Per apicoltori dilettanti come noi, agosto è un mese particolarmente intenso. È il tempo del prelievo del miele dagli alveari e della smielatura, il procedimento con il quale il miele viene estratto dai favi (usando una centrifuga a manovella) dopo averli disopercolati, cioè dopo aver rimosso lo strato di cera che le api costruiscono sopra le riserve di miele che hanno prodotto nei melari.
Le tre famiglie di api delle nostre tre arnie sono tutte frutto di fortuna e abilità insieme: uno sciame è arrivato da solo, qualche tempo fa, scegliendo di insediarsi in un’arnia vuota che avevamo deciso di lasciare all’aperto, con dentro qualche telaino già dotato di foglio cereo. Le altre sono frutto della cattura di uno sciame vagante in cerca di un nido, che abbiamo intercettato su un albero vicino al nostro terreno. Se ci ripenso mi chiedo come abbiamo fatto, Dario ed io, ad avere il coraggio di porre sotto il glomere di api ronzanti, aggrappato a un ramo, un’arnia vuota; segare il ramo e scuoterlo facendo lettteralmente cadere la massa di api nell’arnia (ricordo ancora il rumore prodotto dalla caduta di quello strano oggetto sul fondo legnoso dell’arnia). Da una famiglia ne abbiamo in seguito ricavate due, anche questa operazione non facile… diciamo cha siamo dilettanti ma audaci.
In compenso, però, quest’anno abbiamo perso la prima famiglia, quella che era arrivata da sola. Sono sciamate via, e pochi giorni dopo abbiamo capito il perché: l’arnia era stata invasa dalle tarme della cera, un vero disastro.
Delle due rimanenti, una è ancora molto indietro con la produzione di miele, mentre l’altra ha prodotto ben otto favi ricolmi di miele ben opercolato, alcuni di un miele chiarissimo, quasi certamente di acacia. E qui arriviamo alla storia che volevo raccontare.
Nel prelevare i favi (normalmente si usa l’apiscampo, un dispositivo che costringe le api a scendere pian piano tutte nel nido, lasciando liberi i favi di melario, ma stavolta abbiamo proceduto alla garibaldina, prelevando direttamente favo per favo e liberandolo dalle api con un pennello bagnato, perché non pensavamo di avere di fronte una produzione così cospicua) alcune api erano rimaste invischiate nel miele, e addirittura ne avevo ritrovata una sul fondo della centrifuga, completamente sommersa nel miele.
Tirata su con un cucchiaino, mi ero accorto di un lieve movimento di una delle sei zampine. Ancora viva? Ebbene sì!
Metto il cucchiaino sotto un filo di acqua corrente e vedo che più si libera il corpo dal miele, più velcemente le zampine riprendevano a muoversi.
Per completare l’opera di salvataggio, decido di depositarla all’aperto, sulla foglia di una piantina. Mi accorgo, però, che non poteva volare perché le ali erano rimaste appiccicate al corpo.
Per essere sicuro di salvarla, decido di avvicinarla all’arnia. La riprendo con un cucchiaio e la metto sul predellino della sua arnia. Appena appoggiata, osservo con meraviglia che viene circondata da un gruppetto di cinque o sei delle sue compagne, che immediatamente iniziano a ripulirle le ali dal miele rimasto, suggendolo via con delicate picchiettature sul dorso. Una vera operazione di pronto soccorso! Non ho potuto constatare la ripresa del volo della poverina, perché alcune guardiane cominciavano a ronzarmi minacciose intorno alla testa, ma sono sicuro che dev’esserci riuscita.
Che tenerezza, queste api.
Nessun commento:
Posta un commento