27 marzo 2014

Risposta alle obiezioni di Italo Nobile

Dopo la pubblicazione del post Traiettoria finita della freccia del tempo, Italo Nobile ha pubblicato sulla mia pagina Facebook alcune osservazioni critiche che riporto qui di seguito:

Non sono d'accordo in quanto la quantità di cose esprimibili non è infinita se e solo se il tempo non è infinito e se e solo se la lunghezza delle stringhe che costituiscono i termini designanti oggetti sia finita.

Tu accetti come premesse una certa interpretazione della biblioteca (ad es. in quella di Lasswitz ci sono anche le opere letterarie che attualmente non significano niente, ma nessuno può dire che non significhino qualcosa) e soprattutto neghi che ci possono essere serie infinite di segni a designare oggetti. In realtà con i segni a nostra disposizione possiamo designare infiniti oggetti dal momento che abbiamo i numeri

Questa tesi parte dal numero finito di segni e al numero finito di pagine di un libro per inferire qualcosa sull'universo. Ma ciò significa mettere il carro davanti ai buoi. L'unica cosa che potremmo dire è che, nel caso di universo infinito (o con un numero infinito di oggetti) ad un certo punto ci potremmo trovare nella situazione per cui dobbiamo considerare degli oggetti nuovi come copie di oggetti già visti

Provo a rispondere, o comunque a commentare a mia volta quanto dice Italo.
Sulla prima osservazione, che ipotizza un tempo infinito nel quale si possano esprimere cose infinite, direi questo: se partiamo dall'ipotesi di un tempo infinito nel quale esista una produzione infinita di testi significanti, resta il fatto che a un certo punto, esaurite le combinazioni possibili di tutti i segni entro un certo formato (numero di caratteri per pagina, numero di pagine per testo) siamo destinati a ripetere le stesse cose, quindi per quanto infinita la Biblioteca sarà ripetitiva, modulare...

Sulla "lunghezza delle stringhe" dei termini designanti mi vengono in mente i numeri irrazionali... Cosa analoga Italo dice più sotto quando ipotizza "serie infinite di segni a designare oggetti", e "con i segni a nostra disposizione possiamo designare infiniti oggetti dal momento che abbiamo i numeri."
In effetti qui mi pare che Italo colga un punto cruciale: nel paradosso della Biblioteca di Babele i numeri non sono considerati, ed è vero che i numeri sono di per sé intrisi di infinito, infinito stratificato, fra l'altro, a diversi livelli di potenzialità (come Cantor ci ha rivelato con la sua teoria dei numeri transfiniti). Resta il fatto che il linguaggio matematico ha un modo diverso di rapportarsi con la realtà rispetto al linguaggio verbale, e forse addirittura si potrebbe dire che il linguaggio matematico descrive, direttamente, oggetti "di altro tipo" rispetto alle cose fisiche, anche se ovviamente è fondamentale per la conoscenza del mondo fisico nel senso che descrive indirettamente situazioni e rapporti fra cose fisiche... Per ora non mi sento di dire altro ma ci penserò ancora.

E' vero che parto da una certa interpretazione della Biblioteca, ma ci tengo a chiarire bene un punto sul quale ho riflettuto molto. Il fatto che si ipotizzi un numero finito di segni grafici, che corrispondono a un numero finito di fonemi (e parliamo di linguaggio verbale) si fonda sulla realtà dei linguaggi naturali e anche sulla struttura dell'apparato vocale umano. Non possiamo produrre infiniti tipi di suoni. Il fatto che si prenda in considerazione un numero finito di righe/pagine di un testo non implica che si metta un limite fisso alla lunghezza di un testo, infatti un testo può essere espresso in più volumi della Biblioteca, ma significa che si considerano, nel paradosso, testi di senso compiuto, cioè testi finiti, per quanto lunghi possano essere.
(Resta il problema di considerare la possibilità di un testo infinito. Bisognerebbe considerare innanzitutto se infinito potenzialmente o infinito in atto...)

Infine, all'obiezione di "mettere il carro davanti ai buoi" se partiamo da considerazioni sul linguaggio per arrivare a tesi sulla realtà, rispondo che è un procedimento tipico della filosofia, nelle sue aspirazioni metafisiche. Da Platone e Aristotele fino a Wittgenstein... non abbiamo sempre fatto così? (Del resto il linguaggio è esso stesso un "pezzo" di realtà. Una proposizione è un fatto che esprime un altro fatto...)

3 commenti:

Numero 0 ha detto...

Riguardo il paradosso della biblioteca di babele (c’è solo un numero limitato di cose da dire o conoscere e quindi anche pensare) credo che si dovrebbe distinguere tra quello che si potrebbe chiamare “tomo” cioè il famoso volume di 410 pag e 40x40 caratteri (a proposito perché solo 21 caratteri? k,w,x e y non piacevano al nostro? Va beh, comunque) e “libro” cioè l’unità di senso che ci interessa, un qualcosa di sensato (diciamo per es il racconto “la biblioteca di babele”) che non può ovviamente coincidere con le 410 pag 40x40; anzi i libri che rimangono in quei limiti saranno molto pochi, ce ne saranno molti a cui avanzeranno delle lettere e altri che abbisogneranno di qualche lettera in più, ce se saranno altri che ci starebbero anche volentieri ma che disgraziatamente come per un errore dell’ignoto stampatore (Dio?) o per un ironia del caso o della divinità avranno la prima o l’ultima lettera su un altro tomo. Ora, se accettiamo questa distinzione accerteremo che il numero dei tomi è finito; quello dei libri mi dispiace tanto ma no. A ogni libro che possiamo pensare e quindi immaginare come stampato nella Biblioteca possiamo aggiungere una lettera e quindi il numero è semplicemente e banalmente infinito (quello che Hegel chiamava cattivo infinito). Ad es se scriviamo i numeri in lettere (invece di 1, 2, 3 uno, due, tre…) nella Biblioteca ci DEVE stare la serie di TUTTI i numeri naturali, di tutti i numeri pari, di tutte le serie di numeri di Fibonacci, di tutte le cifre del pi greco, ecc. (oltre a infinite serie errate anche solo per un carattere). Inoltre, se pensiamo (col permesso di Borges) di ridurre il formato dei tomi, il loro numero cala (o cresce a seconda dei casi) ma il numero dei “libri” (ovverosia di una serie arbitraria di segni senza limitazione alcuna) è sempre lo stesso. Potremmo persino avere dei libricini formati da un solo carattere e ce ne resterebbero esattamente 25, senza ripetizioni, (se invece dei caratteri voluti da Borges scrivessimo in binario ne basterebbero due) ma quella minuscola biblioteca conterrebbe l’infinito (è ovvio che dobbiamo postulare infinite ripetizioni).

Giulio Napoleoni ha detto...

Caro Numero 0,
innanzitutto grazie per il commento, che arriva graditissimo.
Mi permetto di ribattere su due punti:
1) se per "libro" intendiamo "unità di senso", "un qualcosa di sensato", non capisco perché non possano essere di numero finito: se aggiungo una lettera a un testo sensato cosa ottengo? Un testo non sensato,,, Certo, posso aggiungere una frase che chiarifichi ulteriormente il finale o il senso globale, ma allora il risultato sarà sempre un testo con un numero finito di lettere. In altri termini voglio sostenere che se un testo ha senso non può essere in sé infinito.
2) nella Biblioteca NON può esserci, per definizione, un testo con la serie di tutti i numeri naturali, proprio perché il numero dei volumi è finito e ogni volume ha un numero finito di pagine.

Numero 0 ha detto...

Credo che dipenda tutto: 1) dal significato che vogliamo dare alla parola infinito 2)da come vogliamo usare la biblioteca. Se per infinito intendiamo qualcosa come "infinito in atto" un infinito posto come tale di fronte a noi, allora ci scontriamo con il limite delle nostre possibilità di comprendere, non possiamo pensare di avere davanti a noi una stringa di lunghezza infinita, un testo infinito. L'infinito matematico, però (perchè è di questo che stiamo trattando)non pretende tanto, è semplicemente la certezza (matematica, appunto) di possedere un algoritmo per la costruzione di una serie infinita: basta aggiungere più uno (o qualsiasi altra parola) a qualsiasi numero qualsivoglia grande. Se quindi accettiamo di poter leggere lo stesso tomo più volte possiamo costruire una stringa infinita e quindi anche la serie dei numeri naturali (a un certo punto ci sara una serie infinita di "di miliardi di miliardi" che dovremo leggere infinite volte, sempre lo stesso tomo). Credo che ci facciamo ingannare dalla dimensione dei volumi scelti da Borges che porta le possibili permutazioni a un numero altissimo col quale forse voleva dare un "senso" di infinito e insieme di finitezza. Se pensiamo che il numero di pagine DIVERSE è significativamente minore del numero dei volumi (dato che le permutazioni possibili sono molto meno)è evidente che un gran numero di volumi avrà un gran numero di pagine uguali (esempio pagine vuote, cioè costituite da soli spazi) che dovremo rileggere un gran numero di volte; se accettiamo di rileggere lo stesso tomo per completare un "discorso" non sarà difficile ottenere testi infiniti, cioè al testo più lungo possibile (tutta la biblioteca di Babele) possiamo aggiungere qualcosa: il piacere di rileggere delle pagine già lette con un nuovo senso