8 settembre 2025

La struttura ad albero del divenire temporale. Né determinismo né indeterminismo: il CONTINGENZIALISMO di Georg Henrik von Wright

 




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Inserendosi in una tradizione che si può far risalire ad Aristotele, von Wright (filosofo finlandese, 1916-2003) ha una posizione sulla struttura del divenire temporale che possiamo accostare (con differenze anche marcate) a C. S. Peirce, Bergson, A. Prior, N. Belnap, Lukasiewicz. A qualcosa di simile è anche approdato recentemente un filosofo della scienza che, a differenza di quanto ha fatto von Wright, si confronta sistematicamente con le teorie fisiche (relatività e meccanica quantistica), aggiornando la sua visione alle teorie più avanzate (in particolare, di recente, la gravità quantistica); la posizione di Dorato è però molto più articolata e raffinata, e non è riassumibile in breve. Mi limito qui a segnalare il suo libro più recente: M. Dorato, Il tempo. Cosa accade quando non accade nulla, Carocci editore, Roma 2024


La tesi di von Wright, che vorrei riproporre in versione semplificata ma sufficientemente completa, scaturisce invece da un’analisi concettuale e utilizza un modello ontologico molto simile a quello che si può ricavare dal Tractatus di Wittgenstein. Ritengo che la posizione di von Wright sia piuttosto equilibrata, adatta a rendere conto di molte convinzioni radicate nel senso comune, e utile anche a fare da sfondo per un approccio rilevante al tema del libero arbitrio. Va ricordato che von Wright si è occupato approfonditamente di questo tema in Freedom and Determination (Helsinki, The Philosophical Society of Finland, 1980; trad. It Libertà e determinazione, Pratiche Editrice, Parma 1984) e in Of Human Freedom, in The Tanner Lectures on Human Values, vol VI, University of Utah Press, Sal Lake City, pp. 107-70). Per una esposizione sintetica della filosofia di von Wright, mirata alla ricostruzione della sua posizione sulla libertà (con riferimenti alla sua teoria dell’azione e della causalità), mi permetto di rimandare al mio articolo “Georg Henrik von Wright”, in “AphEx 9”, 2014, pp. 34.


Il testo di riferimento, nel quale troviamo esposta la concezione del tempo che ci interessa qui ricostruire, è Causality and Determinism, Columbia University Press, New York 1974 (trad it. Causalità e determinismo, Faenza Editrice, 1981, traduzione di P. Allegri, con un saggio introduttivo di S. Besoli, di seguito abbreviato con CD)



Come “introduzione” al discorso più specifico sul decorso del divenire temporale inserisco una lunga citazione dall’edizione italiana di Causalità e determinismo che ci fa capire quale sia il tipo di approccio, anche metodologico, con il quale von Wright affronta il tema. Von Wright allude talvolta al fatto che il mondo abbia una sua struttura “profonda”, il cui reperimento è però un problema metafisico (ma oggi sarebbe forse più appropriato dire fisico… la fisica di oggi affronta in buona parte problemi che erano della metafisica tradizionale…) sul quale egli non vuole impegnarsi. Ma allora ci potremmo chiedere se il lavoro di analisi concettuale, per von Wright, abbia anche un potere conoscitivo che possa “affiancarsi” a quello delle scienze. Il brano seguente di von Wright può aiutarci a rispondere.


Pertanto appare legittimo, credo, domandarsi quali requisiti debbano soddisfare i fatti (il mondo) perché possa esistere un concetto di causazione almeno approssimativamente simile al nostro. I requisiti seguenti mi sembrano pertinenti.

Prima di tutto, il mondo deve approssimarsi fino ad un certo grado al modello dell’atomismo logico. Deve essere possibile riconoscere in esso esemplificazioni di stati di cose generici [corsivo mio] separabili concettualmente e verificazionalmente (…) Equivarrebbe a fare della cattiva metafisica affermare che “in realtà” non ci sono nel mondo né stati separabili concettualmente e verificazionalmente, né situazioni discrete, né alcuna ripetizione. (…) Ma sarebbe altrettanto sconveniente asserire metafisicamente che la realtà ha la struttura atomistico-logica del nostro modello di mondo. (…) Questa ed altre strutture ad essa alternative sono modelli cui “il mondo” può approssimarsi fino a un certo grado. E alcuni “frammenti” o “regioni” del mondo possono approssimarsi maggiormente di altri. Il grado di approssimazione si riflette nei concetti che abbiamo giudicato utile impiegare. In una regione del mondo in cui l’approssimazione è bassa, l’applicabilità dei concetti connessi con il modello diminuisce conseguentemente. (CD, pp. 70-71).



La nozione di “modello” indica una struttura concettuale sufficientemente articolata da rendere conto di un ampio insieme di fenomeni. Il problema sarebbe poi sapere se il mondo, nella sua struttura profonda (metafisica o fisica, che dir si voglia…) corrisponda a tale struttura. Come ho già detto sopra, però, questo problema non si può porre alla filosofia di von Wright, proprio perché egli evita esplicitamente di occuparsene.


Dobbiamo ricostruire brevemente alcuni concetti chiave del modello atomistico-logico utilizzato da von Wright, sulla cui base poi vedremo la sua concezione del tempo.


La nozione di evento è definita da von Wright come la transizione o il mutamento da uno stato di cose a uno stato di cose successivo nel tempo. Un evento è quindi anche definibile come


coppia ordinata di due stati di cose. La relazione d’ordine è una relazione tra due occasioni successive nel tempo. Non discuteremo in maggiore dettaglio la natura di tale relazione. Semplificando, indicheremo le due occasioni parlando della precedente e della successiva. L’evento “in quanto tale” è il mutamento o la transizione dallo stato di cose che si dà nell’occasione precedente a quello che si dà nell’occasione successiva. Chiameremo il primo lo stato iniziale e il secondo lo stato finale. (Norma e azione, Il Mulino, Bologna 1989, pp. 66-7).




Della nozione di “stato di cose” non viene data una definizione. Essa viene introdotta tramite esempi.


Esempi di stati di cose potrebbero essere che il sole splende, o che una certa porta è aperta. Non chiarirò ulteriormente la nozione di stato di cose. Per i nostri scopi non è necessario considerare gli stati di cose come qualcosa di “statico”; qui anche processi, come uno scroscio di pioggia, possono essere considerati come “stati di cose”. (…) Gli stati di cose sono gli unici “mattoni ontologici costitutivi” del mondo che studiamo. Non penetreremo nella struttura interna di questi mattoni. (Spiegazione e comprensione, Il Mulino, Bologna 1977, pp. 66 e pp. 68)


L’immagine del mondo che risulta da queste laconiche proposizioni di von Wright è simile a quella del Tractatus di Wittgenstein, al quale von Wright si richiama esplicitamente. Come ho già detto, von Wright dichiara anche di non volersi impegnare nella difficile questione metafisica (o fisica…) su come sia il mondo veramente:


“Il mondo”, ossia il mondo in cui di fatto ci troviamo, è un mondo-Tractatus (…)? Si tratta di una questione metafisica profonda e difficile, e non so come rispondervi (…). Tuttavia, indipendentemente dal modo in cui possiamo rispondere a tale questione metafisica, è innegabile che, come modello semplificato di un mondo, la concezione del Tractatus wittgensteiniano è interessante in se stessa, nonché utile come strumento nella filosofia della logica e della scienza. (Spiegazione e comprensione, cit., pp. 67-8)


Siamo adesso sufficientemente attrezzati per poter capire il discorso di von Wright sulla struttura del divenire temporale. 

Egli propone la sua concezione all’interno di una analisi del tema del determinismo. Vi è una coppia di formulazioni che, per la loro estrema generalità, possono servirci come punto di partenza per ricostruire il suo discorso. Esse sono:


D.1 “Ciò che è, doveva essere.”


D.2 “Ciò che accade, doveva accadere.”.


Tali affermazioni dicono in sostanza la stessa cosa, ma, si potrebbe dire, D.1 in senso “statico” e D.2 in senso “dinamico”. Se intendiamo il verbo “essere” in senso sufficientemente ampio, D.2 è contenuta in D.1.

Ciò che D.1 e D.2 affermano è che non c’erano altre possibilità; ciò che è, o ciò che accade, doveva necessariamente essere o accadere. Naturalmente il senso di questa tesi cambia a seconda del significato dei termini “possibilità” e “necessità”. Prima di mostrare in quali modi possono essere intesi questi termini, diamo corpo a D.1 e D.2 servendoci di un’immagine. Tale immagine è quella della storia del mondo come successione lineare, e viene costruita da von Wright utilizzando un modello del mondo di tipo atomistico-logico.

Partiamo dunque dall’ipotesi che il mondo sia costituito da un insieme di stati di cose elementari, che siano fra loro logicamente indipendenti e il cui numero sia finito e costante nel tempo. Immaginiamo che il tempo sia un trascorrere discreto di occasioni successive. Il fatto che il numero degli stati di cose sia finito fa sì che il mondo, in linea di principio, sia completamente descrivibile. Il mondo, considerato in una singola occasione temporale, consisterà in una combinazione degli n stati di cose elementari (combinazione che consiste nel fatto che ogni singolo stato può, in quella occasione, verificarsi o non verificarsi). Chiamiamo tale combinazione stato totale del mondo. La storia del mondo è la successione temporale degli stati totali del mondo. Anche gli stati totali, nel nostro modello, sono fra loro logicamente indipendenti: non vi sono dipendenze logiche nel tempo.


Ciò che è vero in un dato momento (qualsiasi) è logicamente indipendente da ciò che è vero in un altro momento (qualsiasi). Questo fatto lo si può considerare davvero uno dei più importanti e insieme problematici principi dell’atomismo logico (CD, p. 48)


Se consideriamo lo stato totale del mondo “ora”, nel presente, possiamo dire che, per quello che riguarda la logica, il mondo potrà trovarsi, nell’occasione immediatamente futura, in uno qualsiasi degli stati totali logicamente possibili. Se il numero degli stati di cose elementari è n, il numero degli stati totali possibili è 2 alla n (2 elevato n).

Esemplifichiamo. Supponiamo che il mondo sia costituito solo da tre stati di cose elementari: a, b, c. Essi possono, in una qualunque occasione data, verificarsi o non (¬) verificarsi, indipendentemente uno dall’altro. Il numero delle combinazioni possibili è 2 alla terza: 8. Presento qui una tabella di questi otto stati totali possibili:


            1.     a b c

            2.     ¬a b c

            3.     a ¬b c

            4.     a b ¬c

            5.     ¬a ¬b c

            6.     a ¬b ¬c

            7.     ¬a b ¬c

            8.     ¬a ¬b ¬c


La storia del mondo, dall’occasione “ora” alla prossima occasione temporale, può essere rappresentata così:





 


Il pallino nero rappresenta lo stato totale del mondo ora. Gli otto pallini bianchi sono gli otto stati totali che il mondo può (logicamente) assumere nella prossima occasione.

Rispetto ad una situazione come quella descritta sopra, la posizione di un determinista (che affermi D.1 o D.2) sarebbe la seguente. Egli, probabilmente, non negherebbe che, per quanto riguarda le possibilità logiche, la storia del mondo potrebbe avere queste otto alternative nel futuro. Ma direbbe anche che, per quanto riguarda le possibilità reali, la situazione è la seguente.






Cioè non vi sono, in realtà, possibili alternative. Dato che il determinista ripeterebbe la stessa cosa per ogni occasione temporale, l’immagine della storia del mondo che egli ci propone è questa (prescindo qui dal problema se il tempo abbia o no un inizio e una fine. L’immagine è relativa a un segmento della storia del mondo):






A sinistra vi è il passato, a destra vi è il futuro. Ogni pallino rappresenta lo stato totale del mondo in una occasione temporale. Questa immagine rispecchia l’idea contenuta in D.1 e in D.2.

Le tesi D.1 e D.2 rappresentano ciò che vi è di comune nelle tesi deterministiche forti; considerate in sé, risultano essere gratuite, prive di nocciolo argomentattivo. In realtà tali tesi non si presentano mai da sole, ma sono sempre accompagnate da altre tesi. D.1 e D.2 sono, in genere, implicate dal determinismo causale oppure dal determinismo per pre-conoscenza. Del determinismo per pre-conoscenza (legato o a credenze religiose quali l’onniscienza divina o a considerazioni strettamente logiche sul concetto di verità) rinuncio qui a ricostruire la trattazione di von Wright. Mi concentro invece sul determinismo causale, che è quello più diffuso e ancora presente soprattutto in ambito scientifico. Una formulazione generica del determinismo causale è la seguente:


D.3 “Tutto ciò che accade ha una causa.”


Tale proposizione richiede un’interpretazione. Von Wright mostra come vi siano perlomeno tre interpretazioni diverse. La più importante (la sola che qui ricostruiamo) è quella che coincide con il determinismo causale “classico”, ovvero il determinismo che nasce nel XVII secolo come conseguenza della rivoluzione scientifica. Nella formulazione di von Wright, la tesi fondamentale di questo determinismo dice:


D.4 «Nessun mutamento può mai verificarsi, a meno che non avvenga come componente-effetto dell’occorrenza di una data legge causale» (CD, p. 98)


Ogni mutamento (ogni evento) è determinato, nel senso che una sua condizione sufficiente è operativa ogni volta che esso si verifica. La nozione di “legge causale” va intesa semplicemente come l’affermazione di una connessione nomica (che ha carattere di legge; da νόμος, «legge» in greco) fra due eventi generici.

Qual è la connessione fra D.4 e la tesi della linearità della storia del mondo? Se la storia futura del mondo presentasse delle alternative ontiche, ovvero degli sviluppi alternativi che siano realmente possibili, ciò significherebbe che alcuni mutamenti accadono senza avere una causa. (Ciò però non significa che non esista un loro antecedente temporale e/o contiguo nello spazio, ma solo che non esiste una connessione necessaria fra i due eventi: l’evento C ha provocato l’evento D, ma solo in quella circostanza, e avrebbe potuto provocare anche gli eventi E, F, ecc, che in quella circostanza non si sono verificati ma avrebbero potuto accadere.) Questi mutamenti sarebbero contingenti, in un senso non solo logico: sarebbero causalmente contingenti. Ora, siccome D.4 nega che possano darsi mutamenti di questo tipo, deve anche negare che esistano alternative reali nella storia futura del mondo. D.4 implica D.2 e D.1.

Chiarito in cosa consiste il determinismo causale, e chiarito che esso corrisponda a una visione “lineare” del divenire temporale, vediamo adesso, finalmente, qual è la concezione di von Wright sul divenire temporale. Von Wright non è né determinista, né indeterminista. Presentiamo la sua posizione subito attraverso un’immagine (una rielaborazione dell’immagine che lui stesso fornisce a p. 57 dell’edizione italiana di Causalità e determinismo)









Vediamo qui la storia del mondo in cinque occasioni successive. Notiamo che dopo il pallino nero, cioè lo stato totale del mondo ora, vi è una struttura ad albero. Ciò significa che il futuro è aperto. Tale apertura non è intesa in senso logico. Non si sostiene, cioè , che quelle siano le storie che sono logicamente possibili. Esse sono le alternative che sono realmente possibili, cioè possibili tenendo conto della causalità. Von Wright le chiama “alternative” causali”. Rispetto alle alternative logicamente possibili, quelle causalmente possibili sono sicuramente di meno. La causalità pone delle restrizioni alle possibilità logiche di sviluppo. Se la causalità fosse onnipresente, come abbiamo visto, non esisterebbero più alternative realmente possibili.

Il fatto che, nonostante si tenga conto della causalità, siano presenti delle alternative reali, è dovuto all’idea che non tutti gli eventi sono parte di una relazione causale; non essendo parte di una relazione siffatta, essi possono (realmente) accadere, ma possono (realmente) anche non accadere. Per quello che riguarda la causalità, essi sono contingenti. Il futuro, quindi è onticamente aperto. “Onticamente” nel senso che tale apertura non è dovuta alla nostra ignoranza di cause che invece esistono: non si tratta di un’apertura epistemica

Il passato, invece, è onticamente chiuso: esso presenta una forma lineare. Le linee tratteggiate mostrano però che, anche per le occasioni passate, è giusto dire che vi erano delle alternative realmente possibili. Esse sono state “bruciate” nel corso della storia del mondo.

Una posizione come questa non può definirsi indeterminista. Un indeterminista sostiene che le alternative realmente possibili coincidono con le alternative logicamente possibili. In altri termini, non vi sono restrizioni alla “libertà” logica di sviluppo del  mondo. La posizione di von Wright, invece, consiste nel tenere conto della causalità, ma nel ritenere che essa non abbracci tutto il campo degli eventi naturali.