6 dicembre 2019

W le SARDINE ! ! !










Chi sono le Sardine?

Innanzitutto, per chi vuole saperne di più, conviene visitare la loro pagina Facebook.

Qui, fra molte altre cose, si trova un testo che alcuni quotidiani hanno voluto indicare come 
il loro "manifesto". Lo riporto, per comodità, qui di seguito, in versione integrale:

Benvenuti in mare aperto

6000 SARDINE·DOMENICA 24 NOVEMBRE 2019

Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita.
Per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata. Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo. Avete approfittato della nostra buona fede, delle nostre paure e difficoltà per rapire la nostra attenzione. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota. Di quei contenuti non è rimasto più nulla.
Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare.
Per troppo tempo avete ridicolizzato argomenti serissimi per proteggervi buttando tutto in caciara.
Per troppo tempo avete spinto i vostri più fedeli seguaci a insultare e distruggere la vita delle persone sulla rete.
Per troppo tempo vi abbiamo lasciato campo libero, perché eravamo stupiti, storditi, inorriditi da quanto in basso poteste arrivare.
Adesso ci avete risvegliato. E siete gli unici a dover avere paura. Siamo scesi in una piazza, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo contati. E’ stata energia pura. Lo sapete cosa abbiamo capito? Che basta guardarsi attorno per scoprire che siamo tanti, e molto più forti di voi.
Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto.
Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie.
Non c’è niente da cui ci dovete liberare, siamo noi che dobbiamo liberarci della vostra onnipresenza opprimente, a partire dalla rete. E lo stiamo già facendo. Perché grazie ai nostri padri e madri, nonni e nonne, avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare.
Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta. Lo faremo nelle nostre case, nelle nostre piazze, e sui social network. Condivideremo questo messaggio fino a farvi venire il mal di mare. Perché siamo le persone che si sacrificheranno per convincere i nostri vicini, i parenti, gli amici, i conoscenti che per troppo tempo gli avete mentito. E state certi che li convinceremo.
Vi siete spinti troppo lontani dalle vostre acque torbide e dal vostro porto sicuro. Noi siamo le sardine, e adesso ci troverete ovunque. Benvenuti in mare aperto.
“E’ chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce. Anzi, è un pesce. E come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare. Com’è profondo il mare”.

Aggiungo subito un'informazione. La citazione che chiude il testo è un frammento di una canzone di Lucio Dalla che si intitola Come è profondo il mare.
      Ma quali considerazioni si possono fare, leggendo questo testo, per rispondere alla domanda 

Cosa vogliono le Sardine?

Leggendo il loro testo si capisce che:
1. Vogliono contrapporsi al fenomeno del populismo.
2. Vogliono che i politici dicano la verità.
3. Vogliono contrapporsi a chi diffonde odio.
4. Vogliono che i politici non semplifichino e sviliscano problemi che richiedono, per essere risolti, grande serietà e impegno (così traduco la frase "Per troppo tempo avete ridicolizzato argomenti serissimi per proteggervi buttando tutto in caciara")
5. Vogliono aiutare chi ha bisogno di aiuto, senza diventare né santi né martiri ("Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo")
6. Vogliono promuovere una modalità non violenta nella gestione dei conflitti.
7. Vogliono una società dove sia sempre possibile coltivare il piacere, la bellezza, la creatività.
8. Credono nella buona politica, quella che lavora nell'interesse di tutti, e ritengono che vada incoraggiata perché si trova attualmente in difficoltà ("Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie.").
9. Ritengono che un modo per contrapporsi alla cattiva politica sia lo smettere di ascoltarla. ("avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare")
10. Vogliono suscitare nelle persone il pensiero. 

Ascoltando Mattia in alcune interviste recenti ho anche capito che:
11. Puntano a cambiare il linguaggio della politica
12. Sono antirazzisti, antifascisti.
13. Vogliono lavorare per una piena integrazione di tutti con tutti.




Articoli/video interessanti sulle Sardine:
Riporto qui l'elenco (in aggiornamento costante) degli articoli che via via riporterò di seguito (o per intero o tramite link):
24 novembre 2019: Così è cambiata la vita di Mattia. "Ora una rete nazionale del movimento", di Luciano Nigro
2 dicembre: Abbasso le sardine. Ma soprattutto viva le sardine, di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
3 dicembre: Troppe sardine piacciono a troppi?, di Paolo Flores D'Arcais
5 dicembre: Chi è Mattia Santori e chi c'è dietro la 6000 sardine, di Felice Florio
6 dicembre: Attento Mattia Le sardine hanno uno stile, di Francesco Merlo
6 dicembre: Le sardine, la legge del branco e la fine del tonno, di Andrea Le Moli
7 dicembre: Il salto della sardina, di Roberto Saviano
7 dicembre: Il momento della verità per le sardine, di Corrado Augias
10 dicembre: la Repubblica Torino: Le sardine debuttano stasera sotto la Mole con una versione muta di "Bella Ciao"
10 dicembre: Finalmente si torna in piazza: viva le Sardine! intervista a Erri De Luca di Giacomo Russo Spena
10 dicembre: Mattia Santori: "No Casapound in piazza San Giovanni..."
10 dicembre: Dacia Maraini: Perché sto con le sardine
11 dicembre: Santori a Rainews24: " Non c'è più spazio per la neutralità"
11 dicembre: Sardine, il ritorno della partecipazione attiva
12 dicembre: Erri De Luca: "Le sardine sono movimento costituzionalista"

12 dicembre: Lettera aperta alle Sardine, di Paolo Flores D'Arcais
14 dicembre: Tra la scatola e il mare aperto, di Barbara Spinelli
15 dicembre: Un oceano, altro che mare. E ora, sardine, coraggio!, di Paolo Flores D'Arcais
16 dicembre: Ma la sardina col velo no, "per la contraddizione che noi consente", di Paolo Flores D'Arcais
16 dicembre: Sardine, la dieta moderata, di Gad Lerner
17 dicembre: Sardine, cosa non va nel programma, di Barbara Spinelli
18 dicembre: No, il dibattito no!, di Marco Travaglio
18 dicembre: commenti su Il fatto di Daniela Ranieri, Gianfranco Pasquino, Marco Revelli
20 dicembre: Noi Sardine e la libertà di non fare un partito, lettera a Repubblica dei quattro fondatori

Così è cambiata la vita di Mattia "Ora una rete nazionale del movimento"
È uno dei quattro ideatori delle sardine di Bologna
di Luciano Nigro
Repubblica, 24 novembre 2019

 BOLOGNA — «Avrei bisogno di staccare un giorno e andare a pranzo dai genitori della mia fidanzata, ma proprio non ci riesco» sorride Mattia Santori, il ragazzo di 32 anni, sconosciuto fino a dieci giorni fa, diventato in un lampo la bandiera delle sardine d’Italia e di un pezzo di mondo. Quel giovedì sera in una piazza Maggiore strapiena il grido "Grazie Bologna" che ha guastato la festa di Salvini al Paladozza lo ha catapultato sulle prime pagine dei giornali, nei salotti televisivi, sotto i riflettori della politica. Un bel salto per il "cinno" (così i bambini si chiamano sé stessi sotto le Due Torri) cresciuto in parrocchia, all’ombra dello stadio Dall’Ara, che a 15 anni portava le pizze nelle case per guadagnarsi qualche soldo e che in piazza pensava «soltanto di dare una mano» per fermare i sovranisti in Emilia.
Un successo che farebbe montare la testa a tanti, e venire le vertigini a chiunque. E a lui? Forse, un pizzico di vanità. «Se fa piacere? Be’ dopo aver ascoltato per una vita Santanché e Sallusti in televisione, poter dire a tanta gente quello che pensi non è male. E lo stesso portare a L’Aria che tira una ragazza di quinta superiore e un ventenne appassionato di politica», confessa con quell’accento da bravo ragazzo che ti fa venire in mente i tortellini. Poi cambia tono: «Io però sono solo una delle sardine. E se faccio tutto questo, che a volte ha un sapore un po’ triste e banale, è perché serve qualcuno che racconti il nostro messaggio, un volto che in qualche modo garantisca il marchio». Già, perché ormai Santori non è più soltanto uno dei quattro amici al bar che hanno complicato l’avanzata leghista nella regione rossa, portando in piazza un popolo che né il Pd, né i Cinque Stelle sanno più mobilitare. Per mezza Italia è diventato lui l’anti- Salvini. E proprio per questo è la sardina più ricercata dal capo della Lega con tutti i suoi gattini e i suoi pinguini che non vedono l’ora di farne un boccone.
Quella di Mattia, però, non è la favola di un cenerentolo divenuto principe in un istante. È una storia che si confonde con il percorso di una generazione. L’avventura dei trentenni flessibili della società liquida, che non potendo contare su una carriera certa devono inventarsi mille lavoretti anche nella terra dove tutto, dall’oratorio all’università, dallo sport alle grandi imprese, prova a parlare ancora di coesione sociale e di gioco di squadra. Lui dopo le pizze che gli permettevano di pagarsi la cena e la coca, è stato babysitter, volontario nei centri estivi per studenti, casellante. Ha raccolto la frutta nei mesi caldi. Fa l’allenatore di basket e atletica per bambini. E ha un contratto, 24 ore a settimana, nella società del professore ed ex ministro Alberto Clô che si occupa di energia e di mercati. Una fatica? «Sono pragmatico e mi piace lavorare, così come mi piace la vita — questo si dice la mattina davanti allo specchio — La prima cosa che ho imparato dai miei genitori è che questo vale più dei soldi. E la seconda è che in famiglia quello che ha uno devono averlo tutti».
Della generazione Erasmus, invece, ha preso la voglia di viaggiare e di essere indipendente. Un mondo di libertà scoperto alla scuola alberghiera («Per me una scuola di vita») a 17 anni da stagista in Sardegna. È allora che decide di vivere solo. Da studente di scienze politiche e poi economia, va in Francia, in Grecia, in Sudamerica. Che tormento tornare a casa, con i genitori e le due sorelle, amatissimi tutti quanti, ma amati ancora di più quando non si vive sotto lo stesso tetto. Dura due mesi e poi di nuovo fuori, da indipendente, con la sua ragazza.
Vita complicata, ma ricca: economista al mattino, in palestra con i bambini e i ragazzi disabili il pomeriggio, allenatore della squadra femminile di frisbee che ha vinto la Champions, ogni estate organizza un evento assai seguito, un torneo di basket per ragazzi in carrozzina, per ricordare un caro amico disabile, amatissimo in città. E la politica? Cos’era la politica prima delle sardine? «Mi interessa capire e approfondire, per combattere l’ingiustizia. Non sopporto la violenza e la falsità del messaggio dei populisti». Di sinistra, come quelli che cantano Bella Ciao? Ha ragione chi dice che dietro il movimento ci sono il Pd e Prodi? «In realtà non tutti la cantano e sento sensibilità diverse, ci sono moderati, persone tranquille convinte, come me, che è ora di fare qualcosa. E Prodi, che qui tutti conoscono, io non l’ho mai incontrato ». Le sardine, si sa, le hanno pensate in quattro, ma il marchio – racconta – lo ha disegnato un quinto. Lo slogan "Bologna non abbocca" lo ha proposto una ragazza fuori dal team. Idem il manifesto. «Oggi siamo in venti, ma non riusciamo a seguire tutto. Ogni giorno riceviamo centinaia di proposte stupende, una più creativa dell’altra».
E adesso? Che succederà alle sardine dopo il voto di gennaio in Emilia? Faranno la fine dei No global dopo Genova, si disperderanno come i tre milioni di Cofferati al Circo Massimo, diventeranno un partito, o qualcosa di simile ai ragazzi di Greta Thunberg? «Siamo dentro un presente travolgente — dice Mattia mentre scorre i 250 messaggi non letti su whatsapp, con la fretta di correre a Reggio Emilia dove lo aspettano in seimila — non abbiamo ancora trovato un attimo per pensare al futuro. Su una cosa scommetto: nel movimento c’è un’energia crescente e ci sono gli anticorpi alla violenza e alle provocazioni. Presto dovremo creare un coordinamento delle sardine di tutte le città. Adesso, però, quello che conta è che ognuno riempia prima la sua piazza ».


Abbasso le sardine. Ma soprattutto viva le sardine
di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
Micromega, 2 dicembre 2019

Il fenomeno che ovunque riempie le piazze contro la peggior destra dal Dopoguerra in poi ha un programma vago ma piace perché risponde a una domanda inevasa di cambiamento. Dove andrà? A chi porterà voti? È ancora presto per saperlo, intanto oggi nell’era del salvinismo le sardine costruiscono senso comune, affermano temi progressisti e rappresentano un risveglio delle coscienze. Di questi tempi, non è poco: coi limiti del caso, nuotano dalla parte giusta.

Premessa: chi scrive non pensa che le sardine rappresentino la panacea contro i mali della società, una avanguardia rivoluzionaria né il movimento per eccellenza. Non hanno un programma definito né una posizione prevalente su temi centrali come lavoro, precarietà, lotta alle disuguaglianze, Europa. È anche inutile chiedersi perché non esprimano un’opinione pubblica, ad esempio, sul Tav Torino-Lione o sul Mes. Gli stessi portavoce bolognesi del movimento durante i loro interventi possono apparire superficiali: si limitano ad affermare che manifestano contro chi in questi anni, alla ricerca di consenso facile, «ha disgregato il tessuto sociale del nostro Paese», spiegava ieri alla folla di Milano Mattia Sartori, uno dei ragazzi bolognesi che nel capoluogo emiliano ha inaugurato la stagione di piazza. Sono considerazioni giuste ma generiche, tanto da far ipotizzare a qualcuno che il movimento possa dissolversi in un breve lasso di tempo per mancanza di sostanza o perché sussunto dal Pd e dal centrosinistra nel suo complesso. 

Eppure bisogna interrogarci su un aspetto: le sardine crescono. Sono ovunque, da nord a sud. Riempiono le piazze in modo eterogeneo, sono adulti e sono giovani, uomini e donne che hanno in comune una cosa: si sentono abbandonati dalla politica tradizionale. Il movimento chiama a sé persone non strettamente politicizzate, che però partecipano mossi da sentimenti di umanità e repulsione verso una propaganda cattiva e inquinatrice del vivere collettivo. Si rivolgono al governo – ideato per arginare ed evitare la vittoria alle urne dello spauracchio Matteo Salvini – sottolineandone l’insufficienza e la delusione. Oltre al frontismo contro la destra, si affianca così la critica all’attuale centrosinistra. Nelle loro piazze si parla, in primis, di antifascismo, solidarietà e difesa della Costituzione, respingendo la cultura dell’odio rivolto verso i più deboli. 

Nate in Emilia Romagna, all’interno di una competizione elettorale che ha valenza nazionale, anche per portare voti al candidato del centrosinistra Stefano Bonaccini, le sardine si sono diffuse fino a convocare la manifestazione nazionale a Roma del prossimo 14 dicembre. Crescono perché colmano un vuoto e i vuoti in politica non esistono. Rispondono, semplicemente, a un sentimento di smarrimento e insieme a una domanda inevasa di cambiamento. 

Nella discussione pubblica crediamo ci sia un equivoco di fondo. Chi pensa che gli italiani abbiano attitudini quasi antropologiche verso il salvinismo o ritiene ormai il Paese perduto, non si rende conto dei numerosi conflitti che attraversano la società. Il belpaese è stato per anni il laboratorio politico e sociale dell’alternativa, fin dai tempi del movimento alterglobalista, tanto da essere modello da emulare. In Italia si è assistito, per citare qualche esempio, all’immensa manifestazione per la Pace del 15 febbraio 2003, alle comunità ribelli, alla vittoria referendaria del 2011 per l’acqua pubblica e contro il nucleare o la più recente consultazione per difendere la Costituzione dalla riforma del governo Renzi. Resiste un tessuto sociale radicato sui territori e composto da movimenti sociali, associazionismo, reti per i beni comuni: quel che manca da anni a sinistra è una rappresentanza coerente con questi valori. 

Le sardine si inseriscono in questo contesto: fanno propria una richiesta di discontinuità con lo status quo, una domanda che non si esprime ancora in un programma definito. La loro forza è nello spontaneismo. Intanto mettono davanti i propri corpi, come elemento prepolitico utile per riscoprire un elemento di incontro fisico e allo stesso tempo per togliere alla destra la retorica della conquista della piazza popolare. Utilizzano un linguaggio diretto, fresco e comprensibile. Acclamano l’unità dopo anni e anni di divisioni a sinistra. E ciò, in tempi di magra, è sufficiente per diventare catalizzatori di un risveglio di coscienze. In questa fase storica di ascesa non solo politica ma culturale di una destra violenta tentano di esercitare una battaglia per l’egemonia attraverso una narrazione alternativa: no, non esiste solo un Paese che si esalta per le esibizioni muscolari del leader di turno. 

Le sardine insomma possono costruire senso comune ripartendo dai fondamentali, che oggi sarebbe sbagliato dare per scontati. Riportano al centro del dibattito una grammatica basilare fatta di partecipazione, online e offline e riconquista di un protagonismo diffuso. Apartitici ma fortemente politici, perché la politica siamo anche noi, individualmente e collettivamente. Anche simbolicamente la sardina, pesce povero, che da solo rimane indifeso ma che assieme ai propri simili si protegge, porta con sé un messaggio politico fortissimo che ha in realtà molto da insegnare a una sinistra incapace da troppi anni di definirsi e farsi capire dal resto del mondo. 

Porsi la domanda del come andrà a finire è prematuro. Al momento le sardine non parlano di rappresentanza e questo movimento non si pone il problema. Di certo, il protagonismo delle sardine costringe tutti a fare i conti con l’assenza di una reale alternativa politica. Obbligano il Paese e il dibattito pubblico a confrontarsi su temi come diritti, antirazzismo, solidarietà in contrapposizione a chi quotidianamente foraggia paure e xenofobia. 

A voler giudicare un fenomeno capace di portare centinaia di migliaia di persone in piazza nel giro di pochi giorni si peccherebbe di alterigia, specie se il punto di partenza è il poco più del nulla di una sinistra, quella moderata e quella radicale, in stato di afasia. Piuttosto sarebbe più utile contaminare il movimento, provare a plasmarlo, a indirizzare il banco di sardine verso il suo naturale sbocco: quello di una radicalità nei contenuti e nelle proposte imprescindibile di fronte all’urgenza delle sfide del presente. Di certo Salvini non si sconfigge con operazioni politiciste di Palazzo – chi scrive lo pensa fin da quando è nato il governo Conte 2 – ma nelle pieghe della società e dei suoi conflitti. Con i limiti del caso enunciati, le sardine nuotano dalla parte giusta. 

Ben venga quindi un mare di pesci il prossimo 14 dicembre a Roma. 


Troppe sardine piacciono a troppi?
di Paolo Flores d’Arcais 
Micromega, 3 dicembre 2019

Le piazze delle “sardine” continuano a essere colme oltre ogni speranza (tranne a Taranto), sabato 14 dicembre a Roma si chiuderà la prima fase di questo inatteso e travolgente movimento. Per il 15 è previsto l’incontro tra gli animatori di tutte le sedi. Comincerà il “dopo”, l’organizzazione della spontaneità. E comincerà a profilarsi un’identità che ancora si presta a interpretazioni assai divergenti. 

Queste “sardine” piacciono a troppi, si dice. E chi piace a troppi è quasi sempre innocuo (fino a un certo punto, però: Mani Pulite dopo alcuni mesi entusiasmava gran parte dell’Italia, giustamente, fortunatamente, la sciagura è stata che il fuoco concentrico dell’establishment abbia paralizzato e poi ucciso la nascente rivoluzione della legalità, di cui l’Italia continua ad avere più che mai bisogno). 

Che piacciano a troppi è certo. Piacciono molto anche a Giuliano Ferrara, da un quarto di secolo il leader intellettuale della destra più massimalista, (oltre c’è la destra anticostituzionale ed eversiva dei Salvini, Meloni & Co). 

Con un entusiasmo prosastico fin qui riservato solo al Cav. dei tempi d’oro, Ferrara si è spellato le mani per lo “spettacolo rassicurante” (opposto al “popolo gognesco dei fax di Mani Pulite” e ai “tristi girotondi”, esultando per “un movimento spontaneo di fiancheggiamento dell’establishment. Ma che cosa si può chiedere di più dalla vita?”). 

Ferrara spaccia per descrizione il suo personalissimo wishful thinking, dilatando oltre ogni legittimità ermeneutica alcune frasi (od omissioni) del loro “manifesto”. Che in realtà è un manifesto di stile politico, più che di contenuti programmatici (benché assumere come stella polare la Costituzione, da sette decenni inapplicata, è già uno scheletro impegnativo di progetto, e lo slogan è lo stesso dei fax pro Mani Pulite, dei Girotondi e di tutto quanto fa orrore a Ferrara e lo mette in uggia). 

Le “sardine” sono un movimento magmatico, tumultuosamente in fieri. Un embrione ormai esploso, senza un DNA preciso, però: dunque potrà evolvere secondo linee assai differenti. Qualcosa comunque già sappiamo. Partiamo dai due soggetti principali, i fondatori e i cittadini che si mobilitano. 

I quattro amici trentenni di Bologna, che hanno lanciato il primo appuntamento, sono decisamente antifascisti (ma questo dovrebbe valere per ogni cittadino, visto che la Costituzione, il patto che tiene tutti noi italiani insieme, che ci rende con-cittadini, nasce dalla Resistenza e ne esprime i valori). Decidono di ribellarsi e chiamano alla mobilitazione in piazza quando la politica diventa barbarie, diventa Salvini e i suoi pasdaran. Alla politica becera rispondono con la mobilitazione insieme allegra e seria, una sorta di festa permanente della Costituzione. Non invitano i partiti, ne diffidano, ma non sono contro. Probabilmente sono di quei cittadini che vorrebbero che il Pd assomigliasse più a loro che ai dirigenti del Pd, e sperano che una qualche metamorfosi del genere sia ancora possibile. 

Le decine di migliaia di cittadini che scendono in piazza al loro invito, città dopo città (e un mare a Roma sabato 14, speriamo), hanno probabilmente sensibilità politiche diverse, in quello spettro (in entrambi i sensi della parola!) che si definiva un tempo “sinistra”. Un fatto li unisce, però. Se quattro amici lanciano il segnale, si mobilitano. Alle convocazioni del Pd, da anni hanno fatto orecchie da mercante. Se a Bologna, con le stesse parole d’ordine, la manifestazione anti-Salvini l’avesse convocata il Pd si sarebbero trovati in quattro gatti meno qualcosa. 

Il che viene a dire: quattro amici della società civile li prendiamo sul serio, sono credibili, ci fidiamo, i dirigenti del Pd no. Questa oggi è l’essenza del movimento che si sta formando, la materia della galassia “sardine”. Si tratterà di essere coerenti con questo fatto e con la volontà di applicare, realizzare, praticare, la Costituzione. Vedremo come organizzeranno la manifestazione del 14, la prima con programmata visibilità nazionale (se qualche rete televisiva facesse davvero informazione la darebbe in diretta, ovviamente). Quali temi sottolineeranno, come cominceranno ad articolare in obiettivi di lotta quell’esigentissimo programma che è l’attuazione della Costituzione. Che forme organizzative si daranno, come selezioneranno i propri leader (che ovviamente dichiareranno di non essere tali), come affronteranno prima o poi le scadenze elettorali, quali campagne “pro”, e non solo “contro” decideranno di lanciare. 

Vedremo se saranno un fuoco di paglia, come siamo stati (colpevolmente!) noi Girotondi (per cui lo spazio della sacrosanta protesta è stata monopolizzata per dieci anni dal Vaffa di Grillo), o se sapranno dare corpo alla speranza di “giustizia-e-libertà” che a livello di massa continua a percorrere come un fiume carsico la società civile democratica, da trent’anni, senza riuscire a trovare mai la sua adeguata espressione politica. Vedremo. Ma l’esito dipenderà anche dal non essere semplici spettatori, dall’impegnarsi in questo magma. 


articolo molto interessante del 5 dicembre 2019, uscito su www.open.online

Attento Mattia Le sardine hanno uno stile
di Francesco Merlo
Repubblica, 6 dicembre 2019

Non è facile per nessuno e capisco che neppure Mattia sia riuscito a resistere allo spirito di patata di Un giorno da pecora. Egregiamente provocato dalla coppia malandrina Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, ha per esempio trasformato la propria fidanzata in un quiz sul suo nome palindromo: Ada, Anna, Ava oppure… Otto? Anche quando l’ho sentito e visto compiacersi di attirare «soprattutto le over cinquanta» ho pensato che un bel ragazzo ha diritto all’ironia e che, magari, forse, chissà, può anche permettersi di dire: «Vabbé, me le scrollo di dosso».
E però Mattia Santori ha pure mangiato in diretta un piatto di sardine al limone, e passi anche questa banalità della sardina che si nutre di sardine.
Ma poi mi è venuto in mente Gian Maria Volonté e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (chissà se Mattia l’ha visto) quando ha confessato il vizietto di passare col rosso con il motorino, sardina al di sopra di ogni sospetto. E va bene che tutti noi adoriamo almeno un po’ le bricconate, ma le sardine sono il contrario dell’Italia che passa col rosso, che è la stessa che salta le code e parcheggia in seconda fila. Le sardine sono uno stile, una voglia di misura, di un senno, la necessità di una regola d’eleganza in un Paese che ha elevato a pedagogia il fregare il prossimo.
L’Italia dei "meglio furbi che virtuosi" è quella della prepotenza e non della solidarietà. Insomma non è l’Italia delle sardine.
Ho conosciuto Mattia Santori e garantisco che è migliore della tv che frequenta e che ovviamente mira al Sottosopra in nome dell’audience, e dunque "stracambia" Maradona in Freccero e Oliviero Toscani in Alba Parietti, e trita alla stessa maniera Cacciari e Celentano: l’indifferenziato televisivo. Ecco, Mattia non si perde una trasmissione, da Piazza Pulita a Floris, da Daria Bignardi a Lilly Gruber…, sta sempre lì a fare il marziano.
Dico la verità: mi capita, quando lo vedo, di imbarazzarmi per lui. Anche perché sono sicuro che le altre tre sardine — Andrea Garreffa che è la testa, Roberto Morotti che è la coscienza, e Giulia Trappoloni che è il cuore — sanno bene che il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso e che il marziano, a furia di essere intervistato, finì ubriaco in via Veneto dietro ai paparazzi che non gli andavano più dietro.
Mattia una volta rivela che lo chiamano Bambaz, un’altra dice d’essere iperattivo mentalmente, e intanto si tira su i capelli e consuma se stesso e la sua estraneità. Così rischia di diventare il Pisanello-Benigni di Woody Allen "il signor qualsiasi a Roma", famoso solo perché era venuto il suo momento di diventare famoso. E bisogna strizzare gli occhi per non vedere l’essenziale: le sardine che sono acefale e vogliono restare senza capo, le sardine che sono il contrario dei signori qualunque della tv, rischiano di trasformare la bella faccia di Mattia, che giustamente hanno scelto a rappresentare tutte le loro belle facce pulite, in quella dell’ultimo allampanato dal successo. Il suo volto ingenuo e allegro si sta estenuando nel farsi ordinario, famoso perché non ci sarà niente di lui che si farà ricordare e perché la troppa televisione cambia i connotati di tutti, anche delle sardine.
Ecco, sicuramente Mattia ha letto Great Expectations di Dickens, che i ragazzi inglesi studiano a scuola più o meno come noi studiamo I promessi sposi. Dunque sa che fu la vanità a bruciare Le grandi speranze e a perdere Pip, il bello, generoso e inizialmente superfortunato protagonista, palindromo.


Le sardine, la legge del branco e la fine del tonno.
di Andrea Le Moli
Micromega, 6 dicembre

Aristotele ci aveva già avvertito e la biologia marina contemporanea lo ha precisato: il mare è popolato di oloturie, organismi detritivori importanti perché ripuliscono i fondali dei mari, rimettono in circolo sostanze nutritive e aiutano a mantenere in equilibrio l'ecosistema. Ma sono meglio le sardine, purché non facciano la fine del tonno.
Recenti sviluppi nell’uso della comunicazione pubblica fanno pensare che più che il cielo sia il mare il vero limite dell’immaginario umano. Almeno se ha un senso la scelta della sardina come espressione di una “legge del banco” opposta a quella del “branco” (intelligenza distribuita versus coesione regolata da rapporti di forza e leadership incondizionata); come lo aveva l’immagine di un parlamento “scatoletta di tonno” da sventrare o quella della “minchia marina” (oloturia) a simbolo dell’ottusità di chi rifugge dall’azione civile libera e responsabile.
Sul potenziale delle minchie marine/oloturie e sulla conseguente efficacia di questa metafora ci sarebbe da discutere. Di questi fondamentali organismi di transizione tra mondo vegetale e mondo animale parla già Aristotele (Hist. An. 487 b; De part. an. 681 a) per spiegare come la natura passi senza soluzioni di continuità dalle cose inanimate agli animali per il tramite di esseri che, pur essendo viventi, non sono tuttavia “semplicemente” animali. Aggiungendo che questi miracoli organici sono come quelle piante terrestri "dotate della capacità di vivere e di crescere ora su altre piante, ora persino sradicate". Anche per la biologia marina contemporanea le oloturie sono organismi detritivori importantissimi perché ripuliscono i fondali dei mari, rimettono in circolo sostanze nutritive e aiutano a mantenere in equilibrio l'ecosistema. Per tacer del fatto che possiedono incredibili capacità rigenerative e risultano capaci di vivere a profondità inaspettate, costituendo quasi il 90% delle forme viventi sotto gli 8.000 metri di profondità. Dunque attenzione, nel mare e nel linguaggio, alle oloturie. Che continuano a vivere quando e dove meno ce lo aspettiamo, che se proviamo a toccarle ci bruciano e che, a differenza nostra, non hanno sempre il problema di decidere da che parte stare.
Il “banco di sardine” appare invece immagine più promettente, perché cifra di una resistenza prodotta dalla capacità dei piccoli di organizzare la propria debolezza, di far fronte circondando il predatore, sempre pronti a disperdersi per non offrire un bersaglio. Una sorta di riscatto degli individui polverizzati dal contesto socio-politico globale che scoprono di poter sfruttare la polverizzazione come arma; e dunque immagine di una organizzazione spontanea alternativa ai modelli distorti di leadership incondizionata. Oltre alla riprova del fatto che sempre più spesso, nell’azione politica, è necessario metterci i corpi, e non solo la faccia. Questo, ovviamente, posto che non si tratti dell’ennesima architettonica del consenso travestita da spontaneismo e veicolata da mezzi solo apparentemente universalisti e democratici come i social network.
In ogni caso, quanto questa strategia possa funzionare in politica è sempre stata questione aperta, campo di predizioni facili ma scivolose in quell’acquapark collettivo che è diventata la comunicazione pubblica. Dall’Uomo Qualunque di Giannini, passando attraverso Girotondi e Popolo Viola, la storia del movimentismo italiano è fatta di esperienze destinate a naufragare nell’assenza di progettualità a lungo termine e capacità politica. Buon gioco sembrerebbe avere allora la corsa alla predizione disfattista. Mentre un’attenzione forse troppo benevola per esser sincera viene concessa da forze politiche in attesa di accreditamento elettorale. Il tutto a legittimar l’impressione che si sia ufficialmente aperta la stagione della pesca. Aggiungeteci che il candidato alla poltrona di governatore della Calabria per il centrosinistra potrebbe essere un pregiato inscatolatore professionista di tonno e il cerchio, davvero, si chiude.
Ma forse si era già aperto un po’ chiuso, l’ultimo cerchio di quella balza da purgatorio che è la politica di casa nostra. Come non notare infatti il paradosso di un movimento che si dichiara antipopulista, ossia contrario proprio a quell’espressione di antipolitica che è stato il populismo italiano, dai Cinquestelle fino alla svolta nazional-balneare della Lega? Se poi, oltre a contemplare la disfida dei simboli, ci imbarchiamo nel contest dei contenuti l’impressione non cambia. Nel manifesto delle sardine di contenuti infatti non ce n’è. La cosa migliore che se ne possa dire è che è pieno di buoni sentimenti, i quali però non fanno piattaforma politica.
Purtuttavia, se le sardine non sembrano aver molto da dire nel merito tantissimo ne hanno nel metodo. Perché la loro è anzitutto rivoluzione metodologica, riforma dello stile comunicativo dominante e scossone dato all’idea che l’unica maniera efficace di compattare il consenso sia la ricerca della bolgia, dell’ordalìa, della tonnara. Che in fondo, come pensano in molti, non si tratti che di rincorrere, imitare e magari un giorno primeggiare nell’uso sapiente e spregiudicato della Bestia. Non gli dobbiamo chiedere di più, alle sardine. Certo possiamo aspettare il risultato delle elezioni in Emilia, fra due mesi. Se si registrasse un successo schiacciante del fronte anti-Lega o un incremento dei votanti tra i giovani e giovanissimi prenderebbe forza la tesi di un’influenza in positivo della protesta; il capitone (again, il mare) prenderebbe qualche pesce in faccia (la mer, encore) e avrebbe senso insistere su questa strada. Ma se quanti oggi accorrono festosi in piazza dovessero dimenticarsi di andare a votare domani racconteremmo un’altra storia. E magari le sardine si troverebbero di fronte all’accusa di aver contribuito al successo altrui, in quanto la strategia di un’opposizione di piazza rivolta ad una forza all’opposizione avrebbe avuto l’effetto di presentare quest’ultima come vittima, o come talmente forte da essere inevitabilmente destinata al governo.
Tuttavia, se anche grazie a questo piccolo gesto dovesse prodursi un aumento di sensibilità politica, magari un inizio di quella trasformazione dello stile comunicativo che non possiamo non auspicare, si porrebbe la questione se lasciare questa forza ridisperdersi senza un progetto o, peggio, vederla procedere verso lo schieramento di reti in attesa. Diverso sarebbe se ci fosse un ecosistema disposto ad accogliere l’impatto con il banco di sardine equilibrandosi sin da subito in una intelligenza collettiva in grado di declinarne la spinta in un progetto di vita associata, e non semplicemente in una “pesca” elettorale. Non so quanti di coloro che ancora si chiamano a sinistra abbiano le risorse per entrare in questa logica. O se invece preferiscano continuare a farsi trasportare dalle maree giocando a mozzicarsi reciprocamente. In questo destinati, prima o poi, a fare “la fine del tonno”, che poi è davvero il pesce a cui finisce sempre peggio, nel mare e nel linguaggio.

Andrea Le Moli insegna Filosofie dell’età contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università degli Studi di Palermo. Autore di volumi, saggi e articoli sui rapporti tra pensiero classico e filosofia del Novecento, attualmente si occupa di Biocritica e Global Philosophy.


Il salto della sardina
"Senza leader, senza simboli, solo il nome di un pesce. Sono andato in piazza con loro. Ecco che cosa ho capito"
di Roberto Saviano
Repubblica, ROBINSON, 7 dicembre 2019
Una piazza rumorosa come un pesce
Che cosa vogliono le Sardine e che cosa possiamo fare noi

Vado in piazza Duomo, il primo dicembre, con le Sardine. Ci vado da uomo del Sud. Osservare l’Italia dal Sud è un’altra cosa. Tutto dal Sud è un’altra cosa. Non sto dicendo che al Nord si stia bene, che al Nord ci siano privilegi, ma la sensazione è che il Sud sia sempre abbandonato, che sia addirittura temuto. La sensazione è che se sei del Sud e hai la fortuna di vivere al Nord, le cose potranno andarti bene, ma se sei del Nord, non ti verrebbe mai in mente di abbracciare la croce del Sud, come fece Danilo Dolci, di studiare i problemi del Sud e di provare a dare risposte concrete. La politica fugge dal Sud e, quando ci si avvicina, lo fa trattando le regioni meridionali come bacini di voti, di voti facili perché la disperazione e il disagio sono tali che basta promettere poco per alimentare speranze. Ogni movimento d’opinione o politico deve prendere il Sud come banco di prova, deve conquistare il Sud per prima cosa, deve trattare il Sud come la parte fragile di un corpo bellissimo dalle gambe esili. Deve spostare la testa al Sud e aprire laboratori di confronto costante a Napoli, Palermo, Taranto, Bari, Lecce, Reggio Calabria, Catanzaro, Campobasso, Catania. Ma la direzione che si sta percorrendo è quella diametralmente opposta.
Al Sud tutto chiude: industrie, aziende e redazioni di giornali, nonostante le promesse. Nonostante gli slogan. Se osservi l’Italia e la politica italiana da Sud non puoi fare a meno di sentirti oltraggiato dalla perenne presa per i fondelli, dalla perenne menzogna (abbiamo sconfitto la povertà, abbiamo salvato l’Ilva, abbiamo bloccato l’immigrazione) che non tiene conto delle vittime che lascia dietro di sé, italiani e stranieri. Non riesci a trattenere l’indignazione verso una politica che individua nemici (i migranti, gli immigrati, le zingaracce, gli scrittori, i giornalisti e le testate giornalistiche, gli avversari politici, finanche gli utenti dei social) e li espone alla gogna, additandoli come possibili bersagli. «Mi dicon che non si spara e mentre me lo dicon son seduti su cumuli di cadaveri che non hanno ammazzato loro, ma di cui neanche avvertono il fetore» : questa frase è di Beppe Fenoglio, ma la sento mia. Non immaginate quanto.
Perché è il fetore che bisognerebbe iniziare a sentire, il fetore dei cadaveri su cui siamo seduti. Dobbiamo smetterla di turarci il naso e capire, finalmente, che da una parte c’è chi punta il dito su ciò che siamo, dall’altra noi che rispondiamo discutendo nel merito dei temi. E in risposta? Otteniamo attacchi personali. Il "ti tolgo la scorta" è uno dei tanti ed è forse il peggiore che mi sia stato rivolto perché presenta la mia maggiore debolezza come un privilegio. Questo è il metodo: i migranti non sono vittime degli aguzzini libici, ma delle Ong, accusate di essere trafficanti di esseri umani. Gli immigrati che parlano al cellulare, per il fatto stesso di possedere un cellulare, non sarebbero in realtà indigenti, ma anche loro privilegiati; non una parola sul fatto che i telefoni sono l’unico modo che hanno per restare in contatto con le famiglie rimaste nei paesi di origine, per dare loro notizie e riceverne. Gli immigrati sono muscolosi: questa caratteristica fisica viene presentata così, come fosse motivo per cui provare vergogna – o peggio, un pericolo da cui stare in guardia – e non si riflette sul dramma di chi, per debolezza fisica non ce l’ha fatta, nel senso che è morto in Africa, in Libia o in mare. Siamo seduti su cumuli di cadaveri e non ne sentiamo il fetore, appunto. Ma quello che lascia sgomenti è che questi attacchi sono attacchi strumentali: servono a compattare le masse attorno a un nemico (o meglio all’idea, al concetto di nemico), sono la foglia di fico dietro cui si nasconde il vuoto totale e una prepotente fame di potere che non guarda in faccia a nessuno, che non ha pietà di nessuno.
E così ci si sente soli. Anche se sai che sono in tanti a pensarla come te. Soli perché non tutti hanno la possibilità di far sentire la propria voce. È con questo spirito che sono andato in piazza Duomo, a Milano, alla manifestazione delle Sardine: ci sono andato per un imperativo che mi tormentava, per uscire dalla solitudine e aggiungere la mia voce a quella di migliaia di altre persone perché le sardine sono pesci fragili se presi individualmente, ma inarrestabili quando uniti nella potenza del banco. Non solo per il numero, ma perché nel banco le sardine non stanno tra loro e accolgono altre specie. Non so se la bizzarria di questo nome abbia tenuto conto della peculiare tendenza a inglobare anche ciò che non somiglia a se stessi o se fosse solo un riferimento al rimanere densamente compressi, uno accanto all’altro, in spazi che però non sono per niente angusti; non lo era piazza Maggiore a Bologna e nemmeno piazza Duomo a Milano.
In ogni caso, decido di andare. Vado perché non è vero che chi è sotto protezione debba nascondersi. La protezione, a chi scrive, viene data perché possa continuare a raccontare e non perché se ne stia rintanato in un bunker come i latitanti braccati dalle forze di polizia. È pericolosissimo far passare il messaggio che se sei scortato non puoi andare in piazza. Pericolosissimo perché sancirebbe la definitiva capitolazione dello Stato davanti alle organizzazioni criminali.
Del resto non è che mi sentissi sicuro perché la piazza era di " sinistra", ma ero tranquillo – lo sono sempre, da 13 anni – perché sono affidato a carabinieri di altissima professionalità. La piazza era strapiena. Speravo di poter incontrare degli amici con cui avevo appuntamento, ma ricevevo messaggi in cui mi dicevano che era impossibile muoversi, che nonostante la pioggia c’erano migliaia di persone e che stavano stretti, compressi come sardine. Entro in piazza Duomo, mi immergo nel banco diffuso degli ombrelli. E mentre mi inzuppo, penso agli ultimi versi della canzone di Lucio Dalla che le Sardine hanno scelto come loro inno: « Il mare non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare » e il mare, domenica scorsa, a Milano, è piovuto letteralmente dal cielo.
Volevo vedere che aspetto avesse una piazza senza simboli e senza bandiere; come si presentasse una piazza che non appartiene a nessuno, anzi, che appartiene a chi in quel momento c’è. Volevo capire che aria si respirasse in una piazza che non doveva trasformarsi in voti, almeno non nell’immediato. Volevo capire perché la menzogna, l’attacco all’avversario, il colpo basso sono diventate armi considerate ormai quasi imprescindibili da utilizzare nelle competizioni elettorali. E volevo capire se davvero, come credo, si può essere un soggetto politico senza chiedere voti, senza promettere nulla, ma solo chiamando a raccolta perché cambi, prima di tutto, la comunicazione politica; perché al centro del dibattito ci siano i temi e non le persone che diventano leader o nemici da abbattere. Spesso sentiamo dire che i movimenti politici guadagnano consenso quando sono all’opposizione e che poi, quando sono al timone, il consenso si sgretola. È fisiologico, perché una cosa sono le parole che infiammano le piazze, un’altra è amministrare, governare, prendere decisioni. Un conto è dire: sappiamo cosa non vogliamo e cosa non vogliamo essere, ma è difficilissimo dire: ecco, in questo percorso politico mi riconosco.
E il motivo è semplice: il fallimento è dietro l’angolo, l’errore è a un passo da noi ed è a un passo dai soggetti politici in cui di volta in volta ci riconosciamo. Ma non dobbiamo temere né il fallimento, né l’errore, altrimenti diventiamo come ciò che più ci fa orrore: un soggetto politico vuoto, pura comunicazione, video e selfie, promesse e minacce per poi scappare quando non si può mentire oltre.
     E non si scappa, e non si smette di mentire per un afflato di onestà, ma perché ci sono momenti nella vita politica di un partito o di un movimento in cui bisogna prendere delle decisioni e spiegare quelle decisioni alla propria base elettorale. Il problema nasce quando alla base elettorale vengono dati solo slogan, gattini e pane e Nutella.
Ecco perché le Sardine sono attese al varco, sono attese nel momento esatto in cui le parole e le azioni politiche diventeranno impegno per una forza che possa contare alle urne. Non so se l’attesa sarà vana, ma per me quel che conta ora è capire che effetto avranno sulla comunicazione politica e sulla consapevolezza politica degli italiani, di tutti gli italiani, da nord a sud. Se riusciranno, essendo tante e senza leader, a spostare l’attenzione dalla persona, passando per le persone, per approdare ai temi.
Max Weber descrive il leader politico come colui (o colei) che fonda la sua legittimità sulla capacità straordinaria che possiede di essere l’anello di congiunzione tra la collettività e il Parlamento. Il carisma del leader politico deve essere esercitato all’interno delle regole democratiche e il Parlamento ha la funzione di costante controllo. Ma il leader può diventare altro e, ribaltando le pagine di Max Weber, può fondare la propria legittimità sull’essere un grande vuoto in cui tutti possono riconoscersi. L’uomo o la donna senza qualità che decidono di incarnare, all’occorrenza, un unico segmento della nostra vita sociale: l’incazzatura perenne, il dito inquisitore puntato verso l’altro, sull’errore dell’altro, sull’inciampo. E quando pure l’altro non avesse sbagliato, oggi esistono – ma in realtà sono sempre esistiti e oggi più di ieri abbiamo la possibilità di smascherarli – strumenti in grado di creare artificialmente l’errore, di individuare il presunto reo per poterlo processare sommariamente in televisione e sui social media, per condannarlo a furor di popolo. Da qui nasce l’urgenza di riunirsi, di stringersi gli uni agli altri: scendere in piazza come un banco di pesci che si compatta in emergenza. Il collante è l’emergenza, non un bersaglio comune, e l’emergenza è identificata con la menzogna sistematica, con l’aggressività verso chi spesso non è in grado di difendersi. L’emergenza nasce per contrastare la costante mistificazione dei propri percorsi, il silenzio colpevole sulle pratiche criminali dei compagni di partito, il non rispondere mai dei propri errori, il difendersi attaccando.
Ecco cosa la destra — ma per certi versi anche parte del centrosinistra — teme delle Sardine: il tentativo di trasformare la grammatica del linguaggio politico, il voler cambiare le regole di un campionato in cui i sovranisti si sentono forti; il tentativo che per ora sembra riuscito a lasciare il virtuale per contarsi fisicamente. Seimila, diecimila, venticinquemila.
E la differenza non è chi scende in piazza, ma nel motivo che porta a scendere in piazza. Scendo in piazza per me o lo faccio per qualcun altro? Resto me stesso o mi perdo nelle istanze del leader che credo mi rappresenti? C’è chi decide di perdersi nelle istanze del leader che più di tutti intercetta il malcontento e c’è chi non crede più nel leader, ritenendo anzi che il tempo dell’uomo solo al comando sia finito. Così accade che scendi in piazza per metterci la faccia, non per nascondere la tua dietro quella di qualcun altro, ma perché il tuo volto, accanto a quello di chi ti è vicino, sia visibile. Per farlo, però, bisogna mettere da parte simboli e bandiere; essere disposti a spogliarsi di quello che siamo stati o abbiamo creduto di essere fino a oggi. La piazza senza simboli, che non è affatto una piazza senza colori, non si riconosce in un leader senza qualità, in un leader interscambiabile, in un leader in cui poter momentaneamente riversare ciò che sei. La piazza senza simboli consente a ciascuno di portare se stesso, di potersi stringere accanto all’altro senza perdere le proprie qualità anzi, sommandole a quelle di tutti gli altri. Ma essere un movimento di piazza non offre soluzioni per l’ex Ilva, che rischia seriamente di diventare la Bagnoli del nuovo millennio, nella migliore delle ipotesi. Essere un movimento di piazza non offre soluzioni alla diminuzione degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, inferiori del 20 per cento rispetto agli impegni che l’Italia ha preso con l’Unione Europea.
Di movimenti di piazza ne abbiamo visti e studiati molti e non hanno inciso come promesso o sono diventati ciò che mai avrebbero voluto essere. Al momento c’è molta curiosità per le Sardine, il circo mediatico le ha adottate perché non ha trovato nulla di strettamente politico da opporre alla destra.
Però una strada esiste, ed è davvero l’unica strada che non è mai stata battuta fino in fondo. È una strada intrapresa e poi abbandonata perché lunga, impervia e priva di ricompense individuali, di riconoscimenti immediati, di vittorie lampo. Se le Sardine vorranno fare la differenza non devono offrire soluzioni, ma iniziare a studiarle. Devono mettere in cima all’agenda politica e alle priorità del Paese una rinnovata e urgente Questione Meridionale. Devono tenere in considerazione, in alta considerazione, i militanti di qualsiasi colore politico, che conoscono il territorio, che da anni studiano e propongono soluzioni, inascoltati, spesso oscurati dalla opacità dei loro leader. Oggi le Sardine devono scendere in piazza e al contempo aprirsi al territorio, senza temerlo. Non basta raccogliere persone, non basta riempire le piazze, serve confronto e interlocuzione per evitare l’effetto sorpresa di cui è stato vittima il M5S, che voleva cambiare tutto in poche mosse e che in poche mosse è stato cambiato, definitivamente.

Le lettere di Corrado Augias
Il momento della verità per le sardine
Repubblica, 7 dicembre 2019
Gentile Augias, il fermento giovanile che si sta coagulando intorno all’esperimento delle "sardine" porta al centro del dibattito un fenomeno sul quale molti si sono espressi: la folla come soggetto collettivo. La maggior parte degli esponenti della psicologia collettiva ne hanno fornito un quadro negativo come se la folla fosse un soggetto peggiore del singolo individuo, dotato di autocontrollo e di uno spirito critico che gli permette di reprimere azioni incontrollate. In realtà, come sostenuto da ultimo dalla professoressa Michela Nacci ("Il volto della folla" – Il Mulino), bisogna riconoscere che anche nell’individuo la dimensione affettiva e istintuale è preponderante rispetto a quella razionale acquisita solo di recente. La grande prova di equilibrio finora dimostrata dai giovani scesi nelle piazze consolida il dato che ci troviamo a vivere una stagione della politica nella quale ciò che conta è il dimostrare che l’individuo è intenzionato a dismettere i panni di una certa egoistica passività nella quale s’era rinchiuso. Mirko Denza, Volterra – denza82@yahoo.it

Non è il caso di addentrarsi nello studiatissimo fenomeno della psicologia collettiva, o di massa, sul quale molto si è scritto a partire dal saggio di Gustave Le Bon (Psicologia delle folle – 1895) secondo il quale la psiche razionale dell’individuo nella folla si annullerebbe per lasciar prevalere istinti immediati, spinte incontrollate prive di una loro moralità potendo essere indifferentemente eroiche o crudeli, comunque irrazionali. Accenno solo alla lettura marxista del fenomeno che apprezza nella massa la forza di mobilitazione vista come positiva quando la massa, la folla, si muova sospinta da "coscienza di classe". Il saggio di Michela Nacci, richiamato dal signor Denza, offre un quadro illuminante della visione ottocentesca della folla: «Non ragiona, non discute, non ascolta le opinioni diverse dalla sua, manifesta gli istinti da cui è mossa, si fa trasportare dagli affetti e dalle passioni che non prova neppure a controllare, ama o odia senza vie di mezzo, nutre una sorta di venerazione nei confronti del leader, cerca il capro espiatorio, forma un insieme compatto che ha bisogno di confermare continuamente la propria compattezza, emargina ed espelle chi dissente, definisce un nemico esterno e basa sulla lotta a quel nemico la sua unità», eccetera. Dopo aver analizzato la debolezza della psicologia collettiva, Michela Nacci però conclude: «Eppure, la folla c’è ancora. La folla che si forma quando si verifica un evento che crea il panico. La folla sul web». Il richiamo è all’episodio di panico collettivo in piazza San Carlo a Torino nel 2017. In questo quadro complesso, dove collocare le sardine? Per il momento non lo sappiamo. Questo movimento simpatico, forse promettente, finora non ha parlato, s’è limitato a cantare.
Quando aprirà bocca – probabilmente a Roma il 14 prossimo – capiremo meglio composizione e propositi. Sarà un momento delicatissimo perché il canto accende, commuove, unisce. Il pensiero articolato può unire ma anche dividere, può indicare una meta o limitarsi alla recriminazione come accadde ai 5Stelle. Quando il canto cede il posto alla parola, arriva il momento della verità.
c.augias@repubblica.it

Le sardine debuttano stasera sotto la Mole...
Repubblica Torino, 10 dicembre
Dopo, Bologna, Modena, e Genova stasera è il turno di Torino: l'appuntamento è alla 19 quando le Sardine promettono di invadere piazza Castello con il loro flash mob. E dovrebbero essere tante: tra le 20mila e le 30 mila persone se si leggono i numeri degli aderenti alla pagina Facebook appositamente creata che hanno superato quota 70 mila. "Torino si Slega" è lo slogan della manifestazione
Gli organizzatori hanno anche varato un  vademecum per chi parteciperà la dimostrazione. Il primo invito è quello di "Portare un libro (porteremo la cultura lasciando a casa l'insulto), no a piazze piene di immondizia, niente bandiere (vi preghiamo e vi suggeriamo di non portare bandiere e nessun logo di partito), no insulti, no cartelloni offensivi, no violenza". L'appello sulla pagina Facebook continua: Saremo tantissimi, senza bandiere o simboli di partito, armati soltanto di sardine di tutti i colori e della nostra voglia di urlare "basta", basta all'odio, alla politica del terrore voluta dalla Lega e dal suo Capitano. Basta con l'uso indiscriminato dei media e dei social per diffondere falsità, per metterci gli uni contro gli altri, cercando di controllarci col terrore. Siamo persone libere, siamo persone educate e civili, ripudiamo qualunque tipo di violenza e fascismo e non permetteremo più che il clima voluto dalla destra sovranista inquini la nostra vita. Siamo contro il razzismo, la xenofobia, il bullismo, l'omofobia, la transfobia, il sessismo. Siamo contro chi costruisce il consenso sulla divisione, la paura e la manipolazione. Siamo per l'ecologia della mente e dell'ambiente, perché vogliamo vivere bene in un posto che sta bene. Siamo un mare che non si può più fermare, una forza che costringerà il mondo della politica ad assumersi le proprie responsabilità, a ricominciare a lavorare per il benessere delle persone, soprattutto dei più deboli, nel rispetto dell'individuo e della Costituzione. Sardine torinesi, dimostriamo ancora una volta come questa città sia culla di civiltà e libertà, torniamo a impossessarci delle nostre strade, delle nostre piazze, spolveriamo quell'orgoglio che ci ha consentito di essere così centrali nella storia di questo Paese. Amiamo l'Italia e vogliamo con forza dimostrare che possiamo farcela, possiamo battere questo male oscuro che ci hanno imposto e che sta condizionando le nostre vite. Siamo giovani, anziani, donne, uomini, italiani, stranieri, siamo Sardine!"
"Torino si Slega", avrà fra i temi anche quello della violenza fisica e psicologica sulle donne. Per questo, stasera aprendo il flash mob partirà il canto di Bella Ciao, inizialmente con le labbra chiuse, senza aprire bocca, "come tutte quelle vittime di violenza che non ne hanno avuto la possibilità"

Mattia Santori: "No Casapound in piazza san Giovanni, noi siamo antifascisti, il resto è sciacallaggio"
il Manifesto, 10 dicembre

Dacia Maraini: Perché sto con le sardine
10 dicembre

Erri De Luca: “Finalmente si torna in piazza. Viva le sardine!”
Per lo scrittore con le innumerevoli manifestazioni di questi giorni si sta affermando il protagonismo di una nuova generazione che “si sta scrollando di dosso la catasta ammuffita delle gerarchie dei partiti”. E a chi accusa le sardine di avere un programma vago, replica: “Questa gioventù ha deciso di manifestarsi prima di tutto a se stessa. Usa la valorosa parola inclusione, la più efficiente risposta alla politica delle separazioni e delle esclusioni”. 
intervista a Erri De Luca di Giacomo Russo Spena
Micromega, 10 dicembre

“Il tonno come specie è destinata a ridursi, le sardine no”. Erri de Luca è un grande conoscitore del mare e, da scrittore, ama dilettarsi con le allegorie letterarie. L'immagine delle sardine gli è congeniale perché “si uniscono sulla superficie dell'acqua per dare le sembianze di un unico grande pesce e spaventare così il tonno”. I pesci, in effetti, stanno crescendo. Da Nord a Sud si riempiono le piazze. Il movimento chiama a sé persone non strettamente politicizzate, che però partecipano mossi da sentimenti di umanità e repulsione verso una propaganda cattiva e inquinatrice del vivere collettivo. Come già affermato su Il Fatto, Erri De Luca si sofferma sull'incredibile spontaneità e sul dato generazionale di questo movimento: “Giro per il mondo esiste una gioventù che si è messa di traverso e scende per le strade. Succede – con drammaticità diversa – da Teheran a Hong Kong al Cile. Si è diffusa una febbre civile” 
Qualcuno, a sinistra, guarda con sospetto al movimento delle sardine. Qual è invece il suo giudizio? E come replica agli scettici?
Lascia che aggrottino le ciglia e si grattino perplessi la pelata. A me riguarda che questa gioventù si stia scrollando di dosso la catasta ammuffita delle gerarchie dei partiti. La società cambia quando fermentano le piazze, ossigeno nascente delle parole nuove. L’immagine di una gioventù chiusa nell’isolamento delle relazioni in rete, è stata capovolta in poche settimane. La loro convocazione fisica stabilisce la dichiarazione della loro cittadinanza.
Ma le sardine esprimono ancora un programma vago: si limitano a schierarsi contro il salvinismo e a sottolineare genericamente i limiti del centrosinistra, eppure riempiono le piazze ovunque nel Paese. A cosa è dovuto il loro successo?
Il programma sembra vago a chi è affezionato al formato classico: punto uno, punto due... Questa gioventù ha deciso di manifestarsi prima di tutto a se stessa. Usa la valorosa parola inclusione, la più efficiente risposta alla politica delle separazioni e delle esclusioni. Includere è un programma vago? Può esserlo in un dibattito televisivo, non lo è in piazza.
Come vede la decisione delle sardine di non far intervenire nessun partito o organizzazione dal palco finale del 14 dicembre?
Dove esiste un movimento allo stato nascente non esistono partiti, ma persone. Non è antagonismo, è pura estraneità. Sarebbe come invitare sul palco un rettore universitario o un rappresentante dell’ordine dei farmacisti.
Tra le parole d'ordine delle sardine c'è la difesa della Costituzione, ma non sembrano reclamare una discontinuità sul tema immigrazione rispetto all'era di Salvini al Viminale: ad esempio, perché non pretendere l'abrogazione dei decreti sicurezza?
Perché non cadono nel gioco dei dettagli di leggi e normative. La loro parola inclusione basta e avanza per sapere cosa pensano e sentano dei porti chiusi e dei naufragi procurati.
In piazza a Roma sono previste migliaia di persone in piazza, il problema è capire cosa succederà il giorno dopo. Secondo lei come si struttureranno? Hanno la possibilità di diventare un partito?
Non lo desiderano. Il passaggio alla forma partito è la fase mortale di un movimento. Il partito irreggimenta. Credo che la loro forma decisionale resterà l’assemblea.
Secondo lei, le sardine non verranno sussunte dal Pd? Gli stessi quattro organizzatori del Pd non fanno mistero di sostenere Bonaccini in Emilia Romagna...
Non credo che si appiattiranno su una indicazione di voto né si pronunceranno sulla modesta contingenza di un voto regionale.
Ha dichiarato che “il tonno se ne deve andare”. Ma come si sconfigge politicamente Salvini? Veramente sono sufficienti le sardine?
Il tonno va confuso e messo in condizione di non nuocere, suscitandogli contro una massa critica portatrice di sentimenti e parole opposte, come, insisto, inclusione.


Santori: "Non c'è più spazio per la neutralità"
Rainews24, 11 dicembre

Sardine, il ritorno della partecipazione attiva
la Repubblica , 11 dicembre

Erri De Luca: "Le sardine sono movimento costituzionalista"
L'HuffPost, 12 dicembre

Lettera aperta alle Sardine
di Paolo Flores D’Arcais
Micromega, 12 dicembre

Cari Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori e Giulia Trappoloni (rigorosamente in ordine alfabetico), spero con tutto il cuore che la manifestazione di sabato a piazza San Giovanni a Roma risulti GIGANTESCA. Più gigantesca ancora di quella dei Girotondi del 14 settembre 2002, quando i cittadini di quella “Festa di protesta” nella stessa piazza erano davvero stipati come sardine e debordavano per duecento metri su via Merulana, per metà di via Carlo Felice che dalla piazza conduce a Santa Croce in Gerusalemme, e dietro le mura in tutta la zona della sottostante via Sannio.
Spero in un successo che vada oltre le più esuberanti speranze perché c’è bisogno che la società civile democratica, quella che vuole realizzare la Costituzione repubblicana, ritrovi la fiducia e l’entusiasmo della lotta e non si rassegni più a coltivare l’ideale della “Costituzione presa sul serio” solo in interiore homine, e nella rassegnazione di troppi anni all’egemonia vuoi di una destra becera ed eversiva, vuoi di un Pd impaniato nella sudditanza all’establishment, vuoi di un M5S che alle originarie ambiguità e contraddizioni ha aggiunto il carico suicida del tradimento delle promesse elettorali nell’accucciarsi a Salvini (governo Conte 1), non riscattato dagli ondeggiamenti e avvitamenti degli ultimi mesi.
Voi avete il merito di aver osato, con la semplicità di chi ricorda che un programma che unisca gli italiani e restituisca dignità alla politica c’è già, si chiama Costituzione, e bisogna farne la stella polare di ogni azione pubblica. Che solo i valori della Costituzione danno significato all’Italia come Patria, perché solo l’interiorizzazione di quei valori ci rende con-cittadini di una democrazia ancora vitale. Interiorizzazione che significa azione coerente per realizzare quei valori quotidianamente: Calamandrei, uno dei protagonisti dell’Assemblea Costituente, proprio in un discorso ai giovani agli inizi degli anni cinquanta ricordava come senza questa azione quotidiana la Costituzione diventasse lettera morta.
Infine spero che il successo della manifestazione di sabato sia ancora più gigantesco di quello dei Girotondi, perché voi avete deciso di riunirvi il giorno dopo per decidere come continuare. Come dare futuro organizzato all’esplosione di passione civile e fedeltà alla Costituzione repubblicana di queste settimane. COME non SE. Avete già deciso, insomma, di non ripetere l’errore di noi Girotondi, che non dotandoci di strutture organizzative, nell’illusione che i partiti avrebbero ascoltato il messaggio della piazza e si sarebbero rinnovati radicalmente e di conseguenza, siamo rimasti solo un falò, per quanto ciclopico ed entusiasmante, che non ha invertito la deriva partitocratica e le ulteriori degenerazioni di imbarbarimento.
Spero che un gigantesco successo vi offra la chance irripetibile di una gigantesca responsabilità: non lasciar dissipare le splendide energie di democrazia che avete evocato e catalizzato. Perché dirsi il “partito” della Costituzione è quanto di più esigente e radicale si possa affermare, e ritrovarsi con centinaia di migliaia di italiani che partecipando alle manifestazioni dichiarano di volerne fare parte vi obbliga moralmente ad elaborare insieme a loro l’articolazione di questa fedeltà alla Costituzione solennemente sbandierata. Una Costituzione che assumete come vostra identità proprio in quanto denunciate che resta a tutt’oggi disattesa, e spesso anzi lungo oltre settant’anni volutamente tradita dai governi.
C’è stato un momento, dopo il Sessantotto e sulla sua onda, che alcuni principi della Costituzione trovarono applicazione nelle leggi ordinarie. Una su tutte, lo Statuto dei lavoratori, che dava sostanza al primo articolo della Costituzione. O la legge che istituì il divorzio e poi il diritto della donna a decidere se interrompere la sua gravidanza.
Ma da almeno un quarto di secolo viviamo invece nella REAZIONE contro quelle conquiste, quelle prime parziali attuazioni dei valori costituzionali. Lo Statuto dei lavoratori è stato calpestato, cancellato, considerato un “male sociale” anziché una irrinunciabile conquista. Nella scuola e nell’università il linguaggio e troppi meccanismi sono ormai quelli dell’imprenditoria anziché della scuola egualitaria repubblicana delineata dalla Carta. E la Costituzione è stata addirittura sfigurata, inserendovi il diktat liberista del pareggio di bilancio. Perciò, per non far disperdere e dissipare le energie che avete suscitato dovrete saper tradurre e articolare la fedeltà alla Costituzione in movimenti e obiettivi di lotta. La Costituzione,  per essere una bussola, implica saper proporre le leggi per attuarla, nel campo del lavoro, in quello della giustizia eguale per tutti (dove identiche siano garanzie e severità per l’ultimo degli emarginati e il primo dei potenti, il che da decenni viene dell’establishment bollato come “giustizialismo”), in un rilancio del Welfare (quale eguaglianza vi sarà mai tra donne e uomini se gli asili nido gratuiti non sono una ovvia normalità?), in una informazione sottratta tanto alla lottizzazione quanto al potere del denaro, in un ritorno alla sanità pubblica ogni giorno invece impoverita, in una laicità mai realizzata, e via articolando.
Senza di che il richiamo alla Costituzione rischia di diventare rituale, quell’omaggio che non costa nulla e non impegna a nulla.
E non potrete neppure eludere il problema cruciale e spinosissimo del “con chi” realizzare questo programma di lotte e di obiettivi. Per fare in modo che tutti i cittadini scesi in piazza possano essere con voi protagonisti, e non solo “mobilitati” una tantum, del movimento che nasce.
Io spero che non avrete paura di affrontare tutte queste gravosissime responsabilità, perché senza affrontarle le meravigliose energie di queste settimane si spegnerebbero in nuova apatia. Del resto in questo compito enorme non sarete soli, tutti i manifestanti di sabato saranno con voi, pronti a condividerle. Avanti, Sardine!


Tra la scatola e il mare aperto
di Barbara Spinelli
Il fatto, 14 dicembre
Le sardine non sono contro l’establishment, né italiano né tantomeno europeo. Sono gentili, non urlano, e riempiono le piazze con quella che esse stesse chiamano “energia pura”. Ingenerano un entusiasmo generale e trasversale perché secondo alcuni potrebbero scompigliare le ambizioni della Lega di Salvini nelle prossime elezioni regionali e soprattutto in Emilia Romagna dove il nuovo movimento è nato. Pur essendo gentili hanno un avversario – i populisti – cui si rivolgono nel loro Manifesto del 21 novembre con sorda durezza.

Fingono di ignorare che tutto l’establishment, in Italia e anche ai vertici dell’Unione europea, ha scelto come avversari i populisti, non importa se di destra o sinistra (negli anni ’60 e ’70 si chiamavano “opposti estremismi”). Se un partito anti-sistema o anche molto critico del sistema vince alle elezioni è subito definito populista e scomunicato.

I maggiori applausi alle sardine, finora, vengono da un establishment centrista che sempre meno sa e vuole gestire la natura aleatoria del suffragio universale. Che dall’inizio della crisi nel 2007-2008 usa l’accusa di populismo per non mettere in questione le politiche che lo hanno scatenato.

Le sardine non conoscono le bassezze della disperazione, della rivolta contro disuguaglianze sociali e povertà. Si sentono di sinistra perché si preoccupano del clima, ma i precursori in questo campo sono Grillo e 5Stelle. Di sé dicono, con un linguaggio che ricorda quello degli scout: “Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto”. Dunque non conoscono difficoltà nella vita.

Nelle crisi dell’ultimo decennio si ritagliano una loro zona di conforto. Non hanno niente di particolare da dire sulle questioni che oggi contano: le miserie del lavoro precario o del non lavoro; il disastro dell’Ilva o di Alitalia; la manomissione del territorio attraverso grandi opere inutili che tolgono risorse alla sua manutenzione; le politiche di austerità che l’Unione Europea continua a difendere a denti stretti, nonostante il prezzo pagato da ceti medi e classi popolari (la questione del Fondo salva Stati non è tecnica ma concreta e politica: nella prossima crisi finanziaria si ripeterà l’umiliante catastrofe greca?).

Non criticano neanche il rinnovo dell’accordo con Tripoli, che dai tempi di Gentiloni e Minniti rispedisce nei Lager libici i migranti in fuga. Questo non vuol dire che le sinistre radicali dispongano di ricette migliori: la capacità di mobilitazione di queste ultime è poca cosa rispetto a quella delle sardine. Ma non vuol dire nemmeno che il movimento appena nato, così come viene presentato non da tutti ma da molti suoi esponenti, abbia in mano una ricetta veramente comprensibile.

Nel raccontare se stesse le sardine mescolano condizioni umane e concetti banali, trasformandoli non si sa perché in virtù superiori (la normalità, la famiglia, lo sport, il divertente, il bello, etc. Manca solo l’Anima). Meno banale è il rifiuto della violenza e tutt’altro che banale l’appello all’ascolto. Su quest’ultimo c’è tuttavia da dubitare: pochi paragrafi dopo, nel Manifesto, proclamano che il diritto all’ascolto spetta a tutti ma non ai populisti di Salvini (circa il 30 per cento degli italiani): “Grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare”. Non ho mai sentito un antifascista (immagino che l’allusione a padri e nonni si riferisca all’antifascismo) dire che esistono categorie di avversari o perfino nemici politici privati di tale diritto.

Proclami simili sono non solo insensati ma forse anche nefasti. Lo vedremo alle prossime scadenze elettorali, locali o nazionali che siano. Può darsi che il movimento segnali il salutare risveglio di chi si è allontanato dalla politica e riscopre l’importanza del voto. Può darsi che riempia un vuoto creatosi a sinistra, anche se non è chiaro con cosa verrà riempito. Ma può anche darsi che il loro Manifesto esasperi la rabbia, la frustrazione, l’umiliazione di chi si è rifugiato nella Lega pur di essere per una volta ascoltato. Una buona parte dei voti per il Brexit nel 2016, o per Trump, o per il partito di Kaczynski in Polonia, ha origine in questa rabbia dei non più ascoltati, dei cancellati.

La malattia dell’Italia non è oggi Salvini, come ha scritto giustamente su questo giornale Tomaso Montanari. Salvini e la sua fraseologia xenofoba sono i sintomi di un male che si chiama ingiustizia sociale, disuguaglianza, furore dei declassati: il leader della Lega cavalca questi mali offrendo gli immigrati come capri espiatori e finte battaglie contro il Meccanismo europeo di stabilità, contestato solo dopo che la Lega, per mesi imbambolata e disattenta, è uscita dal governo.

Sono rare e poco udibili le sardine che parlano delle radici dei mali italiani, che si interrogano sulle città già passate a destra in Emilia Romagna. Chi soffre questi mali, fidandosi di Salvini senza ancora vederne l’impostura, non ha comunque diritto all’ascolto. Come riconquistare la loro fiducia, se neanche li ascolti. Questo significa che l’impostura può continuare.

Dicono: “Benvenuti in mare aperto”. Speriamo che sarà aperto sul serio. Che dal vuoto di programmi, idee, parole nascano gli anticorpi che tanti invocano. Fino a ora, il nuovo movimento dà il benvenuto, ma non ancora in mare aperto. Cosa vede nei fondali marini, oltre il disegno ittico della propria pura energia? In genere, le sardine stanno amichevolmente strette quando sono inscatolate. Per il momento è la scatola che li protegge più che le profondità del mare.


Un oceano, altro che un mare. E ora, sardine, coraggio!
di Paolo Flores D'Arcais
Micromega, 15 dicembre

Entusiasmante, impressionante, appassionante, commovente. Allegra, entusiasta, raggiante, gioiosa. Gigantesca oltre ogni irragionevole aspettativa. Questa è stata la piazza san Giovanni delle sardine a Roma, Anno domini 2019, addì sabato 14 dicembre, festa di san Giovanni della Croce e san Pompeo.
Una data che potrebbe segnare uno spartiacque nella storia politica della repubblica.

I numeri, innanzitutto, incredibilmente sottostimati.
Il Corriere della Sera, in un servizio on line di Luca Zanini del 21 marzo 2010, a seguito delle polemiche fra Berlusconi (che pretendeva di aver portato in piazza un milione di persone) e la questura (che ne accreditava 150 mila, in una pazza san Giovanni piena per quasi due terzi ma senza folla “pressata”) studiò la capienza delle piazze romane sedi di manifestazione. 140 mila metri quadri il Circo Massimo, 42,700 san Giovanni, 17.100 piazza del Popolo, 12,970 piazza Navona, 4.250 piazza Ss.Apostoli.

Per san Giovanni prendiamo la cifra tonda di 40 mila metri quadrati (la piazza è molto asimmetrica e a seconda di come se ne considerino i confini altri calcoli danno cifre un poco inferiori). L’articolo del Corriere già citato ricordava che per metro quadro si valutano normalmente tra 2,5 e 4 persone, con punte di 6 quando la folla è molto pigiata. In una ricognizione con Nanni Moretti, Olivia Sleiter e mia moglie Anna alla vigilia della manifestazione dei girotondi avevamo identificato proprio queste misure.

Ieri sono arrivato a piazza san Giovanni alle 13,45. C’erano solo alcuni capannelli di persone, e un piccolo affollarsi di giornalisti e telecamere attorno al pianale del Tir che avrebbe fatto da palco. Alle tre meno un quarto la piazza si presentava a chiazze di presenze, piena per meno della metà. Tra le tre meno e un quarto e le tre e un quarto si è riempita, compressa, ha debordato, con una rapidità impressionante, davvero a vista d’occhio.

Ero vicino, ma non vicinissimo, al palco durante l’intervento della presidente dell’Anpi e del medico di Lampedusa. In vita mia non ho mai sofferto di claustrofobia e ho partecipato a decine e decine di manifestazioni con folle molto “affollate”. Ieri, tuttavia, a un certo momento la compattezza e la compressione era tale che ho avvertito un crescente disagio fisico. Ho iniziato a spostarmi contando che più lontano dal palco l’affollamento si diradasse un poco, in realtà accadeva solo in una piccola porzione del viale che corre dalla scalinata della basilica verso la statua di san Francesco, dividendo il grande prato.

Poco dopo le 16,30, raggiunta mia nipote e i suoi due bambini (10 anni il ragazzino, 8 la bambina, affettuosamente Peste1 e Peste2) con grandissima lentezza siamo riusciti ad abbandonare la piazza, seguendo un flusso in uscita cui faceva pendant un identico flusso in entrata. Mio fratello, arrivato più tardi e andato via verso le 17,30 mi ha raccontato che la situazione era identica: folla compatta, flusso in uscita e flusso in entrata. Dalle cronache leggo che la manifestazione si è sciolta verso le 19.

A questo punto il calcolo non è difficile. Direi che nel momento di massimo “affollamento” ci fossero (almeno) cinque persone per metro quadro. A piazza piena 200 mila. Ma la piazza debordava per decine di metri su via Carlo Felice in direzione Santa Croce in Gerusalemme. L’ho constatato di persone facendomi issare da due gentili manifestanti su una panchina per una panoramica di foto. Non sono in grado di dire se analogo fenomeno vi fosse anche verso via Merulana. E per almeno due ore vi è stato un continuo ricambio di presenze, un vero e proprio flusso di folla che usciva e altra folla che entrava.
Credo perciò che ipotizzare 350400 mila presenze sia più che ragionevole, perfino prudenziale.

È la prima volta da quando partecipo a manifestazioni (quasi sessant’anni) che i promotori annunciano un numero di partecipanti largamente inferiore alla realtà. Mattia Santori ha gridato “siamo più di centomila”, ma ieri su quella piazza il numero dei cittadini che ha manifestato è stato gargantuescamente più grande. Nei decenni scorsi, dalla Cgil a Veltroni a Berlusconi ai concerti del 1 maggio si sono “sparate” cifre di uno o due milioni, palesemente wishful thinking. Che le sardine siano andate in assoluta controcorrente, sottostimando numericamente in modo incredibile il loro stesso exploit, rende la loro modestia ancora più simpatica e promettente (la cifra di 35 mila fornita dalla questura è invece un insulto all’intelligenza di chi l’ha formulata): non si sono montati la testa, sono più che credibili.

L’enorme partecipazione di ieri ha avuto un’altra caratteristica: c’erano molti giovani, ma c’erano anche, forse perfino di più, molti “non giovani”, potremmo dire molte “sardine d’argento”, oltre i cinquanta, i sessanta, i settanta, anche gli ottanta. Un intero mondo di potenziali militanti dell’introvabile partito “la Costituzione presa sul serio”, che non era scomparso, viveva solo la fase di immersione dei fiumi carsici, ma non vedeva l’ora che un catalizzatore, una scarica di speranza, quattro amici di Bologna con un gesto di serietà e di allegria, lo facesse riemergere da un percorso troppo lungo di rassegnazione, frustrazione, dolorosa apatia. Qualcuno, in quella stessa piazza, aveva ascoltato perfino Di Vittorio, e poi il sessantotto, e poi i Girotondi, e poi …

Ieri dal nonpalco udibile solo in una porzione assai limitata della piazza, i promotori hanno chiamato tutti i partecipanti ad essere “i partigiani del 2020”. Quella piazza, che per nove decimi non poteva udire chi parlava dal pianale del Tir, aveva già risposto in anticipi e ha continuato a farlo per tutte le trequattro tre della manifestazione, intonando senza tregua “Bella ciao” e altri canti della Resistenza.

Nel “decalogo con cui hanno chiamato a manifestare”, le sardine avevano scritto al punto 5 “Protagonista è la piazza, non gli organizzatori. Crediamo nella partecipazione”. Ora sono riuniti in 150, animatori delle manifestazioni di quasi cento città, allo “Spin Time Labs”, una grande palazzina occupata e autogestita, salita alle cronache perché fu l’elemosiniere del Papa a violare i sigilli dell’energia elettrica e riattivarla. Vedremo quali proposte faranno perché ogni cittadino che era in quella piazza possa da domani attivarsi per prendere iniziative che non lascino andare dispersa una sola oncia delle energie di passione civile risvegliate.

La fase dell’organizzazione è sempre la più difficile, fase anche di contrasti, inevitabili, dopo il momento magico del magma fusionale, del big bang. Ma fin qui le sardine hanno praticato uno stile, e sbandierato e radicato valori non equivocabili. Forse questa volta il mondo di una “Resistenza 2020”, il cui programma politico è la realizzazione della Costituzioni, riuscirà davvero a non disperdersi, a diventare, in forme inedite, il protagonista della prossima storia politica italiana. Dipende anche da ciascuno di noi.

***

Le sardine hanno concluso la loro riunione ed emesso un comunicato che Lucia Annunziata mi chiede di commentare, come si dice, “a caldo”. Ci provo.

Le sardine annunciano già tre nuove iniziative, nel Lazio, in Sicilia e in Liguria, con modalità originali. Un treno di sardine dalla Liguria fino alla Francia, “Tutti sullo stesso treno”, il cui carattere di rifiuto delle frontiere come strumento di violento respingimento dei migranti è esplicito (visti i troppi episodi “muscolari” e peggio della polizia francese perfino in territorio italiano). “Sardina amplifica sardina”, come manifestazione itinerante nel Lazio, perché in questa regione la presenza ingombrante della capitale spesso mette la sordina ai bisogni, ai problemi, alle necessità degli altri territori, ed è invece verso le località meno mediaticamente seguite che le sardine vogliono concentrare il loro impegno. Perciò, in Sicilia, “Staffetta delle sardine”, dove la volontà di “raggiungere anche le zone con situazioni critiche e complesse” esprime la consapevolezza del carattere pervasivo della mafia e della corruzione, che si radica nel silenzio di territori raramente sotto i riflettori, quando la mafia può dominare senza spargimento di sangue (proprio quando è più forte, per connivenze e paure). In realtà le iniziative annunciate sono quattro, visto che si parla, ancora senza titolo e modalità, di un impegno immediato che coinvolga la “bassa”, e le zone collinari e montane dell’Emilia Romagna.

Le sardine sanno però perfettamente che non potranno evitare a lungo lo scoglio cruciale: “dare anche un’identità politica a questo fenomeno”, cioè alla “straordinaria energia” scatenata in un solo mese di esistenza. Chiedono pazienza, perché vogliono arrivarci “attraverso un percorso condiviso” che per essere tale non potrà essere brevissimo, dovrà essere di progressiva “maturazione”. È una pazienza che chiedono “al mondo dei media”, ma che credo dovrebbero chiedere innanzitutto alle centinaia di migliaia di cittadini che erano in piazza san Giovanni, visto che nel loro decalogo avevano scritto “Protagonista è la piazza, non gli organizzatori”, e che quella piazza è straripata perché dai sedicenni agli ultraottantenni si è ritrovata nella bandiera della Costituzione presa sul serio, Costituzione da realizzare, perché fin qui dai partiti che si sono succeduti al governo (anche di “sinistra”) realizzata non è stata.

La pazienza va benissimo. In un bellissimo film di Alain Resnais del 1966, “La guerra è finita”, il protagonista, uno straordinario Yves Montand che interpreta il dirigente del partito comunista spagnolo in clandestinità contro il regime fascista di Franco, ad un certo punto dice ad una giovane compagna impaziente: “La pazienza e l’ironia sono le doti del rivoluzionario”. Sul web circola anche in qualche sito che la frase sia una citazione di Lenin: mi sorprenderebbe, l’ironia non era virtù di cui Lenin abbondasse.

Dunque benissimo la pazienza, visto che si devono coinvolgere possibilmente tutti i partecipanti delle piazze nella “maturazione di una identità politica”, ma questa volontà apre due questioni immediate e ineludibili.

Primo: attraverso quali canali, quali forme, quali incontri, quali dibattiti, tra persone reali e non sul web, quelle centinaia di migliaia di sardine di ogni età potranno diventare protagonisti, dire la loro? Altrimenti il principio che “protagonista è la piazza, non gli organizzatori” rischia di virare a retorica.

E, secondo, i tempi della politica non sempre si possono scegliere. Il comunicato delle sardine, benché molto breve, sottolinea più volte l’importanza delle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria. Due situazioni in bilico, nelle quali una scelta o un’omissione potrebbero significare la sconfitta o la vittoria di quelle forze dell’odio e dell’esclusione contro cui le sardine sono nate.

Una lista civica promossa dalle sardine potrebbe cioè fare la differenza. E se per una manciata di voti dovessero prevalere proprio quelle forze che mai canteranno “Bella ciao” e che detestano la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista (altro che realizzarla), la necessità della pazienza potrebbe davvero lenire anche un poco il rimorso di non aver trovato il coraggio di correre il rischio, certamente grandissimo, di un impegno elettorale?

Perché il rischio è grandissimo, le polemiche sarebbero valanghe, qualche conflitto interno non mancherebbe, e si tratterebbe infine di dar vita a liste civiche in cui le sardine individuino sul territorio le competenze migliori tra quanti condividono i loro principi e valori essenziali, evitando di diventare professionisti della politica. Ma i risultati in queste due regioni saranno decisivi anche e proprio per il futuro del movimento che è appena nato. La regione rossa per antonomasia in mano alla Lega, e la Calabria che non riesce a liberarsi radicalmente dalla politica collusa alla ‘ndrangheta, trasformerebbero il mare in cui le sardine si muovono e si riproducono, che a san Giovanni è stato piuttosto un Oceano, in uno stagno sempre meno ossigenato.
Ci sono momenti in cui la pazienza e l’ironia non bastano, e il kairós impone di agire. Sardine, coraggio!


Ma la sardina col velo no, "per la contraddizione che non consente"
di Paolo Flores D'Arcais
Micromega, 16 dicembre

Il velo islamico è un simbolo di oppressione. Al quadrato, anzi. Oppressione della religione sulla legge civile, a cui pretende di imporsi, violando quella precondizione della democrazia che è il principio di laicità dello Stato. E di oppressione dell’uomo sulla donna, quando la religione islamica pretende di prendere più o meno alla lettera il Corano e la Sura IV, “delle donne”, appunto. In realtà neppure il Corano obbliga esplicitamente le donne a coprirsi i capelli (o l’intero volto, o l’intero corpo, a seconda delle varie forme più o meno oltranziste di “velo”), a conferma che il velo è in realtà un simbolo dell’Islam politico, della religione che vuole imporre la sua legge a tutti, tanto è vero che viene introdotto o mantenuto come obbligatorio dalle teocrazie islamiche, e incentivato da quei regimi che elementi di oppressione religiosa intendono reintrodurre (Erdogan in Turchia, ad esempio).

Ho detto “più o meno alla lettera”, perché a prendere alla lettera la Sura IV del Corano si deve allibire (democraticamente parlando): “Gli uomini hanno autorità sulle donne per la superiorità che Dio ha concesso agli uni sulle altre … Quelle di cui temete l’indocilità, ammonitele, lasciatele dormir sole, battetele. Ma se vi obbediscono, lasciatele in pace” (IV, 34).

Questo duplice simbolo di oppressione è stato perciò giustamente messo al bando dalla Repubblica francese nelle scuole, perché in esse si devono formare i cittadini secondo i valori di “liberté, égalité, fraternité” che quella duplice oppressione escludono.

Sul “palco” delle sardine a san Giovanni a Roma ha preso la parola anche una donna con il velo islamico. Una sardina orgogliosa di esibire il velo. Poiché il palco era in realtà un pianale di Tir a un metro da terra pochissimi se ne sono accorti, ma poi foto e filmato hanno cominciato a circolare sul web.

Le sardine hanno ripetuto prima di ogni manifestazione che la loro bussola, la loro bandiera, la loro stella polare, era non solo la Costituzione italiana, ma il dovere di realizzarla perché in realtà largamente disattesa dai governi che per oltre settant’anni si sono succeduti nel nostro paese.

E tra i valori della Costituzione (largamente disattesi, e che le sardine vogliono invece rendere REALI) ci sono l’eguaglianza delle donne con gli uomini e la laicità delle istituzioni.

È infatti verissimo che questi (e anche altri) principi, pure solennemente ricamati nella Carta, sono rimasti largamente lettera morta. Il vulnus al principio di laicità è stato perfino inserito nell’articolo 7 della Costituzione, frutto di uno scellerato accordo cattocomunista, malgrado l’opposizione di tutte le forze laiche. E l’eguaglianza per le donne è ancora un obiettivo da raggiungere (basti pensare ai salari inferiori), e fino a pochi decenni fa addirittura calpestato vergognosamente nella legge sul “delitto d’onore”, abrogata solo il 10 agosto del 1981 (sull’onda lunga del Sessantotto e dei referendum su divorzio e aborto).

Perciò, le sardine non possono enunciare come programma l’attuazione della Costituzione, e poi affidare questo messaggio a una donna che indossi il velo islamico. “Per la contraddizion che nol consente” direbbe padre Dante (Inferno, XXVII, 120).

Ci sono donne islamiche che in molti paesi occidentali sostengono di indossare il velo per loro libera scelta, pretendendo perciò che non sia un simbolo di oppressione (al quadrato, abbiamo visto). Sono certo che per molte il vissuto personale è questo, ma il ruolo pubblico dei simboli ha una sua storia e non sempre coincide col vissuto personale.

Conosco dei cristiani, e perfino non pochi cattolici, che del loro Dio crocifisso fanno un simbolo di accoglienza, di tolleranza, di solidarietà, di difesa dei più deboli, poveri, emarginati. Fino alla santità, talvolta (quella vera, non quella degli Altari, con i suoi Escrivà de Balaguer e altri “santi”). Ma il crocifisso nelle aule scolastiche è il simbolo della pretesa di una religione di essere “più eguale” delle altre e “più eguale” di ogni convinzione scettica, agnostica, atea. È insomma un simbolo di oppressione. Di prevaricazione del cattolicesimo gerarchico sulla laicità dello Stato (chi chiede di realizzare la Costituzione deve chiedere che venga tolto dalle aule, esattamente come esigere che i corsi di religione cattolica vengano sostituiti dalla storia delle religioni e delle critiche delle religioni).

Per il velo islamico vale la stessa cosa. Resta un simbolo di oppressione, sulle donne e sulla laicità. Quale che sia il vissuto di libertà di qualcuna che liberamente lo indossa. E finisce per essere simbolo di oppressione innanzitutto nei confronti delle donne islamiche. In Francia sono proprio donne e uomini nati nella religione islamica che denunciano la persecuzione, silenziosa o apertamente minacciosa, che devono subire perché non si uniformano al credo e al clima dominante nei ghetti in cui vivono, e denunciano il velo come sessista e oscurantista.

Chiedere di realizzare la Costituzione è impegnativo. Perché a parole, a chiacchiere, a retorica negli anniversari, tutti i governi le rendono omaggio. La differenza consiste nella coerenza tra il dire e il fare. Le sardine nascono dalla denuncia di questo scarto: la Costituzione c’è, voi politici dite di farla vostra, in realtà non la realizzate e perfino la oltraggiate.

Ecco perché le sardine hanno il dovere di un comportamento rigorosamente coerente con i valori costituzionali, altrimenti ne va della loro intera credibilità. E il velo islamico con la Costituzione repubblicana è in contraddizione insanabile, quella che Immanuel Kant chiamava “Realrepugnanz”.


Sardine, la dieta moderata
di Gad Lerner
la Repubblica, 16 dicembre

È di una semplicità esemplare quel che i giovani autodefinitisi sardine chiedono alla politica italiana, tutta quanta: chi è stato eletto svolga il suo mandato nelle sedi istituzionali; i ministri comunichino il loro operato attraverso gli uffici preposti; che siano resi pubblici i costi delle macchine propagandistiche sui social network; che la violenza verbale sia equiparata alla violenza fisica; e che vengano abrogati i decreti sicurezza del precedente governo. Poi ce n’è anche per noi giornalisti, richiamati a un’informazione fedele ai fatti.
Richieste precise e facili da attuare in breve tempo. Una lezione di chiarezza e di moderazione, condita in piazza San Giovanni da slogan fantasiosi: "La nostra lisca è la Costituzione"; "Meglio sott’olio che sott’odio".
A chi li ha criticati sostenendo che il loro movimento è privo di contenuti, ieri i centocinquanta portavoce delle sardine riuniti in un palazzo occupato e trasformato in centro di accoglienza hanno replicato con la proposta di un metodo. Sì, un metodo e un linguaggio nuovi, che vengono ancora prima dei contenuti. E che davvero possono aiutare a guarire la politica.
Nel nostro lessico antiquato, ci eravamo abituati a collocare i moderati solo al centro della geografia politica, nei cosiddetti partiti borghesi. Dopo avere scoperto, viceversa, in passato, che ci sono anche gli estremisti di centro, le sardine sono venute ad esprimere un bisogno di moderazione e un senso di responsabilità che rappresentano uno stato d’animo di disagio diffuso trasversalmente fra i cittadini italiani: non ci riconosciamo nel ritratto deformato, di paese incarognito e bellicoso, trasmesso ogni giorno dai professionisti dei talk show e dei social network. Diciamo meno parolacce di quei leader e di quegli opinionisti, diffidiamo dell’aggressività spacciata per voce del popolo.
Nel comunicato emesso al termine del loro primo incontro nazionale, le sardine adoperano parole inusuali come "ascolto, empatia, non violenza, accettazione delle diversità". Come "alternativa alla bestia del sovranismo e alle facili promesse del pensiero semplice", dichiarano addirittura che continueranno, testuale, a "difendere la complessità". Empatia, complessità: sembrano concetti adatti a un vocabolario filosofico o psicanalitico, piuttosto che politico. Ma in ciò risiede la loro efficacia. Non ci sono soluzioni facili a problemi complessi, con gli slogan si va a sbattere contro la realtà. E rischiano di chiudere le fabbriche così come le banche, mentre già crollano i pon ti.
Ai partiti che reggono precariamente il governo del paese converrà assumere come proprie le norme di comportamento suggerite dalle sardine, dopo un mese di manifestazioni che hanno riempito le piazze con questo nuovo, inaspettato attivismo civico. È la dieta delle sardine. Chi scrive aveva proposto molto ingenuamente al Pd di appoggiare in Parlamento la nascita di un governo che sbarrasse la strada ai "pieni poteri" di Salvini, senza però entrare a farne parte con suoi ministri. Era una suggestione senz’altro ingenua, motivata dalla inopportunità di fare ritorno nelle stanze dei bottoni senza prima esserselo meritato, cioè senza prima aver rigenerato il perduto legame con i ceti popolari. Serviva una dieta, insomma, una salutare astinenza dalle tentazioni del potere.
Ebbene, ora che banchi di sardine sguazzano felicemente nel vuoto della rappresentanza democratica, almeno la loro modestia serva di lezione: ci vorrà tempo, e una buona dose di umiltà, affinché in Italia riprenda ad agire un partito di massa della sinistra. Né sarà la cooptazione degli esponenti più in vista di questo movimento di base a tappare i buchi di un gruppo dirigente invecchiato e troppo maschile. Ma intanto giunge provvidenziale questa spinta dal basso, moderata nei suoi obiettivi, gelosa della sua autonomia, rispettosa del professionismo politico, decisa nel fronteggiare l’offensiva della destra. Una vera e propria iniezione di fiducia.
La loro piattaforma, come si è detto, è moderata. Ma i valori dell’antifascismo e della solidarietà sociale manifestati dalle sardine, a modo loro rappresentano anche una risposta alla sconfitta di Corbyn e della sinistra inglese. Lo ha sintetizzato in una formula inesorabile Yascha Mounk: "Right populism will alwais beat left populism" (il populismo di destra batterà sempre il populismo di sinistra). Senza bisogno di riesumare le controversie sul referendum costituzionale del dicembre 2016, ne converranno anche quei fautori della sinistra del "No" che per un momento si illusero di trovarsi alla testa di un grande movimento progressista, per poi verificare lo smottamento politico gialloverde di cui quel voto fu il primo segnale.
Il rigetto della retorica populista, cioè la santificazione di un popolo immaginario che ha sempre ragione anche nelle sue pulsioni reazionarie, è la cifra nuova — moderata, appunto — del movimento delle sardine. Ben consapevole di essersi generato nell’ambito sociologicamente ristretto dei cosiddetti ceti medi affluenti, con elevato grado di istruzione, e che proprio per questo ieri nel palazzo occupato di via Santa Croce in Gerusalemme si è dato come prossima scadenza il passaggio dalle piazze centrali alle periferie urbane e ai piccoli paesi.
La scelta di quel luogo difficile e controverso per riunirsi — là dove l’elemosiniere del Papa, il cardinale/elettricista Konrad Krajewski si era calato in cantina per riallacciare i fili dell’energia tagliata — testimonia un’intelligenza politica che anche il quotidiano dei vescovi, Avvenire , ha mostrato di apprezzare. La via della rigenerazione di una sinistra popolare sarà lunga e tortuosa, senza scorciatoie.

Ma la dieta moderata delle sardine, che antepongono un metodo e un linguaggio nuovo ai programmi elettorali, sembra averla imboccata.




Sardine, cosa non va nel programma
di Barbara Spinelli
Il fatto, 17 dicembre

Sabato a San Giovanni le Sardine hanno annunciato il loro programma, non economico né sociale, ma incentrato quasi interamente sulla comunicazione e sull’uso nonché controllo dei social network.

Essendomi occupata di questo tema nella scorsa legislatura europea, come relatore della risoluzione dell’aprile 2018 sul pluralismo e la libertà dei media nell’Unione europea, non posso fare a meno di esprimere disagio. Ricordo che le principali obiezioni a una piena libertà dei media e a un più scrupoloso rispetto del diritto internazionale sono venute – durante i negoziati che ho condotto con i vari gruppi del Parlamento prima che la relazione venisse adottata – dal Partito popolare, dai Conservatori e da buona parte dei Socialisti e dei Liberali. Le obiezioni non mi hanno permesso, tra l’altro, di mantenere nella sua integralità il paragrafo sul reato di diffamazione, di cui chiedevo la depenalizzazione.

Meglio dunque i silenzi e il vuoto di messaggio delle prime manifestazioni di piazza che la nuova Costituzione distopica “pretesa” dalle Sardine (ma da chi, fra le Sardine?) nei 6 punti indicati a San Giovanni. Eccoli elencati, in ordine di gravità.

Il numero 5 (“La violenza verbale venga equiparata a quella fisica”) non resisterebbe al giudizio di nessuna Corte: internazionale (Onu), europea o nazionale. Da anni – e soprattutto dall’inizio delle guerre contro il terrorismo – le Corti discutono e sentenziano su quale violenza sia condannabile, nei media offline e online: i verdetti invariabilmente e puntigliosamente separano la violenza verbale da quella fisica, pur fissando alcuni paletti molto ben definiti alla violenza verbale (in sostanza: la violenza che prelude inequivocabilmente a IMMINENTI violenze fisiche). L’equiparazione è un temibile novum giuridico, da evitare a tutti i costi e in tutte le sedi. Il reato di diffamazione, criticato da diverse Corti europee e internazionali che raccomandano di sostituirlo con l’imputazione di illecito amministrativo, viene rafforzato.

I numeri 3 e 4 promettono male, contaminati come sono, e forzatamente, dal numero 5 che introduce il novum giuridico sulla violenza. Il numero 3 pretende “trasparenza nell’uso che la politica fa dei social network”. Il numero 4 pretende che “il mondo dell’informazione traduca tutto questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti”. Si profila l’aspirazione a un vasto controllo/soppressione dei media e dei loro contenuti, soprattutto online. Tutto quello che viene ritenuto violento (da chi? Da quale istanza?) è passibile di azioni che limitano la libertà di diffondere e ricevere informazioni.

Il numero 6 pretende l’abrogazione dei decreti Sicurezza. È l’unico punto veramente sensato, ma se la pretesa sulla violenza contenuta nel numero 5 (applicata in vari ambiti: media online e offline, manifestazioni pubbliche etc.) viene inserita nei decreti riscritti, è meglio forse tenersi quelli di Salvini.

Il numero 2 (“Chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente nei canali istituzionali”) blinda le oligarchie e non le obbliga, come invece queste dovrebbero, a comunicare tous azimuts, anziché solo nei canali istituzionali. La comunicazione limitata le protegge da ogni sorta di attacco esterno, rinchiudendole in un recinto separato.

Il numero 1 recita: “Chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare”. È immaginabile che si faccia qui riferimento alle attività non istituzionali di Salvini ministro dell’Interno. Ma la pretesa viene generalizzata e ha un suono inquietante, soprattutto se legata al numero 2.


No, il dibattito no!
di Marco Travaglio
Il fatto, 18 dicembre

Com’era naturale e prevedibile, appena si sono riunite per parlare di programmi, le Sardine hanno cominciato a discutere. E, come chiunque discuta, a dividersi. Nulla di strano o scandaloso: un conto è organizzare bellissime manifestazioni di piazza per levare il monopolio a Salvini&C., un altro è mettere nero su bianco un manifesto politico o una dichiarazione d’intenti. La domanda è: ma che bisogno hanno le Sardine di un programma, visto che giustamente non vogliono diventare un partito né presentarsi alle elezioni? Dopo due mesi di vita, tutti già le stressano e le tampinano perché dicano “cosa vogliono fare”, come se quello che già fanno non fosse abbastanza. Noi non abbiamo titoli per dare consigli, per giunta non richiesti. Però al posto di Mattia Santori&C. non partiremmo dal “che fare”, ma dal “che non fare”. E terremmo sempre a mente due definizioni degli italiani. Quella di Rudyard Kipling: “Un italiano, un bel tipo; due italiani, una discussione; tre italiani, tre partiti politici”. E quella di Winston Churchill: “Bizzarro popolo, gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. L’indomani 45 milioni di antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…”. Anche le Sardine in piazza sono italiane.

Poi, volendo esagerare, mi riguarderei il celebre sketch di Corrado Guzzanti nei panni di Fausto Bertinotti che teorizza la sinistra dei virus: “Dobbiamo continuare a scinderci sempre di più e creare migliaia di microscopici partiti comunisti, indistinguibili l’uno dall’altro, che cambiano continuamente nome e forma e attaccano la destra come insetti invisibili. Compagni, sparite dal mondo del visibile, scindetevi e moltiplicatevi, diventate microorganismi politici neanche rilevabili dall’elettorato. La sinistra deve tornare a essere un mistero: sei tu che devi cercarla, ma lei sparisce continuamente. E poi un giorno, magari fra cent’anni, dopo vari colpi di Stato, una guerra nucleare e il mondo ridotto in macerie, la sinistra tornerà e dirà una cosa fondamentale. Mi ha cercato qualcuno?”. Non c’è miglior analisi degli eterni vizi che hanno dannato la sinistra nostrana: massimalismo, settarismo, velleitarismo, frazionismo, scissionismo e minoritarismo. Ecco: se vogliono durare e continuare a svolgere la loro funzione di anticorpi, le Sardine devono fare l’esatto opposto. E guardarsi da un’altra sindrome: quella di Brian di Nazareth, il personaggio dei Monty Python nato nei giorni di Gesù e, a 33 anni, scambiato per il Messia da una folla di fanatici e dementi solo perché ha detto alcune banalità assolute che quelli interpretano come messaggi divini.

Vedono miracoli dappertutto e si riducono ad adorare come reliquie una zucca vuota e un sandalo puzzolente. Brian prova a esortarli a ragionare con la loro testa, ma niente: più lo fa e più quella massa di superstiziosi e feticisti si convince che è proprio il figlio di Dio. Ecco: le cronache della riunione delle Sardine di domenica nel centro sociale occupato dai senzacasa segnalano tutti questi pericoli incombenti. Tant’è che Mattia Santori ha fatto benissimo a fare il leader e a ricordare chi ha fondato il movimento (lui e tre amici di Bologna); a mettere un po’ d’ordine fra le aspiranti o sedicenti Sardine ansiose di parlare per tutte in tv; e a difendere la scelta iniziale di enunciare pochi principi generali lasciando a chi fa politica l’onere di tradurli in pratica. Una scelta saggiamente “ecumenica” che ha consentito al movimento di portare in decine di piazze centinaia di migliaia di persone e di interessarne milioni, e che già il manifesto contro un non meglio precisato “populismo” e l’enunciazione dei 6 punti di San Giovanni – in parte molto discutibili, per le ragioni esposte sul Fatto da Barbara Spinelli – hanno parzialmente contraddetto. Bene ha fatto Santori, a costo di prendersi del “capetto” da qualche invidioso, a respingere al mittente i consigli tutt’altro che disinteressati delle mosche cocchiere, degli intellettuali organici, degli aspiranti ideologi e degli eterni imbucati a caccia di carri dei vincitori che vorrebbero trasformare un movimento giovane, fresco e creativo come le Sardine in un’associazione seriosa e barbosa di combattenti e reduci, nell’ennesima listarella de sinistra, nel solito gruppuscolo autoreferenziale e cacofonico di tromboni che mettono bocca su tutto senza sapere nulla e abbracciano tutte le cause perse dell’umanità. Qualcuno invocava una vibrante presa di posizione sul caso Regeni, come se chi scende in piazza con le Sardine ne sentisse il bisogno, e come se in Italia qualcuno plaudesse all’uccisione dello studente al Cairo. Altri patrocinavano la causa palestinese, anch’essa nobilissima ma lievemente fuori tema. Alcuni sognavano proclami sull’autonomia differenziata e l’ambiente (e perché non una soluzione facile facile per Ilva e Alitalia?). Altri ancora tuonavano contro i decreti Sicurezza, di cui probabilmente ignorano i contenuti, criticando Santori per aver detto che vanno modificati ma non cancellati perché contengono anche misure sensate. C’era pure chi strillava “riapriamo i porti”, avendolo letto su Repubblica o sul manifesto, che da mesi raccontano la balla dei “porti chiusi” a maggior gloria di Salvini. La risposta del leader non è stata ambigua o paracula, ma onesta e matura: “I temi politici specifici sono complessi, non si possono affrontare in una mattinata in modo adeguato”. Saggia prudenza, per un movimento in fasce strattonato da tutti perché prenda la laurea senz’aver fatto un giorno di asilo. Basta sapere che l’infanzia e l’adolescenza sono stagioni bellissime. Che il candore e l’ingenuità non sono vizi, ma virtù. E che nessuno può obbligare un bambino a invecchiare senza diventare adulto. Che vuoi fare da grande? Il piccolo, tiè.


Il fatto, 18 dicembre:
Commenti:
Daniela Ranieri
scrittrice, giornalista
Consapevole di incorrere nel reato di lesa sardinità, mi permetto di sollevare qualche dubbio sul movimento. Il nome è spiritoso, mediatico; sembra provenire più dal marketing che dall’afflato politico. Dicono di essere “contro il populismo”, come l’establishment mondiale, ma sono populiste nei toni e nei (non) contenuti. Il manifesto è scioccherello, un misto di manuale delle giovane marmotte e toni bulleschi che scimmiottano il “come osate” di Greta. Dicono di non essere né di destra né di sinistra, come i populisti 5Stelle: altro che politica con la “P” maiuscola. Dicono di ispirarsi alla Costituzione, poi stilano un programma che al punto 5 ingiunge: “La violenza verbale venga equiparata a quella fisica”, che forse è nella Legge fondamentale saudita (il loro “siete voi a dover aver paura” è violenza verbale? E chi stabilisce se ho scritto una cosa violenta, il ragazzo Mattia?). Nessun accenno ai poveri (5 milioni), alla Sanità pubblica, alla Scuola. Lodevole l’aver mostrato che non esiste solo il Papeete; ma spero non divengano mai un partito politico: ci mancano solo loro.

Gianfranco Pasquino
docente di Scienza Politica
Le Sardine sono un movimento che ha dimostrato grande capacità espansiva, perché altrimenti non si riempiono tante piazze in tutta Italia, mettendo insieme giovani e meno giovani. Ora però il passaggio è delicato, anche perché in Emilia, dove hanno fatto la loro prima manifestazione, ci sarà una elezione fondamentale. Se vogliono contrastare Salvini, dovranno trovare il modo di dare un’indicazione di voto che non sia adesione partitica, spiegandosi dunque molto bene. Il loro manifesto non mi è sembrato brillantissimo e Mattia Santori, che pare sia stato mio studente, dovrebbe sapere che i movimenti collettivi a un certo punto devono istituzionalizzarsi. Questo non significa per forza diventare un partito, ma darsi comunque una struttura, magari anche leggera. È indispensabile per poi tentare di incidere sulla politica, a condizione di essere capaci di scegliere i temi e i luoghi giusti. La riunione dell’altro giorno a Roma può essere un primo passo verso questa direzione.

Marco Revelli
sociologo politologo e storico
L e Sardine il loro miracolo lo hanno già fat- to. Non mi arrovellerei troppo sul futuro, perché ciò che conta è già successo: hanno co- stituito il catalizzatore di una realtà molto forte e quelle piazze sono state una rivoluzio- ne civile che nessuno si toglie più dalla testa, né chi c’è stato né chi le ha viste da fuori. La loro funzione etica, politica e sociale è già e- vidente, perché hanno materializzato un’al- tra Italia che non è assimilabile a quella delle volgarità verdi-brune. Non c’è bisogno di in- volucri, partiti, leader, anzi tutto ciò impove- rirebbe le Sardine. Ciò che conta è che qua- lunque forza politica nei prossimi mesi non potrà prescindere dal pensare a quelle mi- gliaia di persone in piazza e fare i conti con loro. Dunque anche in futuro credo che le Sar- dine possano essere assolutamente efficaci restando nelle piazze, “accendendosi” su spe- cifici temi, oppure quando c'è un bisogno dif- fuso che non riesce a esprimersi. In quel caso
ritrovarsi insieme ha una funzione salvifica.




Noi Sardine e la libertà di non fare un partito
di Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori, Giulia Trappoloni
Repubblica, 20 dicembre

Caro direttore, il 14 novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Roberto in ufficio, Giulia in ambulatorio, Mattia in palestra, Andrea in piazza a farsi carico delle questioni logistiche. «Ma non dovresti essere qui, dovresti essere in piazza a preparare per stasera » ci veniva detto da clienti, pazienti, mamme e colleghi. Dopo poche ore piazza Maggiore sarebbe stata strabordante di Sardine. In una misura che nessuno prevedeva, tantomeno noi. Nella notte, le foto di quella piazza avrebbero fatto il giro del mondo. La mattina seguente le Sardine erano già un fenomeno mediatico di portata internazionale, ma noi non lo sapevamo. Avevamo scatenato un maremoto a nostra insaputa. Imprevisto quanto insperato. Quei giornalisti che nei giorni precedenti ci avevano ignorato sarebbero diventati la nostra ombra. È buffo ripensare a quanto fossimo infastiditi da quell’unica telecamera presente a Bologna. «La piazza non ha bisogno di eroi», rivendicavamo con convinzione. Tre giorni dopo, a Modena, le telecamere sarebbero state una dozzina. Un mese dopo, a Roma, un centinaio.
Ma ripartiamo dall’inizio.
Il 15 novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Ma il telefono squilla e su Facebook spuntano i primi tre eventi spontanei: Modena, Firenze, Sorrento. Nel marasma generale troviamo un secondo per confrontarci e prendiamo una decisione che ci avrebbe sconvolto la vita. Decidiamo che l’Emilia-Romagna non è la sola terra in cerca di un modo per esprimere un sentire diffuso e diamo vita a un coordinamento nazionale, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di un fenomeno culturale e sociale di resistenza all’avanzata del populismo e dei suoi meccanismi di attecchimento. Ci è chiaro fin da subito che questo fenomeno deve rimanere in tutto e per tutto spontaneo, nutrirsi della ritrovata voglia di partecipare delle persone, e al contempo riproporre ogni volta, in chiave locale, le emozioni di piazza Maggiore. Trovavamo giusto che il messaggio di rivalsa e speranza lanciato a Bologna potesse rivivere in tutte le piazze d’Italia. Ed era bello che questo avvenisse tramite persone che fino a quel momento non si erano mai conosciute tra loro. La forza delle Sardine è collegare il virtuale al reale, e non c’era niente di meglio che favorire la nascita di un fenomeno sociale fatto di individui in carne e ossa, capaci di mostrare che le piazze, virtuali e reali, sono di tutti. La squadra bolognese si è allargata e questo ci ha permesso di rispondere alle centinaia di mail e messaggi che ricevevamo – e che tuttora riceviamo – ogni giorno. Lo schema per gli organizzatori era semplice: prendi contatto con i bolognesi, valuta i suggerimenti, procurati i documenti necessari, lancia l’evento su Facebook, lavora per riempire la piazza di persone e contenuti, stupisciti di quanto la tua città sia migliore di come te l’aspettavi. Una volta lanciato, l’evento viene inserito nel calendario ufficiale della pagina "6000sardine" e un referente per piazza aggiunto alla chat nazionale.
Il 14 dicembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia, solo con tante ore di sonno perse. Dopo piazza San Giovanni era tempo di fare due calcoli. In 30 giorni si erano riempite 92 piazze in tutta Italia, a cui si sono aggiunte 24 piazze estere, europee e statunitensi. Circa mezzo milione di persone sono uscite di casa, al freddo e sotto la pioggia, per dire che la loro idea di società non rispecchiava per nulla quella presentata dall’attuale destra italiana, quella stessa destra che non perde occasione per affermare di avere il popolo dalla sua parte. Hanno raggiunto piazze fidandosi di un invito giunto in maniera anonima. Talvolta non sono neanche riuscite a raggiungerle per via della massa che occupava gli ingressi, come a Firenze. Spesso, raggiunta la piazza, non sono riuscite ad ascoltare cosa veniva detto, letto o cantato, perché l’impianto audio non era adeguato. Eppure c’erano. Hanno voluto esserci. Corpi fisici in uno spazio. L’unico elemento non manipolabile in un mondo pervaso dalla comunicazione "mediata". C’è chi ha provato a dire che la foto di Bologna risaliva a un capodanno, chi ha affermato che a Roma c’erano solo 35.000 persone. Ma troppa gente poteva provare il contrario, troppi occhi, troppe orecchie, troppi cuori potevano riaffermare la verità. Ogni piazza è stata diversa: per età, genere e provenienza politica. Nonostante gli attacchi e le sirene del populismo abbiano iniziato a mitragliare, le persone si sono fidate, hanno continuato a fidarsi. E lo hanno dimostrato diventando Sardine e riempiendo le piazze. Dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia. Dai feudi rossi alle roccaforti leghiste… Contribuendo ad inondare i giornali, i social e il web di foto di piazze gremite.
Il 15 dicembre eravamo 150 persone come ce ne sono tante in Italia. Solo con tante ore di sonno perse e il portafoglio più vuoto del solito. Operai, studenti, insegnanti, professionisti, precari, disoccupati. Militanti, ex politici, disillusi, attivisti, volontari. Un muro di giornalisti fuori, molta semplicità dentro. Tante facce nuove. Forse troppe. Spazi spartani e molto freddo. Sensazione da primo giorno di scuola, gente troppo adulta per poterci essere abituata. Ma la classe è numerosa e ci accorgiamo subito che le cose che ci uniscono sono molte di più di quelle che ci dividono. Che in qualche modo siamo sempre stati fratelli e sorelle, solo non ci eravamo mai conosciuti. Ci organizziamo in tavoli di lavoro geografici e scopriamo che l’integrazione è più facile a dirsi che a praticarsi. Ma ci serve. Nessuno è portatore di verità assolute e il dialogo, che passa dall’ascolto, è l’unica sintesi di quelle differenze che, contaminandosi, rimarranno tali anche dopo essersi confrontati. Ci diamo una strada comune: tornare nelle piazze, nelle strade, nei territori. E, quando dopo un’ora, ci ritroviamo nell’auditorium per presentare le proposte, è un’emozione dietro l’altra. Ogni iniziativa scatena un applauso, suscita speranza, ci avvicina. La strada è lunga, lo sappiamo. La fretta è il nostro più grande nemico, sappiamo anche questo. Tutto sta nel trovare il ritmo giusto e soprattutto nel mantenere, proteggere e curare quel dialogo che ci ha permesso di vivere e condividere una mattinata che rimarrà nei nostri cuori per sempre. A prescindere da quello che sarà.
Il 20 dicembre siamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Il processo che abbiamo contribuito a creare sarà lungo ma intanto è iniziato. E per quanto possiamo essere qualcuno all’interno delle piazze, dei nostri collettivi e dei nostri circoli, non siamo nessuno all’interno di questo processo. Le sardine non esistono, non sono mai esistite. Sono state solo un pretesto. Potevano essere storioni, salmoni o stambecchi. La verità è che la pentola era pronta per scoppiare. Poteva farlo e lasciare tutti scottati. Per fortuna le sardine le hanno permesso semplicemente di fischiare. Non è stato grazie a noi, né tantomeno a chi ha organizzato le piazze dopo di noi. È stato grazie a un bisogno condiviso di tornare a sentirsi liberi. Liberi di esprimere pacificamente un pensiero e di farlo con il corpo, contro ogni tentativo di manipolazione imposto dai tunnel solipsistici dei social media. La condivisione dello stesso male ci ha resi alleati coesi, ha unito il fronte. Le proteste sono frequenti come stelle cadenti, le rivolte sono rare come le eclissi. L’Italia è nel mezzo di una rivolta popolare pacifica che non ha precedenti negli ultimi decenni. Chi cercherà di osteggiarla sentirà solo più acuto il fischio, chi tenterà di cavalcarla rimarrà deluso. La forma stessa di un partito sarebbe un oltraggio a ciò che è stato e che potrebbe essere. E non perché i partiti siano sbagliati, ma perché veniamo da una pentola e non è lì che vogliamo tornare. Chiedere che cornice dare a una rivolta è come mettere confini al mare. Puoi farlo, ma risulterai ridicolo. Noi ci chiediamo ogni giorno come fare, e ci sentiamo ridicoli, inadatti e impreparati... ma finalmente liberi.
L’unica certezza che abbiamo è che siamo stati sdraiati per troppo tempo. E che ora abbiamo bisogno di nuotare.


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