(precedente commento: La scienza è fonte di valori?)
Nel primo capitolo Rovelli spiega come la teoria della gravità quantistica abbia una radice filosofica nella teoria dell'atomismo antico, di Leucippo e Democrito. In particolare, riporta il ragionamento filosofico con il quale Democrito, insieme ad altri argomenti, è arrivato all'idea che tutte le cose sono fatte di atomi (è l'argomento riferito da Aristotele nel De generazione et corruptione).
Immaginiamo che la materia sia divisibile all'infinito, e immaginiamo di poter suddividere un pezzo di materia infinite volte. Cosa ne resterebbe? Particelle con dimensione estesa? No, perché se così fosse non potremmo dire di aver diviso all'infinito (quelle particelle, se estese, possono ancora essere suddivise). Dovrebbero allora restare solo punti senza estensione. Ma anche questo esito è contraddittorio, poiché aggregando punti senza estensione non otterremo mai il pezzo da cui siamo partiti. Per uscire dal paradosso dobbiamo pensare che la materia non sia divisibile all'infinito, cioè che sia composta da particelle estese non ulteriormente divisibili (gli atomi, appunto).
Le cose che voglio dire su questo sono due:
1. Democrito, usando concetti (infinito/finito; divisibile/indivisibile ecc.), il principio di non contraddizione e il ragionamento, capisce cose vere sulla realtà. In altri termini: facendo un esperimento mentale, usando l'immaginazione e i concetti linguistici, coglie la natura profonda della materia. Come è possibile questo? Certamente, e Rovelli lo ricorda, Democrito usava anche argomenti basati sull'osservazione, ma quello che colpisce è come la metafisica possa anticipare la fisica di molti secoli. Già Popper aveva riflettuto su questo rapporto filosofia-scienza, e proprio sull'esempio dell'atomismo antico. Ora mi chiedo: questo esempio non mostra che la ragione può spingersi anche oltre i limiti dell'esperienza ed ottenere risultati positivi? Questa domanda la farei a Kant... Certamente solo la ragione e solo esperimenti mentali non bastano. L'osservazione è indispensabile, per ottenere conoscenza che si approssimi alla verità. Ma la forza dei concetti e dei ragionamenti è innegabile e conserva qualcosa di misterioso anche a distanza di secoli. Forse la spiegazione di come sia possibile questo potere conoscitivo del linguaggio e della ragione è che i concetti si sono formati proprio partendo dall'esperienza, o meglio dall'incontro fra la nostra mente e la realtà. Il linguaggio consente un accesso alla realtà che sembra a volte scavalcare l'esperienza, ma il linguaggio non si è creato nel vuoto mentale, si è creato nel continuo rapportarsi delle menti umane con la realtà, quindi potremmo dire che il linguaggio è intriso di esperienza già di per sé, e quindi usandolo correttamente, facendone un uso immaginativo e razionale insieme (come anche nella matematica), possiamo fare ipotesi veritiere sulla realtà.
2. Nel ragionamento di Democrito si fa uso dell'infinito attuale: si immagina di aver già diviso un pezzo di materia infinite volte. Se invece Democrito avesse immaginato lo stesso caso ma basandosi sull'infinito potenziale, avrebbe potuto giungere a conclusioni diverse. Avrebbe potuto pensare a una materia continua (non granulare, o "discreta") nella quale ad ogni ulteriore suddivisione si ottengono parti estese, le quali però sono ulteriormente divisibili, e questo si può fare ogni volta senza mai fermarsi. (Un po' come accade nei video che simulano l'ingrandimento di un frattale, dove è chiaro che si può continuare all'infinito, nel senso che si potrebbe non smettere mai di ingrandire e troveremmo sempre la stessa struttura).
Rovelli afferma anche che probabilmente Leucippo aveva intuito che ci fosse un limite inferiore alla divisibilità ragionando su come risolvere i paradossi di Zenone di Elea.
Rovelli racconta poi che fino a fine Ottocento l'ipotesi atomica era rimasta tale, pur raccogliendo molti indizi, soprattutto dalla chimica. Molti, cioè, non credevano che gli atomi esistessero veramente. La prova definitiva è arrivata nel 1905, con un articolo di Einstein che parte dall'osservazione del moto browniano, cioè dal movimento fluttuante di granelli minimi di materia in un fluido (per esempio l'aria).
Rovelli ricostruisce poi la storia dell'atomismo, esaltandone il naturalismo, il razionalismo, il materialismo.
"Purtroppo," scrive a pagina 32 "ci è rimasto tutto Aristotele, sul quale si è poi ricostruito il pensiero occidentale, e niente Democrito. Forse, se ci fosse rimasto tutto Democrito e niente Aristotele, la storia intellettuale della nostra civiltà sarebbe stata migliore. Ma secoli di pensiero unico dominante monoteista non hanno permesso la sopravvivenza del naturalismo razionalistico e materialistico di Democrito (...) Platone e Aristotele, pagani che credevano nell'immortalità dell'anima, potevano essere tollerati da un Cristianesimo trionfante, non Democrito."
Nell'ultima frase Rovelli commette un errore: Aristotele non credeva nell'immortalità dell'anima...
Nell'ultima parte del capitolo Rovelli esalta il De rerum natura di Lucrezio come testo che conserva lo spirito dell'atomismo democriteo, e ne descrive alcuni tratti: il senso di meraviglia, di profonda unità delle cose (noi siamo fatti della stessa sostanza delle stelle...), la calma luminosa legata all'assenza di dèi capricciosi, l'accettazione profonda della vita e della morte, "amore profondo per la natura, immersione serena in essa, riconoscimento che ne siamo profondamente parte (...) tasselli organici di un tutto meraviglioso e senza gerarchie".
Cita Democrito, che dice: "Ogni terra è aperta al sapiente, perché la patria di un'anima virtuosa è l'intero universo".
Quello che mi sembra più interessante di questo discorso è il mostrare come nelle radici filosofiche del pensiero scientifico, purtroppo in buona parte perdute, ci fossero insieme conoscenza della natura e valori, mentre oggi si tende a pensare che la scienza non possa, o non debba, fare discorsi anche valoriali.
1 commento:
Bellissimo.
I tuoi studenti sono molto fortunati.
LexMat
lexmat.blogspot.it
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