenti il mio discorso diventa un po’ incomprensibile, Io vorrei che si verificasse questa situazione iniziale, in cui per «Dio» si intende la libertà originaria, l’origine, questo prender fuoco della fiamma della libertà.

[...]

Insieme all’abissalità di Dio, che è già un contatto col nulla, c’è appunto l’abissalità di questo stesso nulla; quel vuoto della libertà è anche il nulla, che Dio come libertà espugna e debella, istituendosi come esistente. L’espressione «Dio prima di Dio», oppure «inizio eterno», indica l’irruzione di Dio nella realtà. E questa irruzione di Dio nella realtà è una vittoria sul nulla. Il primo atto in assoluto è quello con cui Dio, con la libertà che è la sua essenza, istituisce la sua esistenza, dissipando la nebbia del non essere e vincendo la negatività del nulla.”


p. 40: “Dio stesso ha sottoposto se stesso e la sua creazione al giudizio umano.[...]ovviamente attendendosene accettazione, collaborazione, approvazione, obbedienza; però pronto anche a riceverne rifiuto, disobbedienza, ribellione, e ha finito poi per dover subire la rivolta umana, perché la libertà umana, proprio come libertà, può ostacolare il volere divino, e l’ha fatto appunto come s’è visto nel racconto del Genesi. Dio, creando l’uomo libero, si espone a un pericolo, corre un rischio: non è senza inquietudine che crea l’uomo. E infatti, dopo aver creato l’uomo, di fronte a che cosa si è trovato? Si è trovato di fronte al fallimento della sua creazione. È stato un vero e proprio fallimento della creazione divina.”


p. 47: “ La libertà è così libera ch’essa[...]è libera di non esser libera, che essa si afferma e si realizza non solo nell’atto in cui appunto si afferma e si realizza, ma anche nell’atto in cui si nega.[...]si afferma anche nella negazione e con la negazione, sebbene tale negazione la esponga alla distruzione di sé. Ma talmente forte è la sua forza affermante e il suo impeto di affermazione che anche questa sua negazione ha qualcosa di positivo: non è semplicemente un negare, ma è un distruggere; è una forza negativa, anzi negatrice, anzi distruttiva, che diventa al tempo stesso autodistruttiva e onnidistruttiva. Il non essere scelto dalla libertà, quando la libertà sceglie di non essere, sceglie di ritornare indietro – questo non essere scelto dalla libertà diventa il nulla; la negazione che la libertà fa di sé diventa distruzione, perché – ripeto – c’è di messo l’atto della libertà. Non essere (o negazione) + libertà (inizio, impeto, scelta) = nulla (distruzione, male). Il non essere più la scelta è il male.[...]Il male è il non essere scelto.”

[più avanti dirà: (p. 265.) “La libertà negativa non è inerzia o privazione, carenza o manchevolezza, ma impeto di distruzione e istinto di morte, che con terribile efficacia e sinistro vigore fende e traversa il mondo intero.”


p. 47-48: “c’è la libertà che preferisce il male: e questa è la libertà dell’uomo.[...]C’è la libertà che in qualche modo viene in contatto col nulla, ma nell’atto di vincerlo; che è conoscenza del nulla, ma come vittoria su di esso[...]c’è la libertà che[...]preferisce la vittoria sul nulla, preferisce il bene: e questa è la libertà di Dio.”


p. 49: “Come libertà negativa, la libertà al tempo stesso si nega e si afferma. 

E qui bisogna notare un fatto: che non v’è equipollenza ed equivalenza tra la libertà positiva e la libertà negativa. La duplicità della libertà[...]si presenta pur sempre sullo sfondo del primato del positivo.[...]Rispetto alla scelta positiva, la scelta negativa rimane una possibilità, solo una possibilità[...]Invece, nella scelta negativa, la libertà nell’atto stesso di negarsi si afferma.”


p. 49-50: “Il positivo primeggia a tal punto che lo stesso atto di negazione può esercitarsi solo con un atto positivo con cui la libertà afferma se stessa[...]non mera negazione, ma vero e proprio annientamento, cioè forza contraria, forza negatrice, distruttiva.

Così si spiega la realtà del male, il male come realtà. Il negativo può esistere solo come[...]realtà negativa animata dalla stessa affermazione della libertà. Il male è mosso dalla stessa energia che muove il bene; il male non si realizza se non attraverso l’energia che anima il bene.”


p. 51: “In base a questa concezione che propongo l’universo, la realtà, la vita non è in preda alla negatività, ma è segnata dall’ambiguità, per quanto si renda conto dell’enorme, immensa importanza della presenza del male e della sofferenza nel mondo. Tuttavia non vede il mondo abbandonato al male e alla sofferenza, ma vede che questa presenza è immensa, enorme, sproporzionata, e in ciò vede l’ambiguità che percorre la realtà. L’ambiguità in Dio, che è libertà originaria e centro dell’universo; l’ambiguità nell’uomo, che nella sua libertà è coesistenza di positivo e negativo, conflitto fra bene e male.”


p. 51: “Ma il bene e il male non preesistono alla scelta: sono dopo la scelta, sono il bene e il male scelto, cominciano ad essere dopo la scelta come scelta positiva o negativa, come bene scelto o male scelto.[...]che la scelta divina è stata scelta del bene e la scelta dell’uomo è stata la scelta del male, dev’essere visto alla luce della seguente osservazione: non che debba necessariamente essere così[...]è stato un atto di libertà e quindi un fatto indeducibile, inspiegabile, imprevedibile, indimostrabile.”


p. 53: “Se la scelta di Dio fosse stata una scelta negativa, non ci sarebbe stato un «Dio cattivo»: non ci sarebbe stato niente, cioè Dio non sarebbe venuto all’essere[...]Del resto, una volta che noi esistiamo, quando diciamo « Dio non esiste» intendiamo dire che il mondo è assurdo, e quindi riconosciamo che l’inesistenza di Dio è il vuoto del mondo. E se l’uomo avesse scelto il bene?[...]prima di tutto non ci sarebbe stata storia: la storia è nata con la caduta.[...]non ci sarebbe stata la separazione di bene e di male perché il male non si sarebbe realizzato.”


p. 54-55: “Il male nella sua realtà si trova nel mondo storico-umano, dove è stato realizzato dall’uomo. Ma si può veramente attribuire all’uomo tante creatività, tanta inventività da inventare il male?[...]Una potenza per realizzarlo, dopo che ne ha trovato la traccia, sì, ma la potenza di realizzarlo dopo aver già sprecato tutte le sue eventuali energie nel cercare e nel riuscire a inventarlo, no: la finitezza dell’uomo non è da tanto. Bisogna che l’uomo abbia trovato l’idea del male, uno spunto di male, e che lo consideri come una possibilità da tradurre in realtà. E dove l’ha potuta trovare, questa possibilità?[...]Non ha potuto trovarla se non in Dio. Ma in Dio il male non può essere reale, perché Dio è il bene scelto, Dio è stata la realizzazione del bene. Ma era possibile realizzare il bene se non scegliendolo? E scegliere il bene è possibile, se non operando questa scelta con la possibilità della scelta opposta, cioè della scelta del male? No. Se scelta è scelta, è duplice (perché se Dio non avesse avuto altro che l’univoca possibilità del bene, non sarebbe stata una scelta la sua, ed egli non sarebbe il bene scelto)[...]Quindi è in Dio il male – naturalmente come possibilità.[...]In Dio il male e il nulla rimangono come possibilità messe da parte, inattuali, inoperanti, dormienti, sopite, latenti, ma non per questo meno inquietanti. Nell’affermazione divina il male è una possibilità non realizzata, anzi esclusa per sempre, che rimane (anche se latente e sopita nell’abisso divino) non come realtà, ma pur sempre come una possibilità, disponibile.”


p. 56: “È quella che Barth chiama l’«ombra in Dio»[...]Il male è istituito come possibilità nell’atto stesso che è vinto.[...]Dire questo, parlare della presenza del male in Dio, è un’espressione certamente sconcertante, ma secondo me inevitabile, anche perché non ne risulta né compromessa né scalfita la positività divina: non è per niente una demonizzazione di Dio.[...]

Sì, bisogna ammettere che dicendo «il male in Dio» si allude a un aspetto oscuro nell’essenza divina – che è una conferma dell’ambiguità originaria, che è un aspetto opaco, che rientra nell’abissalità insondabile di Dio.”


p. 56: “la stessa positività di Dio è una provocazione, è una causa indiretta del male, è una sfida all’uomo, è una tentazione, è un’incentivo.”


p. 57: “[...]Così anche Dostoevskij: l’uomo nel suo orgoglio non può non voler essere Dio; l’uomo non può riconoscere Dio senza volersi mettere al suo posto. Non c’è altro riconoscimento che la rivolta.lo stesso riconoscimento è già una rivolta, è già una ribellione.”


p. 58: “Quindi la stessa positività divina è uno stimolo alla ribellione, ed è questo che è accaduto nel peccato originale: con la sua caduta l’uomo ha ridestato nella positività divina quella negatività che, vinta e soggiogata, qui perdurava dormiente. Dio è la possibilità che il male esista, cioè sia realizzato: questo vuol dire che Dio è la scelta del bene. Dire: «Dio è la scelta del bene», «Dio è il bene scelto», significa dire: «Dio è la possibilità che il male esista», cioè che sia realizzato dall’uomo, cioè che si realizzi il peccato originale. E allora per converso l’uomo… anche lui nel suo piccolo è la possibilità che il bene esista, venga realizzato attraverso la salvezza.”


p. 61-62: “Dire «Dio esiste» significa dire: «è stato scelto il bene»[...]Si dirà: com’è possibile ciò, se noi uomini viviamo nella lotta continua e senza fine fra bene e male?[...]Rimangono in tal modo distinti due regni: l’eternità, vittoria sul male definitiva ed eterna; la storia temporale, lotta tra bene e male, continua, incerta. Come vanno d’accordo questi due termini?[...]È con l’atto libero della caduta che ha luogo l’inizio della storia temporale umana e quindi del conflitto e del contrasto senza fine. Con la caduta l’uomo ha, per così dire, spaccato l’eternità, vi ha inserito un cuneo che per un verso ha respinto indietro e per l’altro verso ha proiettato in avanti la vittoria sul male, proiettandola insieme come un passato o come un futuro, e in mezzo vi ha messo il tempo umano, la storia umana.”


p. 63: “Non c’è evoluzione in Dio. Egli resta in ultimo com’era all’inizio[...]ciò che varia è la prospettiva umana, che pone come oggetto finale di speranza ciò che era originario oggetto di fede; cioè fede nel senso che è stato scelto il bene, e quindi il mondo ha un senso; questo è una fede[...]E la speranza vuol dire la fiducia che il male finirà”


[seguono parti sulla storia della salvezza, tra le quali cito solo due passaggi:

p. 70: “il dolore vince il peccato, la sofferenza vince il male”

p. 71:”proprio ciò che segna il massimo della negatività nell’universo, cioè il fatto che l’uomo ha costretto Dio a condividerne la sofferenza, e che la sofferenza in Dio arriva sino al punto da farlo morire, e fino al punto che nel grido della croce Dio stesso si rivolge contro di sé in quanto abbandona il Cristo - questa specie di momento ateo della divinità in cui Dio sembra negare se stesso,[...]- è anche il punto di partenza per la riscossa. Per l’effetto redentivo della sofferenza, essa diventa la negatività più forte di ogni negatività: come dicevo, il dolore è più forte del male.”]


p. 81: “L’esistenza di Dio significa tre cose: l’uomo è peccatore; il mondo ha un senso; il male finirà”


p. 227: “Non c’è indizio più sicuro della divinità che la realtà stessa del male, e l’esperienza del male è il miglior accesso a Dio. Il male è impensabile senza Dio, ch’è il termine della trasgressione in cui esso consiste e il principio della redenzione di cui esso necessita.[...]Non è difficile riconoscere che se non ci fosse Dio il male non sarebbe, e che la stessa esistenza del male attesta la presenza di Dio, di un Dio offeso e irato e di un Dio sofferente e redentore. E si può aggiungere che proprio in questa inseparabilità dell’esistenza di Dio e dell’esperienza del negativo consiste quello che si può chiamare il pensiero tragico. …

La questione del male e del dolore nel mondo e la questione di Dio sono inseparabili.

Da qui il dramma del nichilismo classico, che vuole affermare insieme l’inesistenza di Dio e la negatività e assurdità del mondo. Da un lato la considerazione del mondo come assurdo è di per se stessa la negazione dell’esistenza di Dio.[...]Ma d’altra parte l’assurdità del mondo è constatabile solo in presenza di Dio: solo se riferito a Dio, cioè alla positività originaria, il mondo appare in tutta la sua negatività e assurdità. Donde il carattere incerto e contraddittorio del nichilismo classico, il quale considera Dio come negato da quelle stesse circostanze che prospettate in tutta la loro portata non fanno che affermarlo. Il nichilismo classico dimostra con ciò che il suo orizzonte è ancora quello religioso, e in ciò risiede la sua tragicità.”


p. 227-228: “Ma a ribadire che il problema di Dio e il problema del male sono inseparabili è intervenuto un nichilismo più radicale e forse più coerente[...]. Si tratta di un nichilismo che nega tanto la divinità quanto la negatività, ben sapendo quanto esse siano connesse, e che si presenta some un ateismo confortevole e consolatorio.[...]Un nichilismo che mostra come l’ateo conseguente deve necessariamente negare il male. Tragicità, religiosità, negatività, sia come male sia come dolore, vengono spazzate via lasciando il posto a una serenità priva di problemi, e solo l’ateismo estremo è capace di tanto.”


p. 228-229: “Alla luce di questi sviluppi, non ha più senso l’alternativa classica: o la teodicea, che cancella il male, o l’ateismo, che cancella Dio. La scelta attuale ormai è: o cancellare sia Dio sia il male, o affermare tanto Dio quanto il male. La prima via è quella dell’ateismo confortevole, del nichilismo consolatorio; la seconda via è quella del pensiero tragico. Agli occhi del nichilismo confortevole la domanda sul senso della vita non ha senso: il mondo non è né assurdo né non assurdo. Il pensiero tragico invece non si accontenta di questo non luogo a procedere, che sfuma la serietà della vita nella leggerezza del vivere.

[...]

Se la vita non ha un senso, essa non è tragica, anzi è sopportabile; è facile fare di necessità virtù. Ma se c’è un senso della vita, se Dio esiste, allora c’è la sofferenza, il male, la morte, in tutto il loro orrore, cioè Dio è crudele. Ma Dio non è tormentatore senza essere redentore.”


p. 229-233: “Non è un cristianesimo facile e comodo, come potrebbe essere quello abitudinario e tradizionale di chi è conciliato con una totalità, o quello sentimentale e consolatorio delle anime belle, o quello eclettico e agevole dello spiritualismo, ma è un cristianesimo drammatico e conflittuale, agonico com’è stato denominato in una fortunata definizione.[...]Del resto come potrebbe essere il cristianesimo del tempo dell’ateismo e del nichilismo …e l’ora esige una nettezza lontana da illusori compromessi? Non ci si aspetterà dal cristianesimo dell’epoca del nichilismo la sicurezza, la dolcezza, la transazione.[...]Un cristianesimo attuale non può essere che del genere di Lutero e di Kierkegaard, un cristianesimo che vomita i tiepidi.[...]Non che l’autentico cristianesimo rifugga dalla speranza di consolazione, ch’è aspirazione così legittima degli uomini sofferenti;[...]Ma la consolazione cristiana è dialettica: non soltanto duramente conquistata attraverso la sofferenza, ma anche costantemente accompagnata da essa.

[...]

Del resto la situazione di Dio è tragica, e non può non esserlo: l’uomo gli ha fatto fallire la sua creazione, e ora non può essere che lui stesso, Dio, a ripararla.

[...]

un accesso a Dio è possibile soltanto attraverso il Dio sofferente e redentore. Il problema oggi non è più quello di una teologia naturale, che sia accettabile anche dalla pura ragione, ma quello ben più attuale della cristologia, d’una cristologia per così dire laica, la quale come pensiero tragico sia in grado di coinvolgere tutti, credenti e non credenti.

[...]

attraverso Cristo si conosce non solo Dio, bensì anche noi stessi e la nostra miseria.”