L'idea del METAVERSO (vedi in italiano: METAVERSO; vedi anche questo articolo breve ma efficace) nasce nella mente di uno scrittore di fantascienza: Neal Stephenson. La prima concretizzazione di questa idea avviene in un suo romanzo: SNOW CRASH, pubblicato nel 1992.
(Ma prima? Non c'era stato già qualche antecedente? Per saperne di più, oltre ai link già indicati, vedi anche questo e History and Evolution of the Metaverse Concept di Benjamin Talin!!
Su eXistenZ, uno dei film in cui il metaverso viene sviluppato narrativamente, ho scritto qualcosa in questo post)
Riporto di seguito i brani più significativi di questo romanzo riguardo alla descrizione del Metaverso e a riflessioni circa la sua natura. Certo, è strano voler scrivere la storia di qualcosa che propriamente – come qualcosa di unico, unificato – non esiste (ancora). È possibile però già accedere ad alcuni metaversi... ma quello di Meta è un work in progress...
[Cap. 2:]
Il deliverator sporge dal finestrino fracassato il braccio avvolto nell'uniforme nera. Un rettangolo bianco brilla nella luce fioca del giardino: è un biglietto da visita. Al successivo passaggio, il corriere glielo strappa dalle mani e lo legge. C'è scritto:
HIRO PROTAGONIST
Ultimo hacker freelance Supremo manipolatore di spade da samurai Agente della Central Intelligence Corporation Specializzato in informazioni riservate nel campo del software (musica, film e microcodici)
Sul retro segni impronunciabile che spiegano come contattarlo: un numero di telefono. Un codice di reperibilità universale via segreteria telefonica. Una casella postale. Indirizzo in una mezza dozzina di reti di comunicazione elettroniche. Un recapito nel Metaverso.
[Cap. 3:]
Hiro (...) indossa occhialoni a specchio che gli coprono metà della testa, dotati, all'estremità delle stanghette, di auricolari che vengono infilati nella cavità più estrema delle orecchie. (...)
Gli occhialoni gettano una leggera foschia davanti ai suoi occhi e riflettono una vista grandangolare e distorta di un viale illuminato da luci brillanti che si perde in un'oscurità infinita. Il viale non esiste veramente: è la veduta di un posto immaginario creata dal computer. (...)
La faccia superiore del computer è tutta liscia, eccetto la lente con obiettivo fisheye, una semisfera di vetro ben pulito coperta da un rivestimento ottico violaceo. Ogni volta che Hiro usa la macchina, la lente si solleva e si sistema al suo posto e la base si accende insieme alla superficie del computer, che riflette, capovolto e incurvato, il loglo del quartiere. (...)
Dentro il computer ci sono dei laser, uno rosso, uno verde e uno blu. Sono abbastanza potenti da emettere una luce brillante, ma non da bruciargli la papilla ottica, cuocergli i cervello, friggergli le ossa frontali e fondergli i lobi. Come si impara alle elementari, le luci di questi tre colori possono essere combinate a diverse intensità per produrre tutte le tinte che Hiro è in grado di vedere.
In tal modo, dall'interno del computer, può essere emesso, attraverso la lente fisheye, un piccolo raggio del colore desiderato, in qualsiasi direzione. Gli specchietti elettronici collocati dentro la macchina fanno schizzare il raggio avanti e indietro sulle lenti degli occhialoni di Hiro, proprio come un raggio elettronico all'interno di un televisore colora la superficie interna del Tubo eponimo. L'immagine che ne risulteresti sospesa nello spazio tra Hiro e la Realtà.
Disegnando un'immagine leggermente diversa di fronte a ognuno degli occhi è possibile creare un effetto tridimensionale. Cambiando l'immagine settantadue volte al secondassi genera l'impressione del movimento. Disegnando l'immagine tridimensionale in movimento a una risoluzione di 2k pixel per lato si raggiunge il massimo grado di nitidezza percepibile a occhio nudo e pompando il suono di uno stereo digitale nei piccoli auricolari è possibile dotare le immagini tridimensionali in movimento di una perfetta colonna sonora.
Quindi, Hiro non è affatto lì dove si trova, bensì in un universo generato dal computer che la macchina sta disegnando sui suoi occhialoni e pompando negli auricolari. Nel gergo del settore, questo luogo immaginario viene chiamato Metaverso. Hiro trascorre molto tempo nel Metaverso. Lo aiuta a dimenticare la vita di merda del D-Posit.
Hiro sta per arrivare sulla Strada – la Broadway, gli Champs-Élysées del Metaverso. È il viale che si vede riflesso, in miniatura e al contrario, sulle lenti dei suoi occhialoni. Non esiste in realtà. Ma in questo preciso istante, milioni di persone lontano percorrendo avanti e indietro. (...)
Come un qualsiasi luogo della Realtà, la Strada è soggetta all'espansione edilizia. Gli imprenditori edili possono costruire piccole strade provate che si dipartono dalla via principale. Possono costruire case, parchi, segnali e persino altre cose che non esistono nella Realtà, come per esempio giganteschi spettacoli di luci sospese in alto, speciali zone edilizie in cui vengono ignorate le regole dello spazio-tempo tridimensionale e aree di libero combattimento dove ci si può inseguire ed ammazzare a volontà.
L'unica differenza (...) è che nessuna di queste cose è stata costruita fisicamente. Si tratta piuttosto di un software messo a disposizione del pubblico su tutta la rete a fibre ottiche globale. Quando Hiro va nel Metaverso e vede la Strada e i segnali elettrici che si estendono nell'oscurità fino a perdersi dietro la curva del globo, in realtà sta osservando delle rappresentazioni grafiche, le interfacce-utente, di una miriade di software diversi, progettati dalle imprese più importanti. (...)
Il cielo e il suolo sono neri, come uno schermo di computer su cui non sia stato ancora disegnato nulla; è sempre notte nel Metaverso e, con le sue luci brillanti, la Strada rifulge come una Las Vegas libera dai vincoli della fisica e della finanza.
[Cap. 5:]
Avvicinandosi sulla Strada, Hiro vede due giovani coppie, che probabilmente stanno usando il computer dei loro genitori per un doppio appuntamento nel Metaverso, scendere alla fermata di Porto Zero – luogo d'accesso della zona e capolinea della Monorotaia.
Naturalmente, non sta vedendo persone reali. È solo una parte dell'immagine disegnata dal suo computer, in base ai dati provenienti dal cavo a fibre ottiche. Le persone sono pezzi di software detti avatar. Si tratta di corpi audiovisivi che la gente usa per interagire nel Metaverso. (...)
Il tuo avatar può avere l'aspetto che preferisci, nei limiti dati dagli strumenti di cui disponi. Se sei brutto, puoi avere un avatar bellissimo. Se sei appena sceso dal letto, il tuo avatar può essere vestito e truccato perfettamente. Nel Metaverso puoi avere l'aspetto di un gorilla, di un drago o di un gigantesco pene parlante. Provate a camminare per cinque minuti su e giù per la Strada e ne vedrete delle belle. (...)
Nel Metaverso non puoi materializzarti ovunque ti salti in mente, come il capitano Kirk che scende dall'astronave col trasportatore. Ciò creerebbe confusione e irritazione tra la gente lì intorno. Sarebbe la fine della metafora. (...) Oggigiorno, gli avatar sono perlopiù anatomicamente corretti, e nudi come bambini al momento della loro creazione, quindi devi comunque renderti presentabile prima di apparire sulla Strada. (...) Se sei una specie di peone senza Casa, per esempio una persona che si collega da un terminale pubblico, ti materializzi in un Porto. Ci sono 256 Porti Express sulla Strada, distribuiti sulla sua circonferenza a intervalli regolari di 256 chilometri. (...)
Se questi avatar fossero persone vere su una strada vera, Hiro non riuscirebbe a raggiungere l'entrata. Ce n'è una marea. Ma il sistema del computer che controlla la Strada ha ben altro da fare che seguire ogni singolo individuo tra i milioni di persone che girano in questo posto., per evitare che si scontrino l'uno con l'altro. Non prova neanche a risolvere un problema così difficile. Sulla Strada gli avatar si trapassano tranquillamente. Dunque, quando Hiro fende la folla per raggiungere l'entrata, la fende nel vero senso della parola.
[Cap. 7:]
(...)
Non serve a niente avere un nell'avatar sulla aStrada, dove ce n'è talmente tanti da doversi fondere e fluire uno nell'altro. Ma il Sole Nero è un prodotto software molto più di classe. Al suo interno gli avatar non possono urtarsi. Ci può entrare solo un certo numero di persone alla volta e queste non possono trapassarsi. Ogni cosa è solida e opaca e realistica. E la clientela ha molta più classe – qui i peni parlanti non entrano. Gli avatar sembrano persone vere.
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