Caro Giulio,
grazie mille delle tue domande. In effetti riguardano questioni essenziali, rimaste sullo sfondo di Introduzione alla verità, e mi fa molto piacere parlarne. Provo a chiarire.
Premesse:
1) il concetto di verità è un concetto di uso prevalentemente critico, discussivo, ispettivo: in una parola: scettico, visto che compare nel contesto di una skepsis, una ricerca. Tu mi dai un pugno, io ti denuncio, e si tratta di stabilire se è vero che mi hai dato un pugno, se tu neghi di averlo fatto.
1) il concetto di verità è un concetto di uso prevalentemente critico, discussivo, ispettivo: in una parola: scettico, visto che compare nel contesto di una skepsis, una ricerca. Tu mi dai un pugno, io ti denuncio, e si tratta di stabilire se è vero che mi hai dato un pugno, se tu neghi di averlo fatto.
2) si vede bene allora che V (è vero) significa banalmente: le cose stanno così come le mie parole dicono; 'costui mi ha dato un pugno' è vero perché effettivamente mi hai dato un pugno.
3) per usare sensatamente V in questo modo occorre postulare che ci sia un fatto (pugno) e ci siano parole che ne riferiscono fedelmente o meno. Diversamente non si capisce che senso abbia usarlo
4) postulare l'esistenza di fatti e parole non è un grande impegno metafisico: non è necessario pensare che le parole, essendo distinte dai fatti, non esistano o non possano essere fatti a loro volta, esattamente come per dire: 'Maria mi ha dato un bacio' non è necessario postulare l'esistenza di baci come entità ontologiche determinate.
Risposte alle domande:
5) le proposizioni sono fatti? le proposizioni (nel senso di Frege) sono certamente 'fatti', per un uso libero (non nietzscheano) della parola 'fatti': il fatto-proposizione 'costui mi ha dato un pugno' (parole, suono, pensiero) è però distinto dal fatto di cui la proposizione parla: il fatto appunto che mi hai dato un pugno
6) realtà e linguaggio sono distinti? realtà e linguaggio sono (da considerarsi come) distinti, visto che abbiamo due parole diverse per designare l'una e l'altro; ma non c'è nessun problema a distinguerli, visto che le due parole in questione funzionano molto bene, in molte occorrenze. Il problema nasce quando realtà e linguaggio, fatti e parole, si pensano come dei 'piani' veri e propri, come gli scaffali di una libreria, e si mettono in relazione esclusiva-esaustiva (cioè si dice: reale se e solo se non linguistico): ma che necessità abbiamo di pensare la realtà come una libreria fatta di due soli scaffali, in cui per giunta non ci possa essere alcuna comunicazione o intersezione tra il primo e il secondo? A mio avviso nessuna.
7) non commento il Tractatus perché a mio parere è un brogliaccio piuttosto geniale, che contiene molte intuizioni buone, ma anche proposizioni semplicemente false (a meno che non si usino le parole in modi strani): es. 2.18.
8) Dici: Platone: due mondi; Aristotele: un solo mondo; e dici di preferire Aristotele (dando a me della platonica, presumo). In realtà, forse direi piuttosto: Platone (una parte di Platone) prevedeva un solo mondo, quello delle idee-concetti, ma infinitamente complesso e movimentato; Aristotele: un solo mondo (quello dell'essere) ma estremamente variegato, con tante stratificazioni (sensibile, soprasensibile, mobile, immobile, ecc.), e in un certo senso anche inclusivo del non essere.
9) Come vedi in sostanza siamo tutti d'accordo: tu e io, e Platone e Aristotele (salvo che Platone non amava molto la sfera della sensibilità e il mondo fisico). Ma, NB: la tesi su cui siamo d'accordo non è: 'c'è un solo mondo' bensì 'c'è una realtà (fatta di molte cose e casi e mondi diversi) che rende vero - può rendere vero - ciò che diciamo'.
10) è proprio vero che il concetto di verità ci obbliga a pensare che esistano più mondi (la realtà, il linguaggio, la zona intermedia fra i due precedenti)? In realtà nessun concetto da solo obbliga a pensare in un modo piuttosto che in un altro. Piuttosto, il significato del concetto V mette in gioco la differenza e la relazione tra fatti e discorsi (nel senso sopra indicato), nel senso che quando tu dici 'è vero' entri automaticamente in una struttura di quel genere. Ma tu puoi benissimo usare V anche senza postulare la libreria con i due scaffali 'fatti' e 'discorsi'. Possiamo mettere la questione così: perché 'costui mi ha dato un pugno' sia vero deve esistere (essere esistito) qualcosa che lo rende tale, e questa è l'unica necessità a cui ci vincola l'uso sensato di V, poi non è necessario stabilire come sia fatto il fatto che ha reso vero l'enunciato, e se sia un fatto-fatto, o un fatto-discorso, o un fatto-interpretazione. Per esempio: 'esiste la radice di due' è un enunciato vero, anche se la radice di due come tale non sta nello scaffale fatti (inteso nel senso nietzscheano).
Spero di aver chiarito. Un saluto e a presto F
PS in realtà la questione non è "quanti mondi?" ma piuttosto "che cosa c'è?", e più in particolare: "ci sono le cose che sembrano non esistere?". A questo riguardo, a me piace abbastanza la soluzione di Graham Priest (Towards Non-Being): ci sono tutti gli oggetti, in tutti i mondi, salvo che alcuni oggetti esistono solo in alcuni mondi.
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