Milano, 18 giugno 2000
Gentile prof. Piana,
le scrivo per sottoporre alla sua attenzione un progetto di ricerca che avrebbe come punto di partenza Elementi di una dottrina dell'esperienza. Le chiedo:
1) se abbia senso intraprendere una siffatta ricerca (o se si tratti di un progetto troppo ambizioso, o male impostato...)
2) eventuali consigli in merito.
Provo a esporle subito il titolo e l'indice di questo possibile lavoro:
RICCHEZZA E INTENSITÀ
Elementi per una disciplina dell'esperienza
Parte prima: i piani dell'esperienza
Percezione
Emozione
Ricordo
Immaginazione
Desiderio/Volontà
Pensiero
Azione
[ In un successivo progetto ho poi rielaborato questo "elenco" in nel modo seguente ordinando i piani dell'esperienza da quelli più vicini al soggetto a quelli più vicini all'oggetto:
bisogno
desiderio / volontà / intenzione
immaginazione
pensiero
ricordo
emozione
percezione
azione]
Parte seconda: ricchezza e intensità dell'esperienza
Norme particolari
Norme generali
Senso e orientamento: la dialettica fra intensità e ricchezza
Nella prima parte si tratterebbe di riprendere ed ampliare la trattazione di Elementi di una dottrina dell'esperienza, usando lo stesso metodo (lo strutturalismo fenomenologico) per la caratterizzazione di altri piani dell'esperienza che là non sono stati affrontati, con l'obiettivo di esibire una mappa completa del campo dei "modi dell'intendere". I tre piani mancanti sarebbero quindi l'emozione, il desiderio/volontà, l'azione.
È d'accordo che questi tre campi saturerebbero la completezza delle modalità fondamentali dell'esperienza?
Sul piano dell'azione tenderei ad utilizzare, almeno in parte, le analisi di von Wright. L'azione sarebbe intesa come quell'esperienza nella quale il soggetto provoca una modificazione dell'oggetto percepito. [...] Secondo lei è corretta l'impostazione, che deriva ancora da von Wright, secondo la quale le esperienze di volontà siano comunque connesse al desiderio? Inoltre è vero, secondo lei, che l'oggetto voluto, desiderato, è sempre un'azione, un'emozione, una percezione...? (cioè non è mai un semplice oggetto; per esempio : desidero un gatto. In realtà desidero accarezzare un gatto, coccolare un gatto, amare un gatto, essere amato da un gatto, guardare un gatto...).
Nella seconda parte si tratterebbe di dare indicazioni sul piano pratico-orientativo, che siano però strettamente connesse col piano teoretico. Si tratterebbe di passare a considerare il piano del "valore" delle esperienze. Per esempio: un'esperienza confusa vale meno di un'esperienza chiara. Partendo dal fatto che le esperienze hanno una struttura, si può sostenere che vanno vissute con metodo, con disciplina, ovvero cercando di valorizzarle, e le due direzioni fondamentali, antitetiche ma non incompatibili, sono (questa sarebbe la tesi di fondo) l'intensità e la ricchezza. Come rendere le esperienze più intense? (cioè più concentrate, focalizzate, mirate...). Come rendere le esperienze più ricche? (cioè più complesse, ampie, contestualizzate, panoramiche, molteplici...)
[...]
La ringrazio per l'attenzione
Giulio Napoleoni.
16 luglio 2000
Caro Giulio Napoleoni,
rispondere alla sua lettera non è per nulla una cosa facile! Il progetto di estendere la ricerca in direzione della vita volitiva ed emotiva in genere, tenendo fermo un punto di vista fenomenologico-strutturale è naturalmente sensatissima. Ma anche molto complicata... È superfluo che io le dica che avevo sperimentato questa possibilità percorrendone alcuni brevi tratti (partendo dal tema del bisogno, si perviene facilmente a quello del desiderio, e di qui a tutta la tematica dei vissuti emotivi. Inoltre il bisogno è legato alla prassi, all'azione... Ho fatto molto tempo fa delle lezioni su questi argomenti). Ciò che mi aveva spaventato è la più che probabile necessità di misurarsi con la psicoanalisi. Certo, si può anche sostenere che la via fenomenologia è profondamente diversa e può anche permettersi di passare a lato delle problematiche psicoanalitiche; ma la produzione psicoanalitica in questo campo è troppo imponente per non dirne nulla. Occupandosi di questi temi si rischia di finirci dentro fino al collo - come è accaduto ad Alfredo Civita. E d'altra parte vi è anche una tendenza fenomenologia in questo campo (Binswanger), ed ancora più indietro vi è Scheler, ed anche per certi aspetti Heidegger... C'è di che ritrarsene un po' spaventati. Nulla tuttavia è indominabile, e non dobbiamo essere costretti a leggere intere biblioteche per scrivere un buon libro. Quindi non intendo affatto scoraggiarla. Il mio unico consiglio è quello di cercare di fare il massimo sforzo per evitare di sovradimensionare il lavoro, altrimenti potrebbe proprio diventare impraticabile.
Proprio l'unico! Mi fa un sacco piacere, in realtà, vedere che a distanza di molti anni il mio lavoro è ancora presso qualcuno; ed ancor più, che si pensi di poterne sviluppare le linee e portarlo oltre il punto in cui io l'ho portato. Ma mi sembra impossibile dare consigli e suggerimenti, proporre letture e fornire indicazioni. Ho pensato questo proprio leggendo le domande che lei mi rivolge nella sua lettera. Rispondere realmente ad esse significherebbe mettersi al lavoro proprio sui temi generali di cui mi parla. Senza contare che ciascuno ha i propri orientamenti mentali e i propri percorsi - come è giusto che sia. Ed a me personalmente risulta difficilissimo, anzi sostanzialmente impossibile, tentare di portare l'attenzione su argomenti che non sono quelli di cui mi occupo attualmente.
Posso aggiungere soltanto che il suo progetto mi sembra meglio definito nella parte prima piuttosto che nella parte seconda. La faccenda dell'intensità e della ricchezza mi sembra porsi su un terreno abbastanza diverso da quello su cui ci si attiene nella prima parte (e mi convince anche un po' meno).
Insomma, la ringrazio molto per avermi messo a parte di questo suo progetto - ma la prego di non implicarmi in esso!
Nessun commento:
Posta un commento