20 luglio 2025

La "Breve storia dei paradossi" di Franca D'Agostini: come siamo arrivati all'"esplosione" della ragione?

 




Il nuovo libro di Franca D’Agostini (filosofa nota soprattutto per Analitici e continentali – Cortina 1997 –, Breve storia della filosofia nel Novecento. L’anomalia paradigmatica – Einaudi 1999 –, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico – Bollati Boringhieri 2010 –, Introduzione alla verità – Bollati Boringhieri 2011), uscito nel maggio del 2025 per l’editore Carocci nella collana “Bussole”, è l’ideale “completamento” di un precedente libro (Paradossi, Carocci 2009) nel quale D’Agostini affrontava in modo sistematico il territorio dei paradossi dandone una ricognizione ragionata, in dialogo con le più recenti teorie filosofiche sull’argomento. 

Qui la prospettiva storica amplifica notevolmente la portata del discorso, perché il libro si può intendere anche come una lucidissima storia della filosofia dall’antichità ai giorni nostri – per snodi fondamentali – che coglie il cuore pulsante della disciplina e le sue connessioni con la politica e con il destino della razionalità stessa.

Traspaiono in queste pagine alcune caratteristiche tipiche di Franca D’Agostini: la grande competenza logica (pur avendo evitato l’uso di formalismi, per non spaventare il lettore) e lo stile analitico, insieme a una grande sensibilità meta-filosofica e a un incisivo sguardo “continentale” sui movimenti epocali della Ragione, con un costante richiamo a Hegel, che sembra essere l’interlocutore privilegiato ed è il punto di riferimento finale. Un Hegel visto però in continuità con Aristotele: «Hegel sviluppa Aristotele» dirà nell’incontro di presentazione del libro (presso la splendida sede della Biblioteca Comunale Italo Bertoni, nel Parco di Villa Durazzo a Santa Margherita Ligure, il 9 luglio 2025, organizzato dalla figlia Elena Ficara – anche lei filosofa –, con Carlo Penco a introdurre e moderare la discussione, presenti in sala Diego Marconi e Marilena Andronico), e rispetto al quale (Hegel) però l’autrice, nelle ultime righe del libro ma anche nel discorso di presentazione, prende un po’ le distanze rispetto alla sua eccessiva fiducia nel procedere “industurbato” della Ragione – con lo sviluppo storico della scienza – sopra alle tragedie umane.

Un paradosso, secondo la definizione semplice ma efficacissima di Franca D’Agostini, è una contraddizione resistente, e nel libro ne vengono esaminati 98 (in fondo al post troverete un Indice dei paradossi esaminati con i numeri di pagina, fatto da me, utile per il lettore perché nel libro manca e serve come mappa del percorso), e ciascuno di essi costituisce un “oggetto” che cattura la mente in modo quasi ipnotico (se si prova a “entrarci” e a seguirne i cunicoli logici, come se fosse un piccolo labirinto), ma il libro riesce ad essere al contempo molto sintetico, e si procede velocemente, con un ritmo incalzante, quasi come in un thriller (la metafora del giallo, con un assassino da trovare, è stata utilizzata dall’autrice nell’incontro di presentazione e ne renderò conto più avanti).

Il racconto, dopo una parte introduttiva che traccia le coordinate concettuali, inizia con i paradossi di Zenone di Elea (famosissimo è Achille e la tartaruga), che sono in realtà argomenti quasi-paradossali, a sostegno delle tesi del suo maestro, Parmenide, in particolare a sostegno dell’immutabilità dell’essere. Zenone argomenta mostrando le contraddizioni che scaturiscono se si ammette il movimento (una forma di divenire).


Zenone “scopre” dunque non i paradossi ma la riduzione all’assurdo. E in particolare individua il ruolo dialettico dell’infinito, la capacità di questa struttura matematica di generare contraddizioni (p. 21).


L’invenzione dei paradossi in senso stretto si deve ai megarici, che avevano probabilmente uno scopo socratico: far emergere l’importanza degli universali, del linguaggio della filosofia. I megarici tendevano a rifiutare il linguaggio comune in generale, e con i paradossi tendevano a costringere tutti a rendersi conto della forza dei concetti.


A quanto riferisce Plutarco, Stilpone (l’esponente più famoso della scuola), riteneva che esistessero solo universali, e che tutti gli errori, i paradossi e sofismi del linguaggio comune provenissero dalla conoscenza sensibile, legata al particolare (p. 36).


Platone (di cui si parla nel capitolo 2, insieme ad Aristotele) sviluppa una teoria degli universali (più nota come teoria delle idee), poi “mette in crisi” la sua stessa teoria (nei cosiddetti dialoghi critici) e infine riprende la teoria tenendo conto degli aspetti problematici. D’Agostini si concentra in particolare sui paradossi che emergono nel Parmenide e riprende l’idea hegeliana che «la componente scettica fosse il tratto più caratteristico del platonismo». Sostiene che


dai dialoghi critici di Platone nasce una completa visione della dialettica come “logica della filosofia”, logica della concettualità […] Questa logica, nel comune uso del linguaggio, è dominata dal paradosso, dall’emergere di contraddizioni irriducibili. […] l’universalità concettuale è la forza del linguaggio che deve essere compresa, riconosciuta e governata, diversamente diventa esplosiva (p. 40).


Di Aristotele D’Agostini mette in luce due aspetti. Uno (nel quarto libro della Metafisica) è la difesa del principio di non contraddizione, che si lega all’insostenibilità di qualsiasi scetticismo estremo. Relativismo, nichilismo, pluralismo e trivialismo vengono stroncati con l’elenchos, la confutazione per auto-contraddizione dell’avversario (esempio: se niente è vero – nichilismo – allora è anche non vero che niente è vero).

L’altro aspetto è la posizione rispetto alle contraddizioni, che D’Agostini mette in relazione al successivo sviluppo con Hegel. Aristotele ammette, secondo D’Agostini che alcune contraddizioni potrebbero essere vere, quindi non sostiene l’impossibilità assoluta delle contraddizioni.


Ciò che Aristotele difende è piuttosto il principio di esclusione: si può ammettere qualche caso in cui “p e non p” è vero, ma è impossibile sostenere che “p” sia vero e separatamente (“poi”) che “non p” sia anche vero (1008a 19-21). È solo un’ipotesi, ma come si vedrà una posizione di questo tipo è difesa con molte ragioni da Hegel e da alcuni logici contemporanei: è l’idea della “unità degli opposti”, principio fondamentale per Hegel della dialettica razionale (p. 50).


La tesi generale verso cui tende questa Breve storia dei paradossi, che è stata chiaramente enunciata dall’autrice in sede di presentazione del libro, è che la ragione occidentale sia saldamente fondata sul paradosso.

Per sostenere questa tesi così radicale Franca D’Agostini, in quella occasione, ha ricordato che la stessa formula usata da Anselmo per dimostrare l’esistenza di Dio è stata usata da Fredegiso di Tours per dimostrare l’esistenza del nulla (!). Di ciò, nel libro, si parla nel capitolo 4 – dopo un capitolo dedicato a Crisippo e ad Agostino –, che introduce il Medioevo e prepara al capitolo 5, sui paradossi e i sofismi tardomedievali (una delle parti più innovative rispetto alla letteratura sull’argomento).

D’Agostini ha aggiunto, parlando in occasione della presentazione, che il libro si può leggere anche come un romanzo giallo, nel quale c’è una vittima – la logica classica – e c’è un assassino…: «Non vi dico adesso chi è l’assassino, così vi lascio il piacere di scoprirlo da soli»… ma in realtà poi l’ha detto, e lo vedremo tra poco (intanto provate a capirlo da soli!).

Il capitolo 6, che introduce all’epoca moderna, tratta della Dotta ignoranza  (1440) di Cusano e della strana regola logica chiamata consequentia mirabilis, le cui origini si possono far risalire a Euclide, ma che fu esaltata e portata in primo piano dall’entusiasmo di Girolamo Cardano, nel 1570. Ma il capitolo 6 si apre in realtà con un riferimento al libro di Graham Priest (padre del dialeteismo, la teoria dei paradossi come “vere contraddizioni”) Beyond the Limits of Thought (1995) per introdurre l’iterazione concettuale su cui si basa il testo di Cusano.

Priest sostiene che le contraddizioni sono inevitabili ogni volta che viene individuato un limite che viene però superato parlandone e pensandolo. Si producono allora operazioni contraddittorie come: pensare l’impensabile, esprimere l’inesprimibile, descrivere l’indescrivibile, concepire l’inconcepibile, conoscere l’inconoscibile… (qui a me è venuta subito in mente l’obiezione che già i primi lettori della Critica della ragion pura facevano a Kant a proposito dell’esistenza della cosa in sé: come fai a dire che esiste la cosa in sé, se questa si trova oltre il limite dell’esperienza e della conoscibilità?). 

Nell’età moderna, sostiene D’Agostini, essendosi indebolito il ricorso alla Scritture e alle dottrine della Chiesa,


diminuiva dunque la capacità dei testi sacri di bloccare l’instabilità e le contraddizioni di un linguaggio che si misura con idee estreme (nulla, Dio), al limite del pensabile-conoscibile. E forse non è un caso che proprio rilanciando l’ambigua ignorantia socratica sia apparsa l’idea di una contraddizione intrinseca alla conoscenza (dio Dio e delle cose) nell’opera di Niccolò Cusano (p. 83-84).


Nel cruciale capitolo 7, dedicato a Kant e Hegel, troviamo importanti argomenti, che non possiamo riassumere per ragioni di spazio ma vogliamo almeno accennare. Innanzitutto D’Agostini “cattura” (o interpreta) le antinomie kantiane (relative all’idea di mondo, una delle tre idee che la ragione si forma nella sua naturale aspirazione metafisica verso la totalità) come paradossi, contraddizioni di cui non riusciamo a liberarci. Le presenta, ricostruisce la riflessione kantiana su di esse, e riassume la “soluzione” kantiana: le antinomie nascono da un errore. Quale? Trascurare la distinzione tra fenomeni e cose in sé.


(…) se parliamo della totalità dei fenomeni, essendo questa idea priva di supporto sensibile, parliamo di qualcosa che non è mondo, qualcosa che non è accessibile alle nostre facoltà e su cui non possiamo dare nessuno degli otto giudizi (p. 91-92).


Segue una parte (7.2) dove D’Agostini analizza la discussione di Hegel sui paradossi megarici (nelle Lezioni sulla storia della filosofia). Si tratta di una delle parti più originali del libro, che era stata in parte anticipata (ed era la prima volta in assoluto che si considerasse questo argomento nella letteratura sul tema) nel libro The Last Fumes. Nihilism and the Nature of Philosophical Concepts, (Davies Group Publishers, 2008). Troviamo, in questa analisi, una via di accesso per comprendere la dialettica hegeliana e interpretare il concetto di “ragione” in Hegel.


(…) la ragione accetta la contraddizione, ma mantiene uniti gli opposti, dando alla loro unione inestricabile (Einheit) un nuovo nome-concetto che viene lanciato nel linguaggio. L’idea-base della logica razionale è dunque l’unità degli opposti (Einheit Entgegengesetzter) (…) Per Hegel la soluzione dei paradossi non si deve alle decisioni dei logici, ma alla forza della ragione. E “la ragione” non è una facoltà individuale (…): è una funzione della collettività umana che agisce nella storia. (…) I paradossi dunque non “si risolvono” togliendo la contraddizione, ma accettandola e vedendo in essa un passaggio storico-linguistico cruciale, in cui la scienza vince le controversie degli individui, e procede oltre (p. 93-94).


In 7.3 (Perché sbagliava Kant) D’Agostini ricostruisce l’interpretazione hegeliana delle antinomie kantiane: altro tassello importante per capire sia la continuità, sia la differenza tra Kant e Hegel.

I capitoli 8 e 9 e 10 sono dedicati agli sviluppi delle teorie sui paradossi nel Novecento. La struttura essenziale di questo enorme proliferare di nuovi paradossi e di teorie su come affrontarli viene tracciata in anticipo dall’autrice nelle pagine introduttive. È Tarski a individuare le due cause fondamentali che, agendo congiuntamente, generano i paradossi: 1. l’auto-riferimento o chiusura o riflessività: il fenomeno per cui il linguaggio può parlare di se stesso; 2. l’esistenza di leggi logiche che si applicano anche al linguaggio naturale, in particolare il terzo escluso (p ¬p) e la legge di non contraddizione: ¬(p ¬p ).

Individuate le cause, una prima strategia di soluzione è stata quella di escludere l’auto-riferimento, distinguendo livelli o gerarchie di discorso:  linguaggio-oggetto e meta-linguaggio (Tarski); teoria dei tipi (Russell).


Il problema è che la chiusura si presenta in tantissime forme: auto-riferimento, auto-predicazione, circolarità, riflessione, totalità ecc. tutte strutture cattive, generatrici di paradossi. Difficile eliminarla del tutto. Le strategie più di successo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso si concentrano sul secondo fattore: le leggi logiche. Si assume che il terzo escluso (o bivalenza) e/o la non contraddizione possano essere violati (p.16).


Quindi possono esistere enunciati né veri né falsi, che sono lacune, gaps, di valori di verità, oppure dobbiamo ammettere eccessi, glut, di verità, ovvero casi in cui è vera una proposizione ma è vera anche la sua negazione.


E la logica dei paradossi si riduce in ultimo alla «battaglia tra glut e gap» (p. 16).


Ma chi è, dunque, l’assassino della logica classica?

L’assassino, ha rivelato D’Agostini nella presentazione del libro, è il concetto.

Questo significa che il problema per cui la ragione tende ad “esplodere” ed è fin dal principio attraversata da contraddizioni resistenti è proprio nascosto nella natura stessa degli universali: i concetti, i predicati, le proprietà. Il disaccordo è nella struttura stessa della democrazia, ma le ragioni confliggenti sono affrontabili solo attraverso la discussione argomentata, e questa non può fare a meno di servirsi del linguaggio, che nasconde ambiguità, iterazioni contraddittorie, vaghezza. L’unico modo per usare bene i concetti è conoscere le loro insidie.


Se dunque siamo interessati agli strani eventi concettuali che chiamiamo paradossi non è solo perché sono divertenti e sorprendenti, ma anche perché nel capirli e risolverli forse riusciamo a capire qualcosa dei confronti umani, specie di quegli aspri conflitti che pervadono i dibattiti politici attuali.


La ragione esplode se accettiamo qualche contraddizione e ci muoviamo con i principi della logica classica.


È sorprendente che i Greci, con i loro primi mezzi logici, abbiano colto questo non piccolo difetto del linguaggio comune: basta ammettere anche un solo caso in cui X dice “p” e Y dice “non p” e hanno entrambi ragione, e la logica conseguenza è (può essere) che tutti hanno ragione, tutto è vero (p.25).


Le logiche paraconsistenti si sono sviluppate nel Novecento proprio mirando all’obiettivo di creare un’idea di conseguenza logica “non esplosiva”, capace di accogliere contraddizioni senza cadere nel trivialismo (tutto è vero). Oggi sembra affermarsi una situazione in cui, per effetto di una “democratizzazione” esponenziale del linguaggio, in cui idealmente tutti possono dire la propria opinione, sembra tornare la minaccia del trivialismo. 


in un sistema logico “esploso” tutto è vero, e tutto è contraddittorio. L’immagine si adatta bene alle condizioni della ragione nel momento attuale, spesso descritto nei termini di “ipercomunicazione”, “infocrazia”, “infoxication” (p. 150).


D’Agostini non ha però una visione apocalittica del momento presente, perché – argomenta – «se realmente la ragione fosse esplosa non sarebbe neppure possibile accorgersene. Se non vi fosse limite alla vaghezza del linguaggio, non riusciremmo neppure a parlarne. (…) Ma soprattutto (…) è evidente che siamo ancora (individualmente e istituzionalmente) capaci di ragionare, argomentare, avere opinioni e agire di conseguenza. C’è dunque una logica della ragione “esplosa” e occorre capire come funzioni» (p. 150-151).

È forte il richiamo a Hegel nelle ultime righe del libro, il filosofo che riconosce la verità di una contraddizione in quanto coglie la complessità dei concetti in gioco e la convergenza di cause plurime su uno stesso evento. Ma D’Agostini sembra meno sicura, rispetto a quanto lo fosse Hegel, che questa operazione di blocco dell’esplosione sia qualcosa che avvenga nel naturale sviluppo della razionalità umana. Forse, sembra dire alla fine, è necessaria una formazione adeguata, forse i logici, ma soprattutto i filosofi in generale, hanno qualcosa da insegnare per attrezzarci tutti all’esclusione del falso.



INDICE DEI PARADOSSI ESAMINATI


I due errori p. 8

La rana di Cargile p. 9 e 144

La fortunata sfortuna p. 9

Le due asserzioni p. 11

Il trapianto di cervelli p. 12

La dicotomia (Zenone) p. 22

Achille e la Tartaruga (Zenone) p. 22

Il grande e il piccolo (Zenone) p. 23

La freccia (Zenone) p. 23

L’avvocato (Protagora) p. 26

Il fuggitivo (Eubulide) p. 30

Il velato o il nascosto (Eubulide) p. 30

L’Elettra (Eubulide) p. 30

Il cornuto (Eubulide) p. 31

Il mentitore (Eubulide) p. 32

Il mentitore indebolito (Epimenide) p. 33

Il sorite (Eubulide) p. 34

Il calvo (Eubulide) p. 34

Molteplicità e somiglianza (Platone) p. 41

Partecipazione (Platone) p. 41

Il terzo uomo (Platone) p. 41

L’uno è unico? Platone) p. 41

L’uno e i molti (Platone) p. 42

Paradosso del giuramento (Aristotele) p. 46

Mentitore di Aristotele p. 46

Nichilismo e Trivialismo (Aristotele) p. 48

Nichilismo eccettivo (Aristotele) p. 48

Trivialismo eccettivo (Aristotele) p. 48

L’autocontraddizione del sofista

e del dialettico (Aristotele) p. 48

Il mentitore di Crisippo p. 54

Il nessuno (Crisippo) p. 54

Il poco (Crisippo) p. 56

Il dominatore (Crisippo) p. 57

Il coccodrillo (Crisippo) p. 58

Il ponte (Cervantes) p. 58

Scomparsa della verità (Agostino) p. 60

L’anticipazione del cogito (Agostino)p. 60

Il dead knower p. 61

Sapere di non esistere p. 61

Il nulla esiste 1 (Fredegiso di Tours) p. 63

Il nulla esiste 2 (Fredegiso di Tours) p. 63

Le tenebre non sono privazione

di luce (Fredegiso di Tours) p. 64

L’esistenza dei cavalli volanti

(Priest) p. 67

Mentitori medievali p. 73-74

(Adam di Balsham, Giovanni Buridano,

Guglielmo di Heytesbury, Tommaso

Bradwardine, Alberto di Sassonia, Walter

Burleigh, Ruggero Swyneshed, Ludolfo

Meistermann, Marsilio di Inghen)

Paradosso della validità

(Alberto di Sassonia) p. 75

Mentitore ad occhi chiusi

(Gulglielmo di Heytesbury) p. 76

Il mentitore sconfitto p. 77

Il mentitore diviso in due

(Duns Scoto) p. 79

Mentitore per congiunzione

(Giovanni Buridano) p. 80

Dotta ignoranza (Cusano) p. 83-85

Consequentia mirabilis p. 86-88

Autocontraddizione e

autofondazione p. 88

Antinomie cosmologiche (Kant) p. 89-92

Il mentitore di Hegel p. 94

Il suicidio (Hegel) p. 95

Fallacia della domanda multipla

(Hegel) p. 95

Analisi hegeliana del sorite p. 97-101

Analisi hegeliana delle antinomie

kantiane p. 101-103

Antinomia delle classi (Russell) p. 108

Paradosso di Grelling-Nelson p. 109

Paradosso del barbiere (Russell) p. 111

Mentitore di Tarski p. 114

Paradosso di Richard p. 115

Incompletezza (Priest) p. 115

Mentitore di Quine p. 118

Presupposizioni (Van Fraassen) p. 122

Categorie e presupposizioni

(Van Fraassen) p. 123

Il truth teller (Kripke) p. 123

Il ricorso alternato (Kripke) p. 123

Mentitore di Kripke p. 124

Paradosso di Yablo p. 125

Paradosso della coda (Sorensen) p. 125

Il mentitore esteso p. 126

Il mentitore rafforzato p. 127

Mentitore contestuale (Parsons) p. 127

Questo enunciato p. 128

Due tokens per un type (Goldstein) p. 129

Contraddizioni discussive

(Jaskowski) p. 131

Computer non aggiuntivo

(Belnap/Varzi) p. 132

ECQ (ex contradictione quodlibet) p. 132

La contraddizione (Priest) p. 135

Ogni vera contraddizione è falsa

(Priest) p. 136

Dibattiti esplosivi p. 137

Paradosso di Curry-Löb p. 138

Paradossi dell’implicazione materiale

(Lewis) p. 139

Concatenazione fallita p. 140

Arricchimento fallito p. 140

Controfattuali (Adams) p. 141

Giovane e vecchio (Black) p. 143

Il paradosso di Wang p. 145

Scrambled eggs (Priest) p. 146