Il mondo, sostiene Markus Gabriel, non esiste (M. Gabriel, Perché non esiste il mondo, Bompiani 2015, ed. orig. 2013). In effetti sembra impossibile pensare all’esistenza di un unico “Superoggetto” che tenga insieme i molteplici modi in cui si presentano i vari tipi di oggetti nella nostra esperienza: oggetti fisici, oggetti possibili, oggetti astratti (numeri, valori, proposizioni), oggetti dell’immaginazione, eventi, proprietà…
Pensare che il mondo coincida con l’universo (fisico) sembra riduttivo, anche se è legittimo sostenere che le varie forme di esistenza degli altri oggetti si possano “ridurre” all’esistenza degli oggetti fisici. Per esempio: Biancaneve è un oggetto immaginario la cui esistenza è riconducibile a esperienze mentali degli esseri umani, le esperienze mentali “sopravvengono” a eventi nel cervello umano, e questi eventi hanno comunque una base materiale, fisica.
Certamente, se con l’idea di mondo vogliamo pensare anche la totalità delle esperienze umane, non ci basta attendere dalla cosmologia la risposta alle nostre domande riguardo al mondo: è sensato? ha valore? è comprensibile nell’insieme? Ma la filosofia, e la metafisica in particolare, hanno da sempre puntato proprio sulla totalità, sul tutto, la loro attenzione e le loro ricerche avendo sempre di mira l'uomo e la sua esperienza all'interno della totalità.
Uno dei maggiori metafisici della tradizione, Spinoza, aveva in realtà posto alla base del suo sistema proprio l’idea di una sorta di Superoggetto: la Sostanza, dotata di infiniti attributi, fra i quali l’estensione e il pensiero. Il monismo di Spinoza, che Markus Gabriel ritiene insostenibile sulla base della sua tesi dell’inesistenza del mondo, non aveva affatto impedito al grande metafisico olandese di includere nel suo sistema l’uomo, le sue esperienze, le sue conoscenze, le sue emozioni.
Del resto lo stesso Gabriel, che negando l’esistenza del mondo dovrebbe negare anche la possibilità della metafisica, sostiene in realtà una tesi metafisica, una complicata versione di pluralismo metafisico:
“Il mondo, per così dire, si ricopia in se stesso con una frequenza infinita, contenendo piccoli mondi consistenti, a loro volta, di altri più piccoli mondi. Perciò conosciamo sempre e solo sezioni dell’infinito. Uno sguardo d’insieme sull’intero è impossibile, perché l’intero non esiste.”
Ora, sostenere che il mondo non esiste perché non c’è un campo di senso nel quale possa darsi (altrimenti sarebbe al di fuori del mondo, quindi il mondo non sarebbe la vera totalità dell’esistente) è un po’ come sostenere che lo spazio non esiste perché non c’è uno spazio nel quale possa collocarsi lo spazio stesso (e tutto ciò che esiste deve essere collocato in uno spazio).
Questa è però solo una caricatura delle argomentazioni di Gabriel, che sono in realtà molto articolate; e la sua tesi fondamentale coglie a mio avviso un aspetto importante del problema metafisico, cioè il fatto che la metafisica si è sempre in qualche modo costruita il suo oggetto di riflessione, pur partendo da un impulso profondo della ragione umana: il tutto, il mondo, di fatto non si dà nella nostra esperienza (come ci insegna Kant), quindi ragioniamo in realtà sull'idea di mondo, prendendo spunti dalle scienze, dalle arti, dalle religioni, e speriamo che queste nostre riflessioni possano cogliere qualcosa di vero della realtà nel suo insieme.
Questa è però solo una caricatura delle argomentazioni di Gabriel, che sono in realtà molto articolate; e la sua tesi fondamentale coglie a mio avviso un aspetto importante del problema metafisico, cioè il fatto che la metafisica si è sempre in qualche modo costruita il suo oggetto di riflessione, pur partendo da un impulso profondo della ragione umana: il tutto, il mondo, di fatto non si dà nella nostra esperienza (come ci insegna Kant), quindi ragioniamo in realtà sull'idea di mondo, prendendo spunti dalle scienze, dalle arti, dalle religioni, e speriamo che queste nostre riflessioni possano cogliere qualcosa di vero della realtà nel suo insieme.
Sotto agli argomenti di Gabriel sta il problema se il mondo, il tutto, sia finito o infinito (e Gabriel sostiene decisamente la tesi di una pluralità infinita di sostanze-mondi-campi di senso fra loro connessi). Questo è solo uno dei problemi metafisici fondamentali. (Un altro è se il tutto sia sensato o no.) Vorrei provare a soffermarmi un po’ su di esso.
Non voglio impegnarmi a parlare del mondo in sé, del mondo reale (con tutta la varietà di forme di esistenza che comprende), ma solo dell’idea di mondo e delle sue relazioni con le idee di finito e infinito.
Con “mondo”, in filosofia, si può intendere l’idea di tutto ciò che esiste. In altri termini, con questa idea, o con l’idea di “tutto”, intendiamo l’insieme di tutte le cose esistenti.
Ora chiediamoci: nel solo pensare questo insieme, vi è già qualche indicazione che porta più verso l’idea di finito o più verso l’idea di infinito?
Si può ragionare in questo modo: sappiamo, dalla matematica, che sono pensabili sia insiemi finiti, sia insiemi infiniti. L’insieme dei cittadini italiani ad una certa data è un esempio di insieme finito. L’insieme dei numeri interi naturali è un esempio di insieme infinito. L’idea di “insieme” non ci aiuta.
Il fatto che i numeri siano infiniti non è un argomento sufficiente a sostenere l’infinità del tutto, perché non è scontato che i numeri esistano, e in ogni caso questo tipo di problema riguarda il problema metafisico vero e proprio sull’infinità o meno del mondo, mentre qui ci stiamo limitando a indagare connessioni fra concetti.
C’è una connessione concettuale fra “tutto” e “infinito”? Sicuramente l’idea del tutto rifiuta l’idea dell’infinito potenziale: se al tutto posso sempre aggiungere qualcos’altro non sto pensando certamente al tutto. Al tutto potrebbe calzare l’infinito attuale, cioè l’idea di un insieme attualmente infinito, al quale non posso pensare di aggiungere altro.
C’è una connessione concettuale fra “tutto” e “finito”? È pensabile il tutto come finito? Nel nostro concetto di “finito” c’è l’idea di qualcosa che ha dei limiti, dei confini, un inizio e una fine. Se proviamo a pensare al tutto come finito dobbiamo necessariamente pensare al nulla, al non-essere assoluto, come unico possibile confine del tutto. Si tratterebbe, in termini insiemistici, di un insieme che non lascia fuori alcun elemento. Qual è la proprietà che definisce questo insieme? L’esistenza. Quindi se qualcosa esiste (in qualche senso) è incluso. Fuori dall’insieme il nulla assoluto. Parmenide riteneva il non-essere qualcosa di completamente impensabile. Nella mia esperienza il nulla assoluto è pensabile metaforicamente, come uno spazio vuoto. Il problema immaginativo è pensare al vuoto senza neanche lo spazio. Un punto geometrico (inesteso)? Al di là delle nostre difficoltà immaginative ci sono anche alcune difficoltà logico-concettuali: il non-essere assoluto dovrebbe a sua volta essere limitato, nel senso che farebbe da “sfondo” al tutto.
Queste difficoltà logico-immaginative nel pensare al tutto come finito ci fanno propendere, concettualmente, ad associare al “tutto” il concetto di “infinito attuale”.
Resta però aperta la possibilità che il tutto reale, non l’idea del tutto, sia invece finito.
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