24 dicembre 2015

Mente e cervello in una poesia di Valerio Magrelli. Sulla natura umana






Io abito il mio cervello
come un tranquillo possidente le sue terre.
Per tutto il giorno il mio lavoro
è nel farle fruttare,
il mio frutto nel farle lavorare.
E prima di dormire
mi affaccio a guardarle
con il pudore dell'uomo
per la sua immagine.
Il mio cervello abita in me
come un tranquillo possidente le sue terre.


Gli ultimi due versi di questa poesia di Valerio Magrelli (da Ora serrata retinae) colpiscono per la specularità sospesa, rispetto ai primi due:

Io abito il mio cervello / Il mio cervello abita in me

Sospesa perché dopo l'ultimo verso verrebbe voglia di continuare la poesia ri-scrivendo tutto dal punto di vista del cervello (non più dell'Io)... Ma come continuare?
Forse così:

Per tutto il giorno il suo lavoro
è nel farle fruttare, il suo frutto nel farle lavorare.

Il quarto e quinto verso della poesia presentano un'altra specularità: lavoro è far fruttare (la terra), frutto è far lavorare (la terra).
Sembra insomma di scorgere la rappresentazione di uno strano rapporto tra cervello (corpo) e mente: la mente fa lavorare il corpo e il corpo fa lavorare la mente... ma quello che conta, alla fine, è che al di là del punto di vista, al di là del punto di partenza, l'uomo (corpo-cervello+mente) consiste (quando riesce a dare il meglio di sé, quando non cede alla regressione verso la bestia) in un continuo, costante, quotidiano lavoro di messa a frutto delle proprie capacità, che sono corporeo-mentali (o mental-corporee). La natura umana sta in questo destino di intreccio fra cervello e mente che richiede lavoro continuo: solo fruttando, lavorando con la mente-cervello, l'uomo realizza la propria vita nel modo migliore e può contemplare alla fine della giornata (della vita) le sue opere (la sua immagine) con pudore e soddisfazione.

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